Terapia online via web concentrazione psicologia psicoterapia gestalt

La concentrazione gestaltica nelle terapie via web

di Angela Basile

L’autore, a partire dal crescente dibattito all’estero e anche in Italia sulla fenomenologia e la psicodinamica delle relazioni interpersonali su internet e nel cyberspazio e sulla fattibilità di una psicoterapia on line, si sofferma sull’approccio gestaltico e propone alcune iniziali riflessioni su come, le principali basi epistemologiche della psicoterapia della Gestalt – empatia, corpo, sé, contatto, intenzionalità -, possano essere declinati in un setting virtuale quale quello on line. A tale proposito viene fornita la testimonianza di alcuni terapeuti della Gestalt e pazienti che si avvalgono della Skype therapy.

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now-for-next

Il now-for-next tra neuroscienze e psicoterapia della Gestalt

-Dialogo tra Vittorio Gallese e Margherita Spagnuolo Lobb.
Margherita Spagnuolo Lobb: Il titolo del libro, “Il now-for-next in psicoterapia”, allude ad uno dei cardini teorico-clinici della psicoterapia della Gestalt: l’intenzionalità. Nel modello gestaltico, infatti, l’intervento del terapeuta è principalmente rivolto a sostenere la realizzazione dell’intenzionalità di contatto che in ogni momento è già presente nell’esperienza del paziente. Anche nei tuoi saggi attribuisci rilevanza all’intenzionalità fino a parlare di “intenzionalità condivisa”. Nel mio libro, infatti, ti cito spesso e l’importanza della scoperta dei neuroni specchio è considerata una conferma cruciale per la psicoterapia.

Sei d’accordo, alla luce delle tue ricerche, sul fatto che l’intenzionalità di contatto, il tendere spontaneo verso il contatto, sia un elemento costitutivo dell’essere umano e della sua vita di relazione? Il riconoscimento della propria e dell’altrui intenzionalità è all’origine dell’esperienza di relazione umana. Per questo motivo, la psicoterapia (e ogni forma di sostegno o accadimento) deve rivolgersi a questo riconoscimento. Sei d’accordo?

Vittorio Gallese: La focalizzazione sull’intenzionalità condivisa nel momento dell’incontro psicoterapeutico mi sembra cruciale. Credo che molti degli aspetti “maieutici” della relazione psicoterapeutica nascano proprio dalla possibilità di focalizzarsi su ciò che accade nel momento stesso dell’incontro. Ovviamente nessuno dei due partecipanti è una “tabula rasa” e, quindi, le memorie implicite e autobiografiche giocano un ruolo fondamentale nelle risultanti dall’incontro. Tuttavia, credo che porre l’accento sulla cruciale importanza del now sia un elemento fondamentale. Anche in ragione del fatto che, come bene sottolinei nel libro, al di là delle tecniche e delle specificità di scuola, la relazione di cura psicoterapeutica si sostanzia nell’incontro presente e rinnovato tra due persone.
(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, vol XXIV, 2011/2, Psicoterapia della Gestalt e Neuroscienze
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli
 

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Scopri Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna di Margherita Spagnuolo Lobb

Parlando di Gestalt Therapy with Children

Gestalt Therapy with Children è un libro curato da Margherita Spagnuolo Lobb e appartenente alla Collana Internazionale Gestalt Therapy Book Series.
Ha riscosso molto successo dalla sua pubblicazione e in molti chiedono quando uscirà la versione italiana. 

Con questo articolo si vuole entrare nella tematica trattata per spiegare l’importanza che nel presente ha questa pubblicazione soprattutto per la figura dello psicoterapeuta.

I bambini oggi arrivano in terapia per problemi legati all’ansia, al cibo, alla mancanza di concentrazione e alle difficoltà legate al modo in cui socializzano e apprendono. Questo quadro clinico è uno specchio drammatico dell’attuale sviluppo della nostra società. Per anni abbiamo assistito a eventi che mostrano un diffuso disconoscimento della condizione umana. Persone morte a seguito di attacchi terroristici o flussi migratori nell’area del Mediterraneo e drammatici cambiamenti climatici che ci hanno drasticamente colpito.

Che cosa prova un bambino quando ascolta in silenzio le notizie e i commenti degli adulti, o quando è direttamente coinvolto in tali eventi traumatici?

