Quaderni di Gestalt
2010/1 – volume XXIII
Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia
Indice del numero
EDITORIALE
Fenomenologia e psicoterapia della Gestalt. Dall’evidenza naturale all’estetica del contatto
di Margherita Spagnuolo Lobb
DIALOGHI
La vita e il dolore nell’arte dello psicoterapeuta. Intervista a Umberto Galimberti
di Margherita Spagnuolo Lobb
“Essere-con” nel mondo di oggi. Dialogo sulla cultura della relazione
di Pietro A. Cavaleri, Giancarlo Pintus
RELAZIONI
Psicopatologia e diagnosi in psicoterapia della Gestalt
di Gianni Francesetti, Michela Gecele
Commento a “Colpa e sensi di colpa” di Martin Buber
di Andrea Poma
LA GESTALT IN AZIONE
La mente esperienziale come emanazione del nostro presente.
Una seduta in un gruppo di formazione
di Mariano Pizzimenti
Commento a “La mente esperienziale come emanazione del nostro presente. Una seduta in un gruppo di formazione”
di Mariano Pizzimenti, di Gianni Francesetti
CONGRESSI
Il nostro mare affettivo: la psicoterapia come viaggio
9° Congresso della FIAP
di Antonella Laricchia, Michele Ammirata
RECENSIONI
Polster E. (2007). Psicoterapia del Quotidiano. Migliorare la vita della persona e della comunità
di Maria Menditto
Spagnuolo Lobb M. (2008). Sessualità e amore nel setting gestaltico: dalla morte di Edipo all’emergenza nel campo situazionale
di Maria Mione
COMMEMORAZIONI
In ricordo di Harm Siemens
di Dick Lompa
Il coraggio: un ingrediente essenziale all’esplorazione
del conflitto umano
di Harm Siemens
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Contenuti
Fenomenologia e psicoterapia della Gestalt. Dall’evidenza naturale all’estetica del contatto
Dal punto di vista filosofico, siamo esistenzialisti, nel senso espresso da Buber, Marcel, Friedlaender e dalla fenomenologia di Husserl. (…). Tuttavia, noi non siamo fenomenologi puri, dal momento che assumiamo che l’organismo funziona come un tutto, come un’unità. Questa ipotesi ha condotto, tra l’altro, alla risoluzione della dicotomia corpo/mente e ad una teoria delle emozioni soddisfacente (teoria della trasformazione).
Fritz S. Perls, 1959
Questo numero dei Quaderni di Gestalt vuole testimoniare l’interesse attuale del mondo gestaltico verso le radici fenomenologiche. Tutti noi psicoterapeuti della Gestalt sappiamo che la matrice fenomenologica è fondante per il nostro approccio (Rosenfeld, 1987): su di essa infatti si basa la qualità esperienziale del nostro lavoro. Che cosa si intenda specificamente per “matrice fenomenologica”, in che modo essa abbia influenzato la psicoterapia della Gestalt e quali intrecci possiamo invece rilevare oggi, sono questioni ancora aperte che riscuotono un rinnovato interesse in questi ultimi anni.
Nella citazione in epigrafe troviamo un interesse primario di Frederick Perls per l’unitarietà dell’esperienza e probabilmente un sospetto verso la conoscenza trascendentale di Husserl (cfr. Welton, 1999), che poteva essere intesa come un ritorno alla dicotomia corpo/mente.
L’attrazione palesemente manifestata da Frederick Perls, dalla moglie Laura e da Paul Goodman verso la fenomenologia trovava ragione nel tentativo operato da questa corrente filosofica di descrivere l’esperienza “così com’è”. Il mondo, per Husserl (1968), è “già là”, prima della riflessione. Questo permetteva al fondatore della psicoterapia della Gestalt di approdare ad una pratica introspettiva legata ai sensi, identificata poi con il concetto di “concentrazione”, che non separasse l’io dal mondo, ma che fosse coerente con una concezione olistica dei vissuti e dei comportamenti umani. Ci sono alcuni concetti della fenomenologia che trovano piena applicazione nella clinica gestaltica: per esempio i concetti di attitudine (o evidenza) naturale (cfr. Blankenburg, 1998), di riduzione fenomenologica (epoché), intenzionalità, corporeità, intercorporeità, conoscenza incarnata, corpo vissuto, e mondo-della-vita (Bloom, 2009).
