Il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono a Milano e Torino, dando il via al processo di liberazione dell’Italia dall’oppressione fascista.
La Festa della Liberazione è il simbolo della fine della dittatura e l’inizio di un percorso che condurrà alla costituzione della Repubblica.
Qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, nasce la Costituzione Italiana.
Davanti al sentimento di confusione e annichilimento di questi giorni di crisi, è importante orientarsi su quale potrebbe essere oggi la nostra liberazione, per sapere cosa vogliamo, non solo dentro noi stessi, ma mentre guardiamo negli occhi, attivando la nostra sensibilità, chi soffre e chi è disperato.
Essere impotenti non significa essere privi di speranza. L’impotenza è difatti la condizione che ci permette di scoprire cose nuove, proprio perché siamo spinti oltre i nostri livelli di auto-sostentamento e invitati nell’incerto e nello sconosciuto, che è l’unico luogo in cui è possibile il cambiamento. Il cambiamento avviene quando si va oltre il massimo livello di auto-sostentamento: qualcosa che richiede una fiducia basilare nel processo.
Per cambiare il senso di impotenza in azione creativa occorre fare il passo sorretti dal proprio sentire, a volte senza sapere esattamente dove si va, senza controllare egotisticamente dove va a finire la nostra azione. Per avere speranza, occorre avere fiducia in ciò che è, e dunque potere superare l’egotismo (“so tutto di me e del mondo, nulla mi sorprende”).
Questo concetto di speranza prevede il passaggio dal dolore alla bellezza, quel coraggio di gettarsi nel movimento verso il mondo, nel rischio di continuare il passo nonostante le paure e le difficoltà.
Perché la Resistenza abbia ancora oggi un senso,
perché i partigiani non abbiano lottato e siano morti invano,
perché la Repubblica e la Costituzione non diventino dei dogmi di fede ma costituiscano ancora oggi la base sulla quale fondare e vivere la nostra identità di cittadini italiani,
impariamo a vivere con gli altri non per essere riconosciuti nelle nostre ragioni, ma per fare il passo nel vuoto che consente di trascendere noi stessi, per occuparci di quella meravigliosa “parentesi” che è il non sé. Impariamo a dare sostegno al senso di sé di chi vive momenti di disperazione, a ricostruire la trama della sua vita, impariamo a riconoscerci nella nostra sensibilità innanzitutto emotiva e fisiologica (prima che ideologica) che ci fa sentire cittadini di un luogo.
E attenzione: se il riconoscimento del dolore avviene sottolineando il bisogno di dipendenza di chi soffre, allora diventa seduzione. Se il riconoscimento, al contrario, avviene sostenendo la tensione creativa, la voglia di esserci con le proprie differenze, possiamo dire che quel riconoscimento diventa terapia, o semplicemente senso di umanità.
Margherita Spagnuolo Lobb
Grazie Margherita! Buona resistenza anche a te e a tutto l’HCC.
Mi hai lasciato senza fiato…
il cuore batte appassionato.
Ciao Margherita, buon 25 Aprile anche a te.