I bambini assorbono la crudeltà e, peggio ancora, la dissociazione degli adulti può indurli a percepire questi eventi come “normali”.
La psicoterapia e la ricerca sullo sviluppo del bambino devono riconoscere queste nuove condizioni in cui i bambini crescono e il lavoro clinico dovrebbe tener conto di questo ormai diffuso sfondo esperienziale.
Questo libro cerca di illustrare il modo in cui gli psicoterapeuti della Gestalt contemporanea affrontano la situazione clinica concreta quando lavorano con i bambini. L’obiettivo è sviluppare nuovi strumenti per aiutare i bambini e le loro famiglie a sentirsi parte della comunità umana, in un modo che non sia desensibilizzato.

È indirizzato agli psicoterapeuti di tutti gli approcci.

Gestalt Therapy with Children
From Epistemology to Clinical Practice
Edited by
Margherita Spagnuolo Lobb, Nurith Levi, Andrew Williams
Preface by Violet Oaklander
Afterword by Gordon Wheeler

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danza terapeutica

La danza terapeutica tra eccitazione e sostegno

-Margherita Spagnuolo Lobb.

Le osservazioni di Stern (1985; 2004; 2010), le scoperte delle neuroscienze (Gallese, 2006a; 2006b, Damasio, 2010) sono tra le principali evidenze scientifiche che ci portano a pensare che la cura delle esperienze depressive o di quelle maniacali (intese come spostamento dell’ansia nell’agire) non può consistere soltanto nella parola, nell’interpretazione, nel capire se stessi, nel rendere conscio tutto ciò che è inconscio. Occorre soprattutto che il paziente riapprenda la danza tra eccitazione e sostegno, tra paura del rischio e sostegno alla propria energia/desiderio. Si tratta di riapprendere la danza, originata nelle relazioni primarie, tra eccitazione del bambino e accoglienza della madre, tra l’andare verso l’altro con energia e spontaneità e la risposta più o meno rilassata, più o meno accogliente, più o meno energetica dell’altro.

Nella mia pratica clinica, mi sono più volte chiesta quali sono gli aspetti della relazione che un terapeuta deve attraversare per curare l’implicito angosciante del paziente (e anche proprio!).

Nel campo fenomenologico terapeutico cerco e custodisco l’intenzionalità, il movimento in avanti, la speranza, e sostengo la tensione verso il futuro.

Nella clinica delle esperienze depressive colpisce la fissità, che fa figura attraverso la ripetitività dei vissuti e l’assenza di una loro evoluzione trasformativa. La fissità è data dal blocco dell’equilibrio tra eccitazione e sostegno, che sentiamo in ogni contatto significativo e nuovo con il mondo. La fissità riguarda la figura che emerge da uno sfondo esperienziale, sia del paziente che del terapeuta. È in questo sfondo che il movimento permane ed è questo movimento che dobbiamo ricercare e sostenere e che realizza, anche se in modo non evidente, l’evoluzione terapeutica.

Chiamo questo particolare tipo di movimento il now for next in psicoterapia. È il concetto fondamentale che ho espresso nel mio libro, Il Now-for-Next in Psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post- moderna, che parla della fiducia che il terapeuta ha nel movimento intenzionale del paziente. Questo è particolarmente importante quando lavoriamo con l’esperienza psicotica.

Gli psicotici vivono un’esperienza molto angosciante e, per aiutarli, dobbiamo cambiare i punti di riferimento terapeutici che usiamo con i pazienti nevrotici (cfr. Spagnuolo Lobb, 2003; Francesetti, Spagnuolo Lobb, 2013): l’obiettivo non è quello di esplorare nuove possibilità, nuove figure, cosa possibile quando c’è già un ground di sicurezze scontate; l’obiettivo è di stare accanto al paziente, semplicemente stargli accanto nella sua esistenza, ed è già questo stare con l’angoscia del paziente, rischiando di lasciarsi contagiare da lui, che costituisce il sostegno terapeutico su cui può instaurarsi la fiducia del paziente in se stesso e nella propria esistenza. Si tratta di un sostegno allo sfondo esperienziale, un sostegno al movimento che anima non tanto le figure che il paziente porta quanto la sua tensione verso il cambiamento con quel particolare terapeuta. Questo è successo con la mia paziente: il mio starle accanto ha costruito un ground. Chiaramente questo esporsi alla contaminazione richiede al terapeuta una grande forza, fiducia nell’autoregolazione e una grande chiarezza al confine di contatto.

Il terapeuta si assume il rischio e il coraggio di farsi contagiare: decide con coscienza di non fuggire davanti al “lebbroso”. Non tutti i terapeuti possono essere disponibili a farsi contagiare, è un rischio da valutare, una scelta del terapeuta che gli consente di entrare nei meandri più profondi della sofferenza umana.