Franz Brentano (1938-1917) viene considerato il pioniere della ricerca fenomenologica. Indagando sulle qualità proprie dello stato mentale, e attingendo ai filosofi scolastici, egli reintrodusse in ambito sia psicologico che filosofico il termine “intenzionalità”, intesa come ciò che caratterizza il fenomeno mentale: si pensa sempre “a” qualcosa o “su” qualcosa. Brentano fu maestro sia di Freud che di Husserl.
Con Edmund Husserl la ricerca fenomenologica diventò un movimento filosofico. Egli studiò la natura della logica in quanto processo mentale e tentò di scoprire le basi non empiriche della conoscenza (e della coscienza). Sviluppò l’intenzionalità di Brentano definendola come ciò che caratterizza il rapporto tra il soggetto che conosce (che ha coscienza) e il mondo esterno, ciò che è conosciuto. La qualità di tale rapporto è la noesis, mentre il suo oggetto è il noema (cfr. Welton, 1999). In seguito, Husserl sviluppò i concetti di “tempo del corpo vissuto”, di “mondo-della-vita” e di “intersoggettività”.
L’intento iniziale di Husserl era quello di trasformare il mondo naturale (o coscienza pre-riflessiva) nel mondo filosofico o fenomenologico, la cui essenza (eidos) può essere rivelata attraverso la riduzione (a volte chiamata intuizione) eidetica (epoché). Questo consentiva di superare lo psicologismo (Perls avrebbe detto il “parlare sulle cose”), che invece creava separazione tra io e mondo. Il mondo naturale è il mondo che ci circonda, determinato non solo dalla materia in sé ma anche dai valori che ad essa si attribuiscono (bello/brutto, piacevole/spiacevole, ecc.), è il mondo ingenuo delle apparenze in cui siamo immersi, che esiste prima di ogni altra cosa. La riduzione eidetica (epoché) consiste nel mettere da parte il giudizio, in modo da conoscere solo attraverso l’intuizione. Questo procedimento consente la conoscenza trascendentale: si scoprono le cose così come sono e viene superato il divario tra soggetto e mondo. La coscienza diventa una funzione trascendentale (Spagnuolo Lobb, Cavaleri, in stampa) che include sia l’oggetto in sé (noema) che l’oggetto percepito (noesis).
In risposta alle critiche sulla natura solipsistica della conoscenza trascendentale (critica che Perls probabilmente condivideva), Husserl sviluppò i concetti di “empatia”, “intersoggettività” e “mondo-della-vita”, sottolineando che questi erano sempre stati impliciti nella sua teoria. Il mondo-della-vita è il mondo sociale naturale pre-dato; è la fonte di ciò che è dato per scontato, è come un livello altro che viene rivelato dalla riduzione eidetica (l’associazione concettuale con il “pelare la cipolla” di Perls appare ovvia).
Questo mondo-della-vita, mondo della conversazione ordinaria, deve modificarsi perché la terapia possa iniziare (Bloom, 2009). Terapeuta e paziente seguono il flusso del mondo-della-vita, da cui emergono sensazioni, emozioni, pensieri e direzionalità relazionale (Robine, 2007). Il concetto di “mondanità dell’io” (Husserl, 1965) è dunque il terreno epistemologico attraverso cui il soggetto diventa costituzionalmente relazionale (Spagnuolo Lobb, Francesetti, in stampa), e viene declinato in psicoterapia della Gestalt con una concezione del sé inedita: il sé è funzione del campo organismo/ambiente (Spagnuolo Lobb, 2001; 2005). Così come per la fenomenologia la dicotomia tra io e mondo, e tra soggetto e oggetto è secondaria rispetto alla realtà del mondo-nella-vita (Husserl, 1965), per la psicoterapia della Gestalt la soggettività nasce dall’incontro tra organismo e ambiente, al confine di contatto, e include entrambi in una co-creazione sempre inedita.
