CYBERBULLISMO. INTERVISTA A MARGHERITA SPAGNUOLO LOBB

Comportarsi o essere un cyberbullo nasce dal desiderio di «dominare l’altro», causandogli «stati d’animo umilianti» e «Internet in questo caso è un rischio». Ma questo comportamento è soltanto «un surrogato della stima di sé»: il bullo o la bulla, come le proprie vittime, «ha bisogno di aiuto».
Perché un ragazzo dovrebbe diventare un cyber bullo?
«Il motivo è che il dominio sull’altro, il fatto di provocargli stati d’animo spiacevoli e umilianti e assoggettarlo a sé facendo leva sulla paura, è un surrogato della stima di sé. Il bullo o la bulla costruisce un senso di potere personale sulle spalle della debolezza provocata negli altri».
Però nell’immaginario collettivo, il bullo è spavaldo e sicuro di sé.
«Chi si comporta da bullo, contrariamente alle apparenze, non è una persona forte e sicura di sé ma esprime insicurezza, scarsa autostima e immaturità. E, come le proprie vittime, ha bisogno di aiuto, e non di essere condannato senza appello e isolato. Anche perché, in molti casi, la responsabilità del suo comportamento non è completamente sua, ma in buona misura anche dell’ambiente familiare e sociale».
Quale la «cura» per questi ragazzi?
«Fare sentire l’amore incondizionato di chi si prende cura di loro, cosa a cui non sono per nulla abituati, a cui non credono. Ma è l’unica cosa che può redimerli verso un atteggiamento di rispetto delle fragilità proprie e dell’altro».
L’avere avuto storie di abusi, alle spalle in famiglia, può essere una causa?
«Sappiamo che tutti coloro che abusano di qualcuno hanno imparato a sottomettere l’altro dalla loro storia familiare. Quelli che abusano, compresi i bulli, sono stati umiliati, non sono stati aiutati a crescere orgogliosi delle proprie forze. Sono ragazzi che hanno subito umiliazioni e vessazioni dai genitori o dagli educatori. Non hanno potuto sviluppare un potere personale pieno e rispettoso verso l’altro. Devono rubare la stima di sé ai più deboli, perché l’unico modo che hanno per sentirsi potenti e validi è l’abuso di potere su chi sentono debole. E si sentono legittimati a farlo perché anche loro l’hanno subito».
In un bambino o in un ragazzo ci sono dei comportamenti che devono far suonare un campanello d’allarme per i genitori? Si può riuscire a capire se il figlio sia o stia per diventare un bullo?
«Le caratteristiche di un bullo sono la spavalderia e la negazione della propria fragilità. A volte questo può tradursi in comportamenti impulsivi frequenti, che mirano ad affermare la propria volontà. Ma il comportamento potrebbe essere anche diametralmente opposto: il ragazzo potrebbe anche chiudersi in lunghi silenzi, come se vivesse solo covando risentimento e aspettando la possibilità di esercitare il proprio potere perverso».
L’aggressività può essere un altro segnale?
«Un ragazzo che passa molte ore da solo, o che è sempre davanti al computer, o che fa battutine sulle ragazze o sull’affidabilità degli adulti, o ancora che reagisce ai rimproveri sbattendo le porte e dicendo parolacce, sta celando nel suo cuore qualcosa che va compreso».
In famiglia si tende ancora a dare la colpa alle cattive compagnie?
«Potrebbe apparire come un segnale superato e invece il pericolo è ancora attualissimo. Il genitore deve abbandonare l’atteggiamento di vedere tutto ciò che riguarda il figlio come roseo e innocente. La società malata arriva a lui prima e più che a noi, attraverso internet e attraverso cattive compagnie. I ragazzi hanno bisogno di confrontarsi con i pari, è essenziale per la loro crescita, dunque il genitore deve controllare che compagnie frequenta non per soffocarlo ma per garantirgli il più possibile un ambiente sicuro. Oggi i genitori devono controllare le frequentazioni dei figli e la sfida per loro è proprio il farlo con amore e non con ansia soffocante».
Quali sono gli altri aspetti di un potenziale bullo?
«Cerca disperatamente di essere membro di un gruppo e questo perché si lascia influenzare dal gruppo. E per essere qualcuno in quel gruppo, per dimostrare di non avere paura, imita chi li istiga. Hanno bisogno di appartenenza, e a volte non ci sono appartenenze alternative per loro. La società offre ben poco per gli adolescenti.
Altri segnali possono essere ad esempio il provare imbarazzo davanti a gesti d’affetto dei genitori: non reggono l’emozione di essere amati. Altro aspetto è il non rispettare le regole. Il bullismo spesso è figlio di un’educazione carente sul piano del rispetto. Se i genitori non intervengono quando le regole di casa e della famiglia vengono violate il bambino, a lungo andare, può cominciare a pensare che questo comportamento non solo sia tollerabile e accettabile, ma anche vantaggioso. Gli atteggiamenti di bullismo, poi, spesso si accompagnano a scarso rendimento scolastico, fino ad arrivare all’abbandono degli studi».
La diffusione di Internet ha amplificato il loro raggio d’azione?
«Internet ormai è onnipresente, ma continua a essere un rischio. Perché per il bullo andare in Rete è fonte di piacere: qui cerca di affermare il proprio potere. Oggi non si può dare fiducia alla Rete, e quindi non si ci si può fidare dell’uso che un minore ne fa. Non è questione di non dare fiducia al figlio, ma di garantirgli un ambiente pulito e rispettoso dei suoi sentimenti. Su Internet sono soprattutto le chat e i social network a essere un ambiente pericoloso per i ragazzini».
Cosa deve fare un genitore?
«La prima cosa che un genitore deve fare è stare vicino al figlio e osservare i suoi modi di essere, cercando di capirlo empaticamente. Senza scoraggiarsi, perché è solo dalla relazione coraggiosa con i figli, dal non temere di “disturbarli” o di essere soffocanti, che nasce la possibilità che crescano con buone abitudini».
da: Giornale di Sicilia del 10 febbraio 2016, giornalista Pierpaolo Maddalena