(…)

Tratto dall’articolo “Le esperienze depressive in psicoterapia della Gestalt”
in Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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sè

Le funzioni del sé e la lettura fenomenologica

Michele Lipani e Elisabetta Conte

Il sé, durante l’adolescenza, attraversa una fisiologica riorganizzazione, con importanti modificazioni della funzione es (trasformazioni corporee, percezione e riconoscimento di nuove sensazioni, emergere di nuovi bisogni ancora in via di definizione) e della funzione personalità (nuova definizione di sé e assimilazione dei cambiamenti connessi con il diventare adulti) (Perls et al., 1971).

Si rendono necessari nuovi adattamenti creativi relativi all’esperienza corporea, sfondo sempre presente nel processo di contatto, base sicura su cui poggiano sia il sentimento di esistere e di avere una identità (la pienezza del sentir- si un “io”), che il farsi azione di questa identità attraverso i gesti, le posture, le azioni che portano all’altro (Mione e Conte, 2012).

L’adolescente sembra oggi giungere più fragile di fronte a queste nuove sfide (Conte e Mione, 2013) e avrebbe ancora bisogno di un alto grado di holding, anche se di nuova qualità, da parte delle figure adulte (Levi, 2013). Se priva di sostegno (autosostegno e/o sostegno ambientale), la forte eccitazione tipica di questo tempo della vita si tramuta in ansia e, per non essere sentita, in desensibilizzazione corporea. Dalla funzione es anestetizzata non nasce alcun interesse, non si crea alcuna figura che sostenga l’intenzionalità. Possiamo allora affermare che: «L’esperienza depressiva è una condizione nella quale la dinamica figura/sfondo stenta a mettersi in movimento: lo sfondo è senza energia, non vi sono stimoli, interessi, slanci di intenzionalità (…)» (Francesetti, 2011, p. 83).

Si respira un’aura da «ottundimento dei sensi» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 39) difficile da condividere, come per Luca, sedici anni, che nel tentativo di raccontare come si sente accenna al suo corpo “zavorrato”, al senso di impossibilità di fare le cose «come in certi sogni in cui vuoi correre, scappare, ma non riesci a sollevare le gambe». Quando non trova parole, cita testi di brani musicali che possono avvicinarsi alle sue sensazioni e risvegliarle. Allora si riconosce nei versi di Open, brano dei The Cure, e trascrive:

… Non ce la faccio più, sono diventato così, Quando la vita perde ogni senso
Continuo a muovere la bocca
Continuo a muovere i piedi

Oh mi sento così stanco…
E come la pioggia cade a dirotto Così io mi sento dentro…

Altre volte gli adolescenti sembrano imbrigliati da sensazioni più cupe e fanno riferimento a percezioni visive in cui prevale il buio, il non vedere; le sensazioni tattili/epidermiche esprimono il freddo e il non sentire; spesso il silenzio diventa insostenibile. Francesca, spiegando che non ha voglia di uscire con gli amici, racconta che quando è con gli altri sente di essere «un’ombra insignificante: … se sono da sola, in silenzio posso riuscire a stare tranquilla, ma non sopporto il silenzio del mio mutismo quando sono con gli altri e non riesco a pensare nulla, a dire nulla. Allora molto meglio seppellirmi a casa». Le sensazioni di tipo cinestesico rimandano invece al senso di galleggiamento nel vuoto, al cadere, al sentire il peso e la stanchezza, oppure un senso di disorientamento spesso soffocato.

La funzione personalità, durante l’adolescenza così vivida e fertile nell’assimilare esperienze creative e affamate di novità, nell’impasse depressiva si connota di vissuti di inadeguatezza e di impotenza, come per Gianluca, quindici anni, che fino alle scuole medie era un alunno brillante, ma con l’ingresso nelle scuole superiori non comprende e non tollera il “tonfo” del suo rendimento scolastico. Nonostante il suo impegno, gli sembra che tutti siano più in gamba di lui e i suoi voti sono irrimediabilmente “da bocciato”: «Forse non sono così intelligente come gli altri credono, forse la scuola non fa per me».

L’adolescente che attraversa una fase depressiva si macera nel conflitto insanabile, tra ciò che vorrebbe essere e ciò che riesce ad essere, tra ciò che vorrebbe fare, i suoi sogni, le sue aspettative, e ciò che poi effettivamente fa. Ancora peggio se deve mettere in discussione le aspettative che gli altri hanno nutrito per lui e sostituirle con nuove aspettative più sue. Da ciò scaturisce il sentire la fatica di diventare se stesso, il senso di inadeguatezza e di inibizione, l’impotenza, la paura di non essere “visto”, di non valere abbastanza.