Altro concetto fondante per la psicoterapia della Gestalt è quello di “intenzionalità” (Husserl, 1965). La coscienza esiste solo nel suo “rapportarsi a”, nel suo “in-tendere verso” un oggetto, nel suo trascendersi, è nell’atto del “trascendimento” che si costituisce la soggettività (Spagnuolo Lobb, Cavaleri, in stampa). “Se l’uomo si costituisce essenzialmente nel trascendersi, nell’intenzionarsi, nell’entrare in contatto con quanto lo circonda, ciò implica la necessità che la psicopatologia e la psicoterapia debbano rivolgersi all’analisi di questo continuo trascendersi, intenzionarsi, entrare in contatto. È in questa relazione col mondo, in questo in-tendere verso di esso, che occorre individuare l’origine della sofferenza mentale e al contempo lo spazio della cura” (Ibid.).
L’insistenza della fenomenologia sulla natura mondana e intenzionata dell’esperire umano nei processi di conoscenza ben si sposava dunque con l’interesse degli approcci umanistici verso la soggettività dei significati e la legittimazione del mondo individuale come non bisognoso di categorie superiori per essere compreso.
Ne è prova il fatto che il sé venne concepito dai fondatori della psicoterapia della Gestalt come esperienza, più precisamente come l’esperienza che l’organismo fa nel momento in cui entra in contatto con l’ambiente. Tale esperienza non è solo il sentire nel qui-e-ora, ma è anche l’“andare verso”, la “tensione al contatto”. Le relazioni umane per la psicoterapia della Gestalt sono la risultante di esperienze di contatto intenzionate.
Dunque la fenomenologia aggiungeva al valore della soggettività, primario per gli approcci umanistici, il valore dell’esperienza mondana e intenzionata (come direbbe Husserl), o situazionata e costitutivamente relazionale (come sottolineato da Heidegger, 1976, con il concetto di mit-da-sein), o incarnata (come sottolineato da Merleau Ponty, 1972; 1979, e da Minkowski, 1971), o data all’ascolto (come avrebbe detto Jaspers, 1964, e oggi direbbero Galimberti, 1979, e Borgna, 1989) o ermeneutica (come direbbe Gadamer, cfr. Sichera, 2001). Si tratta di una profonda eredità teorica ed epistemologica che la psicoterapia della Gestalt ha acquisito come propria anima caratterizzante, e che ha declinato nella pratica clinica con i concetti di “sequenza di contatto” e “confine di contatto”. Questi strumenti metodologici consentono a terapeuta e paziente di concentrarsi sulla presenza mondana e intenzionata, per lasciarsi sorprendere dall’intuizione che deriva dalla presenza piena al confine di contatto.
La conoscenza incarnata, intenzionata-al-contatto ed estetica, radicata nell’unitarietà io/mondo, è ciò che rende più giustizia al nostro approccio. Come Merleau-Ponty (1972; 1979) ci ricorda, la conoscenza fenomenologica implica ogni volta un “ri-apprendere a guardare”: nel mondo della fenomenologia la conoscenza non esclude l’intuizione, in quanto emerge dalla percezione (Merleau Ponty, 1972) e – poiché la percezione si basa sui sensi – essa è strettamente legata al giudizio estetico. Questo consente alla psicoterapia di passare da un modello estrinseco di salute ad un modello estetico, basato sulla percezione attuale dell’incontro tra terapeuta e paziente, su fattori intrinseci alla relazione, come viene evidenziato nei vari articoli di questo numero.
