In inglese Projection
Dal latino pro-iectum, composto da pro=avanti e iectum, participio passato del verbo iacĕre=gettare.
“Dicendo proiezione vogliamo intendere tutte le manifestazioni del proprio comportamento (caratteristiche, atteggiamenti, sentimenti, etc.) che, pur appartenendo per intero alla propria personalità reale, non vengono mai sperimentate come tali; esse vengono anzi attribuite agli oggetti o alle persone che fanno parte dell’ambiente, e poi sperimentate come qualcosa che viene diretto da parte loro verso di sé, piuttosto che viceversa” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, p. 482).
Nella recente prospettiva dello sviluppo polifonico dei domini, teorizzato da Margherita Spagnuolo Lobb, “la modalità di contatto del proiettare, attraverso la quale il bambino è in grado di “tuffarsi nel mondo”, affidando la sua energia all’altro e all’ambiente” (Spagnuolo Lobb, 2012, p. 44) è considerata un dominio, “definito in psicoterapia della Gestalt come un’area di processi e competenze per il contatto, che appartiene allo sfondo dell’esperienza, e che è pronto a diventare figura in certi momenti, e ad interagire con altre capacità, o domini. […] si riferisce a competenze chiaramente differenziate, che hanno uno sviluppo proprio durante tutto l’arco della vita, e che interagiscono reciprocamente dando origine all’armonia (potremmo anche dire alla gestalt) della competenza attuale della persona” (ibidem, p. 34).
Nel proiettare il “bambino è curioso di tutto e usa la propria energia per conoscere il mondo, apre i cassetti e qualunque cosa sia chiusa, proiettando il sé dove non c’è e dove potrebbe essere. […] Qualunque cosa gli si dica viene restituita all’altro. L’immaginazione, il coraggio della scoperta, l’uso del corpo come promotore di cambiamento nel contatto con l’ambiente, la danza come movimento espressivo nell’ambiente – queste sono le capacità che l’organismo sviluppa durante tutta la vita attraverso questo dominio, e che esprimono la modalità di affidare il sé all’altro. […] Il rischio, in condizioni di desensibilizzazione del confine di contatto, è che la proiezione possa avvenire come tentativo di gestire l’ansia senza percepire l’altro, generando così esperienze paranoiche (l’altro nel quale io mi “lancio” è incapace o cattivo)” (ibidem, p. 44).
“Per evitare l’ansia, ciò che [si] fa è stabilire un contatto attraverso stili di interruzione o resistenza alla spontaneità, come il proiettare: lo sviluppo dell’eccitazione è interrotto disappropriandosene e attribuendola all’ambiente” (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 84).
“Colui che proietta è un individuo che non può accettare i propri sentimenti e le proprie azioni perché «non dovrebbe» sentire né agire in quel modo. Il «non dovrei», naturalmente, è l’introietto fondamentale che definisce il suo sentimento o la sua azione come sgradevole. Per risolvere questo dilemma, egli non ammette che si tratta di un torto proprio, e pertanto lo attribuisce ad un’altra persona, certamente non a sé stesso. Il risultato è lo split classico tra le sue caratteristiche reali e la sua consapevolezza di esse.
Nello stesso tempo, egli è perfettamente consapevole di tali caratteristiche nelle altre persone. Il sospetto, per esempio, che un’altra persona provi risentimento verso di lui o che stia cercando di sedurlo è una costruzione basata sulla non accettazione del fatto che egli vuole comportarsi in tal modo verso quella persona. […] Quando colui che proietta può fantasticare su sé stesso con qualcuna delle qualità che egli vede negli altri, ma che finora ha cancellato dalla consapevolezza di sé, il suo estremamente rigido senso di identità si rilascia e si allarga. […]
Quando le proiezioni assumono la forma di un auto-sostegno paranoide, le difficoltà aumentano. In questo stadio, colui che proietta sperimenta la gente come se fosse o con lui o contro di lui. Qualsiasi tentativo di mettere l’individuo di fronte alla riappropriazione delle sue caratteristiche viene combattuto così strenuamente da potere legare le mani al terapeuta. La fiducia è qui indispensabile, in quanto c’è una differenza molto sottile tra ristabilire la consapevolezza di sé del paziente ed essere percepiti dalla parte del nemico. Una persona in tale posizione ha bisogno di essere apprezzata dal suo punto di vista, a prescindere da ciò che può essere la verità. Qualsiasi terapeuta che non sperimenti autenticamente tale apprezzamento sarà oggetto di resistenza. La riappropriazione del materiale proiettato deve provenire dal sostegno che il paziente sperimenta, altrimenti non avrà luogo affatto.[…] La proiezione non è sempre priva di contatto. L’abilità di proiettare è una reazione naturale dell’uomo” (Polster e Polster, 1986, pp. 75-78).
“Il meccanismo della proiezione, così come la retroflessione e l’introiezione, ha lo scopo di interrompere il crescere dell’eccitazione affinché essa non raggiunga quella natura e quell’intensità cui l’individuo non sarebbe più in grado di far fronte. […] Nel caso della proiezione, l’individuo è perfettamente consapevole sia del proprio impulso, sia del suo oggetto ambientale; egli tuttavia non riesce ad identificarsi col proprio approccio aggressivo, né quindi a portarlo a compimento. In questo modo, egli perde la sensazione di essere lui stesso a provare l’impulso. Al contrario, egli rimane completamente inerte e aspetta, inconsapevolmente, che qualcuno o qualcosa intervenga dall’esterno a risolvere il suo problema. Meccanismi di questo tipo costituiscono una nevrosi solo quando sono cronici o inadatti; essi si rivelano al contrario, del tutto utili e salutari, purché impiegati temporaneamente e in circostanze particolari (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, pp. 482-483).
“C’è una categoria di proiezioni estremamente importante e pericolosa, quella costituita dai pregiudizi: pregiudizi razziali e di classe, snobismo, anti-semitismo, misoginia, ecc.” (ibidem, p. 486).
“Le persone, per proiettare alcuni aspetti della loro personalità, non sono solite servirsi di superfici vuote, ma piuttosto di schermi – nella fattispecie altre persone, oggetti, situazioni – i quali possiedono già di per sé , in una certa misura ciò che verrà proiettato su di essi. Ci prendiamo cura di operare le nostre proiezioni su individui che costituiscano degli schermi adeguati, ovverosia che manifestino in misura sufficiente qualche particolare caratteristica o atteggiamento, di modo che sia abbastanza facile per noi giustificare il fatto che riversiamo su di essi anche la nostra parte di questa particolare caratteristica o atteggiamento” (ibidem, p. 490).
“L’individuo che opera delle proiezioni, riversa sì verso l’esterno i suoi sentimenti indesiderati, ma non se ne sbarazza. In realtà, l’unico metodo veramente efficace per sbarazzarsi di un ‘sentimento non desiderato’ consiste nell’accettarlo, nell’esprimerlo e conseguentemente nello scaricarlo” (ibidem, p. 493).
Bibliografia
Perls F., Hefferline R.F., Goodman P. (1997). Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, Roma: Astrolabio.
Polster E., Polster M. (1986). Terapia della Gestalt integrata. Profili di teoria e pratica, Milano: Giuffrè editore.
Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, Milano: Franco Angeli.
Spagnuolo Lobb M. (2012). Lo sviluppo polifonico dei domini. Verso una prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt, Quaderni di Gestalt vol. XXV n. 2012/2, Milano: Franco Angeli.