(…)

Tratto dall’articolo “Giovani funamboli:esperienze depressive in adolescenza”
in Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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sviluppo

Lo sviluppo polifonico dei domini

Verso una prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt

-Margherita Spagnuolo Lobb.

Rispondendo alla domanda “quale prospettiva sullo sviluppo è coerente con i principi della psicoterapia della Gestalt e dunque utilizzabile a livello clinico dai gestaltisti?”, l’autrice afferma che ciò che serve al clinico non è tanto una teoria dello sviluppo in sé, ma una “mente evolutiva”, ossia una mappa per comprendere come il passato si rivela nel presente, che possa aiutarlo a intuire sia l’evoluzione delle modalità di contatto del paziente che il suo movimento interrotto, l’intenzionalità di contatto bloccata che chiede di essere liberata nel presente. Presenta dunque un modello per osservare come le risorse del paziente sono ancora disponibili nella relazione o sono dormienti.

La chiave concettuale di questo lavoro è lo sviluppo polifonico di domini, che l’autrice propone come una prospettiva epistemologicamente coerente di guardare, nel qui e ora della seduta, allo sviluppo del paziente, come una funzione del campo fenomenologico, allo scopo di sostenere l’eccitazione per il contatto che ha perduto la sua spontaneità, nel quadro di riferimento della domanda di terapia del paziente. Descrive i domini gestaltici, le loro caratteristiche e i rischi che implicano nel caso di un confine di contatto desensibilizzato.

Sebbene la psicoterapia della Gestalt sia nata proprio da un’idea innovativa rispetto alla teoria freudiana dello sviluppo (la ben nota fase dell’aggressione dentale, Perls, 1942), i suoi seguaci si sono tenuti distanti da una concettualizzazione dei processi evolutivi, almeno fino agli anni ’80, momento in cui tutte le correnti psicoterapeutiche si sono rivolte alla relazione e alla cura dei pazienti gravi. A quel punto, la critica all’approccio evolutivo sostenuta dagli psicoterapeuti della Gestalt – secondo cui guardare allo sviluppo del paziente era una distrazione dalla freschezza della relazione nel qui ed ora – fu sostituita dalla ricerca di una teoria evolutiva che fosse in linea con i principi epistemologici della psicoterapia della Gestalt.

In questo articolo intendo proporre una prospettiva gestaltica sullo sviluppo (più che una teoria evolutiva) che consenta al terapeuta di rimanere nella freschezza del contatto presente con il paziente, e di considerare nel proprio lavoro la profondità che emerge dalla “superficie” del loro incontro. Attingendo alle teorie evolutive contemporanee, descriverò il concetto di dominio come un ambito esperienziale che include alcune capacità di contatto. (…)

1. Un esempio di prospettiva gestaltica sullo sviluppo

Secondo la terapia della Gestalt, l’individuo contatta l’ambiente utilizzando le forme di sostegno fisiologico specifico di cui dispone. Queste sono parte della sua esperienza e sono necessarie per l’autoregolazione spontanea del suo essere-con. Ecco un esempio. Un bambino vomita la mattina quando deve andare a scuola; i genitori, già stressati perché faranno tardi al lavoro, lo rimproverano; il bambino si sente umiliato. Nella sua esperienza, vomitare rappresenta un sostegno fisiologico che gli consente di scaricare una tensione. Se si sente accettato dai genitori, con la sua angoscia e la sua confusione emotiva, sarà in grado di attingere al sostegno fisiologico che ne deriva. Tornerò nel corso dell’articolo a questo esempio.

L’attenzione al corpo che caratterizza il metodo gestaltico segna un passaggio importante per tutta la psicoterapia: da un concetto di profondità riferito a localizzazioni psichiche, ad una profondità intesa come incarnazione della relazione (Spagnuolo Lobb, 2005). Se per Reich il corpo era il luogo della repressione dei conflitti, e per Perls il mezzo privilegiato di espressione di un’esperienza olistica ed esistenziale, per gli autori gestaltici contemporanei (in particolare Kepner, 1993; Frank, 2001; Clemmens et al., 2008; Clemmens, 2011) il corpo è l’organo di contatto per eccellenza, che comprende tanto la memoria dei contatti passati, quanto la creazione di quelli presenti. Il linguaggio gestaltico dell’esperienza di contatto riformula la prospettiva psicodinamica nel codice fenomenologico dell’esperienza nel qui ed ora.