Che cosa vuol dire oggi per noi psicoterapeuti della Gestalt riferirci alla fenomenologia?
Se all’inizio la psicoterapia della Gestalt coglieva nella fenomenologia il valore dell’unitarietà dell’esperienza, e della conoscenza che passa dai sensi, oggi – appurati questi valori – la comunità gestaltica vede un interesse rinnovato nello studio della fenomenologia per ciò che riguarda l’intenzionalità, il now for next (Spagnuolo Lobb, in stampa).
La psicoterapia della Gestalt vede la relazione terapeutica come l’accadere, il rivelarsi di una co-creazione tra paziente e terapeuta (Spagnuolo Lobb, 2007, 22; Robine, 2007). Il valore dell’esperienza (Erlebnis) viene opposto al valore di una conoscenza intellettiva, la forza creativa dell’organismo (creative adjustment) alla sublimazione come unica possibilità di adattamento alle esigenze della comunità, l’autoregolazione del contatto e l’olismo alla necessità del controllo dell’io sull’es.
La co-creazione dell’esperienza terapeutica è motivata – sostenuta e diretta – da un’intenzionalità, che per l’approccio gestaltico è sempre un’intenzionalità di contatto con l’altro.
Questo implica alcuni punti fondamentali. Innanzitutto, il considerare lo sviluppo umano e la psicopatologia come un adattamento creativo. Non ci sono comportamenti maturi, giusti e comportamenti sbagliati o immaturi. I termini “sano”, “maturo”, o “patologico”, “immaturo” fanno tutti riferimento ad una norma esterna all’esperienza della persona, ad una norma che è posta da chi non è immerso nella situazione (e proprio per questo può dichiararsi “obiettivo”). La prospettiva fenomenologica, invece, pur nel dilemma tra soggettività e oggettività che costituisce un nodo centrale del pensiero di molti filosofi (da Husserl a Heidegger a Merleau Ponty e per certi aspetti anche Kierkegaard e Adorno), considera l’esperienza come ciò che dà la conoscenza, e che non è in alcun modo sostituibile con l’analisi concettuale (Watson, 2007, 529). Occorre allora considerare l’intenzionalità di un comportamento, ossia il contatto che lo anima e lo motiva.
Dunque il problema clinico che si pone allo psicoterapeuta della Gestalt è in linea con la ricerca fenomenologica, che, partendo dall’evidenza naturale, arriva ad una conoscenza trascendentale mettendo da parte ogni giudizio e lasciandosi guidare dall’intuizione. Lo psicoterapeuta della Gestalt non intende far sì che il paziente raggiunga uno standard “sano” o “maturo” di vissuto e comportamento, ma che egli si (ri)appropri della spontaneità nel suo fare contatto, che (ri)acquisti la pienezza del proprio esserci nel contatto, anziché fare contatto con ansia. L’ansia per noi psicoterapeuti della Gestalt è definita come “eccitazione senza il sostegno dell’ossigeno”: è quel processo fisiologico che ci fa rimanere in fase inspiratoria, senza il sollievo di lasciare andare il controllo nella fase espiratoria. Il lavoro terapeutico consiste nell’aiutare la persona a riconoscere l’esperienza creativa del proprio adattamento, riappropriandosene in modo incarnato, senza ansia, ossia con spontaneità.
La difesa, che in prospettiva psicodinamica è stata tradizionalmente vista nel suo aspetto ostativo al processo terapeutico, nell’approccio gestaltico è vista al contrario come una capacità relazionale basata su un processo di adattamento creativo da sostenere. La diagnosi gestaltica focalizza la modalità di contatto con cui la persona evita l’ansia dell’eccitazione del contatto, e consente di individuare il tipo di contatto su cui si giocherà la relazione terapeutica.
