Definizione approccio gestaltico con i bambini

Derivato diminuitivo da bambo, voce imitativa del sec. XVI, primitivamente = infante e, solo più tardi, = semplice, sciocco.
Le lettere B-P-M, che per essere labiali sono fra le prime che i neonati articolano, servono in molte lingue a formare i nomi di parentela con la ripetizione della stessa sillaba, come può vedersi nella voce babbo. In tal modo devono essersi formati bimbo e bambo.

«[…] ciò che ci riguarda nel lavoro con i bambini sono i loro mondi: il mondo interiore (di immaginazione, creatività, pensieri e sentimenti in evoluzione) ed anche il loro mondo esterno (di realtà politica e sociale, condizioni economiche e pratiche culturali e valori)» (Wheeler, 2000, p. 56).

«Un modello di processo del sé ed esperienza del sé basato sul campo intero implica che la dimensione organizzativa più centrale nello sviluppo è […] quella intersoggettiva. Come animali umani il nostro ambiente è prima di tutto sociale. […] L’ambiente che viene integrato nel processo di sé in evoluzione del/la bambino/a, deve anch’esso evolversi nel tempo, in una qualche armonia organizzata con la crescita biologica ed esperienziale del/la bambino/a» (ibidem, pp. 44-45).

«La prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt ci induce ad allargare la prospettiva di osservazione del bambino al campo fenomenologico in cui è inserito ed alla reciprocità, al reciproco muoversi-verso-l’altro che caratterizza la nostra vita. In altre parole, la melodia che il bambino impara a suonare fa parte a sua volta di un’opera musicale più ampia, che si crea nel campo fenomenologico, e che è anch’essa un adattamento creativo. […]

Bambino e caregivers creano insieme il loro incontro, in una zona di confine che la psicoterapia della Gestalt ben definisce come “confine di contatto”, in una logica esperienziale, processuale e fenomenologica» (Spagnuolo Lobb, 2012, pp. 40-41).

«Gli schemi coi quali i bambini affrontano o superano gli ostacoli per provvedere a soddisfare le loro curiosità, i loro interessi e i loro bisogni sono processi cinetici attraverso i quali loro crescono. […]

Iniziando nel grembo materno e affacciandosi durante tutti i primi anni di vita, gli schemi evolutivi del movimento facilitano il formarsi iniziale della percezione di sé e della percezione dell’altro, della conoscenza di sé e della scoperta dell’altro. […]

Ciascuno schema che va formandosi è la risposta all’ambiente relazionale, ed esprime un bisogno dominante al momento della sua comparsa. Ciascuno schema promuove il processo di contatto, la qualità e lo stile con cui i neonati (e i bambini e gli adolescenti e gli adulti) sono continuamente in contatto con i loro corpi e con l’ambiente circostante» (Frank, 2005, pp. 44-45).

«[…] molti bambini classificati come bisognosi di aiuto hanno una cosa in comune: un indebolimento delle funzioni di contatto. Gli strumenti del contatto sono guardare, parlare, toccare, ascoltare, muoversi, odorare e gustare. I bambini problematici sono incapaci di fare buon uso di una o più funzioni di contatto nelle loro relazioni con gli adulti della loro vita, con gli altri bambini o con l’ambiente in genere. […]

Via via che si risvegliano i sensi e che l’individuo comincia a riconoscere il proprio corpo, potrà riconoscere, accettare ed esprimere le emozioni perdute. Apprenderà che può fare delle scelte e verbalizzare le sue richieste ed esigenze, i pensieri e le idee.

[… La terapia serve per] costruire il senso di sé del bambino, rafforzarne le funzioni di contatto e rinnovare il contatto con i suoi sensi, il corpo, le emozioni e l’uso dell’intelletto. […]

Il bambino si sviluppa attraverso l’esperire. La consapevolezza è così strettamente legata al fare esperienza che non c’è l’una senza l’altra e viceversa» (Oaklander, 1999, pp. 80-82).

«I bambini in terapia sono considerati come un gruppo specifico, con caratteristiche precise e peculiari, in quanto nei primi anni di vita il confine tra salute e patologia è molto più sfumato che negli adulti. Ogni intervento terapeutico, che, per definizione, crea equilibrio e comporta effetti a lungo termine, richiede estrema cautela da parte del terapeuta. In primo luogo, i bambini sono solitamente portati da un terapeuta e non vanno di propria iniziativa. Sono nella maggior parte dei casi gli adulti che definiscono il problema, la sua gravità e il momento di svolta della richiesta d’aiuto» (Levi, 2014, p. 293).

«[…] un modello di intervento in psicoterapia infantile [comporta delle specificità rispetto alla terapia con gli adulti, è necessario sia] estremamente flessibile, […] che si fondi sulla possibilità di entrare in contatto profondo con l’esperienza del bambino, di rispondere al suo bisogno (che nella relazione terapeutica si trasforma in risorsa), di mettere in scena attraverso molteplici linguaggi il proprio mondo interno, di far trasparire la propria esperienza e spazializzarla» (Cartacci, 2002, pp. 32-33).

Bibliografia

Cartacci F. (2002). Bambini che chiedono aiuto. L’ascolto e la cura nella terapia dell’esperienza. Milano: Unicopli.
Frank R. (2005). Il corpo consapevole. Un approccio somatico ed evolutivo alla psicoterapia. Milano: FrancoAngeli.
Oaklander V. (1999). Il gioco che guarisce. La psicoterapia della Gestalt con bambini e adolescenti. Catania: E.P.C..
Spagnuolo Lobb M. (2012). “Lo sviluppo polifonico dei domini. Verso una prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt”, Quaderni di Gestalt, vol. XXV, 2012/2, Milano: FrancoAngeli.
Wheeler G. (2000). “Per un modello di sviluppo in psicoterapia della Gestalt”, Quaderni di Gestalt, XVI, 30/31: 40-57.
Levi N. (2014). “La gabbia dorata dell’adattamento creativo: un approccio gestaltico alla psicoterapia con bambini e adolescenti”. In: Francesetti G., Gecele M., Roubal J. (a cura di). La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all’estetica del contatto. Milano, FrancoAngeli.

Hanno contribuito alla redazione della voce:
Resp. di redazione – Silvia Tinaglia
Collaboratori (in ordine cronologico) – Silvia Tosi

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