(…)

L’articolo tratta i seguenti temi:

2. La questione della teoria evolutiva in psicoterapia della Gestalt

3. La presenza concreta del paziente tra figura e sfondo

4. Le mappa gestaltica dello sviluppo polifonico dei domini in un campo

5. L’organizzazione gestaltica dello sviluppo polifonico dei domini

6. La prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt nell’evi- denza clinica

7. Un ricordo personale

Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXII, 2009-2, Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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mentalità

La mentalità evolutiva in psicoterapia

Conversazione tra Massimo Ammaniti e Margherita Spagnuolo Lobb.

Margherita Spagnuolo Lobb: Buongiorno Massimo, grazie per avere accettato di dialogare con me sull’approccio evolutivo della psicoterapia. Lungi dalla pretesa di parlare di una teoria evolutiva, questo dialogo vuole essere un tentativo di creare un confronto tra la mentalità evolutiva proposta dal nostro Istituto e il tuo pensiero.

La terapia della Gestalt è nata proprio da una critica alla teoria evolutiva freudiana. Il suo fondatore, Frederick Perls, propose il concetto di aggressione dentale per indicare quella fase nello sviluppo in cui il bambino, mettendo i denti, diventa capace non solo di aggredire il cibo, ma anche il mondo, nel senso che riesce a destrutturare la realtà con un ad-gredere che implica un’energia fondamentale per la sua sopravvivenza. A quei tempi era una cosa abbastanza nuova all’interno della psicoanalisi; gli impulsi venivano considerati fondamentalmente come qualcosa da sublimare, e non da sostenere.

Questa nuova prospettiva implicava necessariamente una fiducia non solo negli impulsi, ma anche nell’autoregolazione dell’interazione individuo/società e uomo-natura, laddove queste realtà venivano per lo più intese in senso dicotomico, per cui impulso e regola sociale erano concepiti come inconciliabili. L’appartenenza appassionata a questa nuova prospettiva portò i terapeuti della Gestalt a disinteressarsi deliberatamente dello sviluppo di una teoria evolutiva gestaltica, come se interessarsi al passato potesse distrarre da un qui e ora auto-regolantesi e dalla freschezza del contatto. Dagli anni ’80 in poi, però, quando i disturbi gravi iniziarono a diffondersi maggiormente, riferirsi ad un approccio evolutivo che aiutasse a costruire una mappa dell’evoluzione della personalità del paziente, è diventato importante, sia per una diagnosi differenziale che per impostare il tipo di trattamento. Tale mappa deve però consentirci di mantenere la spontaneità della relazione terapeutica, in modo da salvaguardare l’esperienza nel suo continuo divenire.

Le tradizionali teorie stadiali dello sviluppo cognitivo e affettivo si rivelano poco adatte al pensiero fenomenologico e alla descrizione dell’evoluzione della competenza relazionale al contatto.

Obbedendo ad un ordine cronologico, e ad una successione di funzioni progressivamente acquisite ed integrate gerarchicamente, il concetto di stadio implica il passaggio da uno stato di immaturità ad uno di maturità. A mio avviso, in psicoterapia, leggere lo sviluppo del paziente in termini di organizzazione stadiale maturativa limita il nostro pensiero a vissuti e comportamenti considerati aprioristicamente più o meno appropriati e maturi. Questo sguardo non ci consente di apprezzare la bellezza, l’armonia con cui sempre la persona affronta la propria crescita, che a mio avviso costituiscono il cuore dell’intervento terapeutico: il sostegno a ciò che già funziona e all’intenzionalità di contatto, concetti che rientrano in quello che sinteticamente chiamo il now-for-next.

Le moderne ricerche evolutive sembrano andare più sul versante del concepire le capacità relazionali del bambino come domini.

Man mano che noi vediamo il bambino, come uno spaccato nei vari anni della sua vita, non guardiamo a degli stadi, cioè a delle competenze stadiali che presuppongono le competenze precedenti, ma guardiamo a come queste capacità, queste competenze relazionali s’intrecciano tra loro. Il punto allora per noi clinici gestaltici è non tanto costruire una teoria evolutiva, quanto acquisire una “mente terapeutica evolutiva”, capace di vedere come l’intreccio di certe capacità si rivela nel qui e ora della seduta e include un “desiderio” di movimento, di evoluzione. Ciò che occorre allo psicoterapeuta della Gestalt è una “mente evolutiva estetica” (capace di vedere l’armonia, ciò che già funziona), più che una mappa epigenetica o uno schema fasico dello sviluppo.