Nell’attuale fervore scientifico per la relazione, e per le ricerche neuroscientifiche che con sempre maggiore enfasi confermano la natura relazionale del nostro cervello, gli studi più recenti di Gallese (2007) che specificano come la capacità di intuire l’altro (attribuita ai neuroni specchio) sia legata alla percezione dei movimenti intenzionali (i neuroni specchio si attivano davanti ad un movimento intenzionale dell’altro, non davanti ad un movimento ripetitivo), e le riflessioni ultime di Daniel Stern (2010), che vede nella percezione delle forme in movimento l’unità di misura della coscienza, confermano l’intuizione dei fondatori della psicoterapia della Gestalt, secondo cui la realtà primaria è la presenza co-costruita al confine di contatto, la gestalt emergente dall’incontro delle intenzionalità di contatto.
Come contributo agli studi sul rapporto attuale tra fenomenologia e psicoterapia della Gestalt, questo numero presenta i seguenti articoli, che declinano i temi suddetti.
In apertura un’intervista ad Umberto Galimberti su “La vita e il dolore nell’arte dello psicoterapeuta”. Partendo dal concetto di psicoterapia come arte, esploriamo aspetti universali del dolore umano e aspetti legati all’evoluzione culturale. È stata una grande emozione dialogare con il professore Galimberti su temi cari alla psicoterapia della Gestalt e sperimentare la sua apertura culturale e umana che rende questo contributo un dono che tocca il cuore e apre la mente di chi lo legge.
Segue un dialogo, tra Pietro A. Cavaleri e Giancarlo Pintus sulla “Cultura della relazione: Essere-con nel mondo di oggi”. Presenta un excursus filosofico e culturale sull’essere in relazione con l’altro. L’altro, lo specchio che ci consente di individuarci, è riconosciuto e accolto nelle varie fasi socio-culturali, determinando la personalità di base come pure la sofferenza che caratterizza ogni epoca storica. Quale sfida dunque pone oggi allo psicoterapeuta della Gestalt l’essere-con-l’altro in una società in cui una forma di depressione narcisistica ha tolto di mezzo il valore dell’alterità confinandoci in un drammatica solitudine senza riconoscimenti significativi? La felicità, di cui molti parlano oggi, “non può essere dettata dal possesso o dal consumo dei beni, ma dall’avere accesso al bene relazionale”.
Il taglio fenomenologico con cui lo psicoterapeuta della Gestalt guarda al disagio relazionale è affrontato in modo sistematico e innovativo nell’articolo di Gianni Francesetti e Michela Gecele su “Psicopatologia e diagnosi in psicoterapia della Gestalt”. Gli autori, rifacendosi alla prospettiva fenomenologica esposta sopra, forniscono al clinico gestaltico una mappa, fedele alla sua epistemologia, per orientarsi nel territorio del disagio relazionale. Si tratta di un contributo importante per il nostro approccio, che non può più rimanere ingessato nella vecchia pretesa umanistica di fare terapia senza fare diagnosi.
Un contributo di Andrea Poma sul testo di Buber “Colpa e Sensi di colpa” ci riporta al dilemma tra soggettivo e oggettivo, che ha attraversato la svolta umanistica della psicoterapia, e di cui Buber è stato testimone paradigmatico, ponendo in primo piano l’esigenza di incontrare il paziente sul terreno esistenziale, per affrontare concretamente le sue esperienze relazionali. L’autore, riprendendo il dialogo fra Buber e alcuni psichiatri fenomenologi del suo tempo, mette in luce la portata della sfida di una terapia che si muova davvero sul filo dell’incontro esistenziale e gli sbandamenti in cui il clinico può incorrere in questo difficile percorso.
Per la sezione “La Gestalt in azione” Mariano Pizzimenti ci racconta una seduta da lui condotta in un gruppo di formazione, spiegandola secondo le due categorie fenomenologiche del tempo e dell’intenzionalità. Gianni Francesetti commenta la seduta dall’interno dell’approccio gestaltico, ponendo in evidenza alcuni rischi che un terapeuta della Gestalt può correre.