Tu hai sviluppato nel tuo pensiero, in qualche modo, l’idea di una certa flessibilità nello sviluppo, di un’acquisizione di capacità sempre più complesse del bambino. Cosa pensi di questa che secondo me è una dicotomia tra la prospettiva stadiale e maturativa e la prospettiva che sottolinea la complessità e l’armonia insita nello sviluppo?

Massimo Ammaniti

Il concetto di stadio è stato molto utilizzato dalle teorie evolutive sia in ambito dello sviluppo affettivo che cognitivo.

Nella teoria psicoanalitica l’idea tradizionale era che l’individuo passasse attraverso una serie di fasi, che come sappiamo andavano dalla fase orale, alla fase anale, alla fase fallica, alla latenza per poi arrivare nell’età dell’adolescenza al primato della fase genitale. Soprattutto nelle teorie cliniche, lo stadio, e questo è uno dei limiti, veniva considerato un periodo rilevante anche ai fini di una vulnerabilità che si impiantava in una certa fase e che poi si sarebbe sviluppata successivamente.

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXV, 2012-2, La prospettiva evolutiva in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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intrappolata

Intrappolata nelle sue parole, un libro di Chiara Caracò

Con immenso piacere l’Istituto di Gestalt HCC Italy promuove il prodotto letterario di Chiara Caracò, specializzanda presso la sede di Palermo.
In un periodo attraversato da affettività labili, gli adolescenti e i giovani hanno bisogno di essere educati sentimentalmente affinché siano in grado di riconoscere un amore non sano che spesso porta logoramento interiore. La storia raccontata fa riflettere sulla fragilità e forza degli esseri umani. Lo sfogo dell’esperienza travolgente che mette in discussione le scelte e il benessere di Akira, si racchiude nello studio di uno psicoterapeuta nel momento in cui lei diventa consapevole di essere intrappolata nelle parole dell’uomo che ama. Avere il coraggio di reagire è il primo passo verso la rinascita.
“Intrappolata nelle sue parole” sarà presente al salone internazionale della fiera di Torino dal 10 al 14 Maggio nello stand della Kimerik.
 
Per info – prenotazioni – eventi – news:
redazione@kimerik.it
www.kimerik.it
094121503

sonoro-musicale

La musicoterapia in una prospettiva intersoggettiva

-Alfredo Raglio e Osmano Oasi

L’articolo pone l’attenzione sulla necessità di individuare una possibile cornice teorica per la musicoterapia. In merito a ciò propone una possibile integrazione tra la prospettiva intersoggettiva e la libera improvvisazione sonoro-musicale. Gli Autori individuano in alcuni concetti chiave, quali ad esempio quelli di “sintonizzazione affettiva”, “affetti vitali” e “momento presente”, il punto di contatto con la prassi musicoterapica improvvisativa. Secondo questa prospettiva le potenzialità terapeutiche dell’elemento sonoro-musicale sono attribuibili alle sue caratteristiche di organizzatore e regolatore nello sviluppo dell’individuo. In tal senso la musicoterapia può favorire, attraverso il canale non verbale sonoro-musicale, il determinarsi di relazioni rappresentative e simboliche sempre più motivate e interiorizzate.

(…)

Aspetti musicali dell’interazione madre/bambino

Le osservazioni di Stern (1985) sulle vicissitudini degli affetti inducono a dare particolare rilevanza all’elemento sonoro-musicale. In particolare, nel corso dell’interazione madre/bambino è possibile individuare, secondo questo autore, momenti di attunement o di disattunement: con essi ci si riferisce a momenti di sintonizzazione o di dissintonia affettiva presenti nella diade, in grado di creare aree di esperienza più o meno condivise. Già nel 1975 Stern aveva messo in evidenza come, nell’ambito delle primitive forme di interazione madre/bambino, vi siano una varietà di comportamenti «il movimento, il tono della testa e del corpo, le espressioni dello sguardo e del volto e le vocalizzazioni» (corsivo nostro) (Stern et al., 1975), che progressivamente si organizzano in modo coerente rispetto alla comunicazione di emozioni ed affetti. Inoltre, a causa delle loro caratteristiche strutturali, «la danza e la musica sono esempi per eccellenza dell’espressività degli affetti vitali» (Stern, 1985) e contribuiscono a determinare quelle condizioni di sintonizzazione affettiva a partire dalle quali si costruisce un primitivo senso del Sé. Curiosamente Stern (1998) utilizza un’immagine tratta dalla comune esperienza concertistica per descrivere gli scambi tra la diade durante l’allattamento: «La madre è come un direttore d’orchestra (talvolta il direttore è il bambino): fa entrare in azione diversi strumenti (scuote, fa oscillare, parla) e regola il volume quanto è necessario per mantenere il bambino al giusto livello d’eccitazione e d’attenzione» (ibidem).

Occorre evidenziare che la “sintonizzazione” non è un semplice processo imitativo, in cui uno dei due partner si limita a riprodurre un comportamento non verbale o sonoro-musicale dell’altro, bensì, come afferma Stern (1985), «…i comportamenti di sintonizzazione […] riplasmano l’evento e spostano l’attenzione su ciò che sta dietro il comportamento, sulla qualità dello stato d’animo condiviso» . E ancora: «L’imitazione comunica la forma, la sintonizzazione i sentimenti. In pratica, tuttavia, non sembra esistere una vera e propria dicotomia fra sintonizzazione e imitazione; i due processi sembrano piuttosto situarsi ai due estremi di uno spettro» (ibidem, 1985); poco oltre «il motivo per cui i comportamenti di sintonizzazione sono così importanti sta nel fatto che la vera imitazione non consente ai due membri della coppia di risalire ai rispettivi stati interni, ma mantiene fissa l’attenzione sul comportamento manifesto» (ibidem, 1985).

L’elemento sonoro si collega a quanto esposto poiché risulta essere parte integrante dei processi protocomunicativi che caratterizzano lo sviluppo del bambino, contenendo in sé aspetti innati e arcaici da cui scaturisce la sua potenzialità simbolica. Numerosi sono i punti di contatto tra tale elemento e la relazione madre/bambino: per esempio, la prima forma di comunicazione avviene attraverso il suono della voce che, prima di acquisire un significato semantico, acquista senso a partire dagli aspetti sonori della vocalità; non è casuale che i parametri che Stern (1985) definisce “amodali” (tempo, forma e intensità) abbiano una marcata matrice sonoro- musicale.

(…)

L’articolo tratta anche:

Dall’interazione disdica a quella musicoterapeutica

Punti d’incontro possibili tra musicoterapia e psicoanalisi

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXII, 2009-2, Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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now-for-next

Parliamo del Now-for-next

Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-modernaSpagnuolo Lobb M. (2011).
-Giuseppe Sampognaro

Il libro di Margherita Spagnuolo Lobb, direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, è stato dato alla luce dopo un travaglio assai lungo, segnato da vicende personali e professionali anche dolorose. Alla fine, la caparbietà dell’Autrice – che tra i tanti meriti ha anche quello di avere introdotto la PdG in Italia, più di trent’anni fa – è stata premiata. Valeva davvero la pena di attendere tanto: è venuta fuori un’opera che sicuramente segna un passaggio importante nella definizione dei concetti teorici (alcuni davvero innovativi) e metodologici, su cui il lavoro di ogni psicoterapeuta della Gestalt è basato.

Incarnando in modo letterale l’idea portante espressa dal titolo, il contenuto del libro ci indica le linee attuali e le prospettive future del nostro modello, e “ci costringe” a interrogarci sull’essenza stessa del nostro lavoro: i principi che guidano l’approccio alla persona che ci chiede aiuto, la magìa dell’incontro terapeutico, le varie declinazioni e i contesti della pratica clinica (setting individuale, di coppia, di famiglia, di gruppo…), il significato profondo dell’essere terapeuta della Gestalt all’interno di una società palesemente diversa da quella per la quale fu elaborata la visione gestaltica del prendersi cura.

Nel testo di Margherita è palpitante l’inclinazione narrativa (lo dichiara il sottotitolo: “La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna”) per cui assistiamo al delinearsi della nostra storia attraverso il trascolorare della visione del rapporto tra individuo e ambiente, della conoscenza umana, di come perseguire l’obiettivo del benessere. Il lettore apprende, attraverso il racconto di Margherita Spagnuolo Lobb, il clima culturale in cui l’idea gestaltica prese corpo circa sessant’anni fa e le sue trasformazioni nel tempo, grazie al contatto con altre chiavi di lettura psicologica (come la psicoanalisi radicale: stimolante a tale proposito il dialogo riportato nel secondo capitolo con Philip Lichtenberg) e, più in generale, con un pensiero “liquido” che muta gli intenti e il campo terapeutico: dall’ottica della differenziazione alla riscoperta del dialogo e dell’appartenenza.

I punti fermi del corpus teorico gestaltico sono enunciati nell’Introduzione, che di per sé equivale a un manifesto ideologico della psicoterapia della Gestalt: il passaggio dall’intrapsichico alla “traità”; la sovranità dell’esperienza; la rivalutazione dell’aggressività positiva; la lettura teleologica del contatto e del confine di contatto; il valore estetico della terapia; la ridefinizione del processo di figura/sfondo. Tutto questo, all’interno di una cornice teorica ancorata alla fenomenologia del contatto per cui, dice Margherita Spagnuolo Lobb, “se l’attenzione del terapeuta è rivolta all’here-and-now, la sua cura è centrata sul now-for-next”.