Nella sezione “Congressi”, Antonella Laricchia e Michele Ammirata ci raccontano il congresso della FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia) dal titolo “Il nostro mare affettivo: la psicoterapia come viaggio”, svoltosi nell’inusuale location di una crociera nel Mediterraneo, ad aprile di quest’anno.
Nella sezione “recensioni”, Maria Menditto presenta il libro di Erving Polster Psicoterapia del Quotidiano. Migliorare la vita della persona e della comunità, l’ultimo prodotto della competenza illuminata di questo decano della psicoterapia della Gestalt, che ci sorprende sempre per la profondità e la creatività dei suoi pensieri.
Nella stessa sezione, Maria Mione presenta il mio contributo dal titolo “Sessualita’ e amore nel setting gestaltico: dalla morte di Edipo all’emergenza del campo situazionale”, pubblicato in lingua inglese nelle Riviste International Journal of Psychotherapy e Gestalt Review, e in italiano nella rivista Idee in Psicoterapia, sull’ottica gestaltica del campo situazionale come superamento dell’ottica edipica e sui vantaggi che essa porta per l’uso delle emozioni in psicoterapia.
Per ricordare Harm Siemens, uno dei fondatori della psicoterapia della Gestalt olandese morto all’età di 77 anni per un tumore il 18 febbraio scorso, pubblichiamo una breve nota del suo compagno, Dick Lompa, e il discorso di apertura dal titolo “Il coraggio: un ingrediente essenziale all’esplorazione del conflitto umano”, tenuto da Siemens in occasione del Nono Congresso Europeo di psicoterapia della Gestalt, svoltosi ad Atene nel settembre 2007.
In “appendice” infine pubblichiamo l’estratto di alcune voci del Dizionario Internazionale di Psicoterapia (di prossima uscita), curato dai professori Giorgio Nardone e Alessandro Salvini, che riguardano i concetti della fenomenologia fondanti per la psicoterapia della Gestalt.
Questo numero dei Quaderni di Gestalt si muove su un terreno in cui oggi si incontrano la filosofia, le neuroscienze e la psicoterapia: in esso la psicoterapia della Gestalt può rinnovare la propria anima fenomenologica e approfondire l’uso di strumenti metodologici, sia diagnostici che terapeutici.
Che la lettura di questo numero possa contribuire all’ispirazione teorica e metodologica dei suoi lettori.
Margherita Spagnuolo Lobb
Direttore Istituto di Gestalt HCC Italy
Siracusa, Giugno 2010
Questo numero di Quaderni di Gestalt vuole testimoniare l’interesse attuale del mondo gestaltico verso la matrice fenomenologica. Il concetto husserliano di “mondanità dell’io” è il terreno epistemologico attraverso cui il soggetto diventa costituzionalmente relazionale e viene declinato in psicoterapia della Gestalt con una concezione del sé inedita: il sé è funzione del campo organismo/ambiente; la soggettività nasce cioè dall’incontro tra organismo ambiente, al confine di contatto, e include entrambi in una co – creazione sempre inedita. La psicoterapia della Gestalt, come evidenziato nei vari articoli di questo numero e soprattutto in quello di Francesetti – Gecele sulla psicopatologia gestaltica, attua inoltre un significativo passaggio da un modello estrinseco di salute ad un modello estetico, basato sulla percezione attuale dell’incontro tra terapeuta e paziente e cioè su fattori intrinseci alla relazione.
Un’intervista a Umberto Galimberti apre la sezione delle relazioni con interessanti riflessioni sulla vita e il dolore dello psicoterapeuta.
Questo numero di Quaderni di Gestalt si rivela dunque di fondamentale importanza in quanto si muove su un terreno in cui oggi si incontrano la filosofia, le neuroscienze e la psicoterapia: in esso la psicoterapia della Gestalt può rinnovare la propria anima fenomenologica e approfondire l’uso di strumenti metodologici, sia diagnostici che terapeutici.