Tra i dieci capitoli di cui si compone l’opera, tutti indispensabili per il terapeuta, esperto o in itinere, che desideri approfondire il senso del proprio agire, vorrei citarne due per motivi differenti. Quello dedicato alla prospettiva evolutiva mi sembra il più nuovo, denso com’è di concetti che meritano di essere assimilati nel tempo, anche attraverso il dialogo tra colleghi: muovendosi in un’ottica intersoggettiva, ingloba nel pensiero gestaltico la lezione di Daniel Stern, sostituendo il concetto di sviluppo fasico con quello di “sviluppo polifonico di domìni”; quest’ultimo prevede l’emergere di competenze ben differenziate, che si sviluppano lungo l’arco della vita interagendo tra loro. Tutto questo si rivela divergente rispetto al modello evolutivo finora considerato nell’Istituto HCC; un modello che sino ad oggi ha identificato le modalità di contatto sincronico (introiettare, proiettare ecc.) come le “fasi da raggiungere in sequenza diacronica per conquistare la maturità relazionale”.

Margherita, in sostanza, prende le distanze dalla costruzione di mappe epigenetiche delle fasi maturative. Un’idea che, sicuramente, susciterà un dibattito tra chi ha sempre considerato valido il parallelismo tra tempi/modi di contatto e tappe dello sviluppo psicorelazionale del bambino. Un’ottima occasione – comunque – di confronto, uno stimolo a non dare per scontata la onnicomprensività con cui il “modello della curva” è stato da noi strenuamente applicato.

Il capitolo a mio parere più succoso e portatore di ricadute positive per il nostro lavoro di terapeuti in continuo aggiornamento è il quarto, dedicato a now-for-next e diagnosi gestaltica. Attraverso l’analisi dei vari stili narrativi che scaturiscono da specifiche modalità di contatto (narrazioni terapeutiche con stili di contatto introiettivo, proiettivo, retroflessivo, confluente), Margherita Spagnuolo Lobb rileva la creatività intrinseca al racconto in terapia come accadere processuale. Al contempo, presenta le modalità che il terapeuta attua nel sostenere l’intenzionalità di contatto nelle varie tipologie di stili relazionali.

Il capitolo si configura come un ottimo e quanto mai opportuno update dello “storico” articolo che la stessa Autrice pubblicò sul numero 10/11 dei Quaderni di Gestalt, più di vent’anni fa (“Il sostegno specifico nelle interruzioni di contatto”). È un capitolo che, da solo, conferisce valore e significato all’intero testo. In queste pagine leggiamo l’esperienza del terapeuta che “vede” la resilienza del paziente, la valorizza, e aiuta la persona a indirizzare il proprio adattamento creativo verso la spontaneità a partire da quel suo modo, specifico e originale, di muoversi al confine di contatto con l’Altro.

Il capitolo sette presenta un apprezzato modello di lavoro con le coppie, che l’autrice ha introdotto in vari contesti internazionali e in Italia.
Il capitolo otto descrive un modello originale di lavoro con le famiglie.
Il capitolo nove presenta il modello di lavoro gestaltico con i gruppi, mentre il capitolo dieci applica l’approccio con i gruppi all’esperienza formativa.

Un’ultima annotazione sul capitolo conclusivo, che rappresenta un vero tributo d’amore da parte dell’Autrice nei confronti dei suoi vecchi e nuovi allievi; in fondo, il libro è rivolto a loro, e forse per loro è stato scritto.

Oltre all’idea di processo formativo come destrutturazione della materia-psicoterapia e passaggio dalla confluenza con il didatta alla differenziazione consapevole (Margherita aveva già prodotto studi e lavori sulla centralità della “masticazione” nell’iter di apprendimento), la novità, piuttosto, è l’enfasi sull’etica dell’appartenenza e dell’apertura all’altro, al nuovo, al diverso.

In una società segnata dal crollo delle certezze e dai conflitti inter (e intra) individuali, sposare la causa dello “stare con l’altro” educandosi al senso di responsabilità e all’etica della relazione mi appare come un messaggio forte e nobile, coraggioso e gravido di speranza.

Una speranza che anche a noi terapeuti talvolta vacilla. Libri come questo hanno il benefico effetto di rinnovarla e corroborarla.