In inglese Retroflection
Dal latino rĕtrō-flexum, composto da rĕtrō=all’indietro e flexum, participio passato del verbo flectĕre=piegare.
Retroflessione significa “che una certa funzione che originariamente è diretta dall’individuo verso il mondo, cambia direzione ed è rivolta all’indietro, verso colui che l’ha originata” (Perls, 1995, p. 130).
“Retroflettere significa letteralmente ‘rivolgere esattamente indietro, contro’. Quando una persona retroflette il suo comportamento, vuol dire che fa a se stesso ciò che originariamente fece o ha cercato di fare ad altre persone o ad altri oggetti […] perché ha incontrato quello che allora costituiva per lui un’opposizione insuperabile. L’ambiente – per la maggior parte altre persone – si è mostrato ostile riguardo ai suoi tentativi volti al soddisfacimento dei propri bisogni, l’ha frustrato e punito. […] Non bisogna giungere subito alla conclusione che sarebbe meglio per tutti, senza ulteriori indugi, ‘liberare le nostre inibizioni’. In alcune situazioni, trattenersi è necessario, può perfino salvare la vita. La questione importante è quella di vedere se la persona attualmente ha o no dei motivi razionali per soffocare il suo comportamento in determinate circostanze. […]
Quando la retroflessione è sotto un controllo consapevole – cioè quando una persona, in una situazione corrente, reprime delle risposte particolari che, se espresse, gli arrecherebbero danno – nessuno può constatare la validità di tale comportamento. La retroflessione è patologica solo quando risulta abituale, cronica e incontrollabile; poiché allora non è qualcosa che viene fatto temporaneamente, come misura di emergenza o in occasione di un momento particolare, ma costituisce un intoppo, un punto morto perpetuato nella personalità. Inoltre, giacché questa linea di battaglia stabilizzata non cambia, l’attenzione cessa e noi ‘dimentichiamo’ che essa sia lì. Questo costituisce, quindi, la rimozione e la nevrosi” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, pp. 419-420).
Nella recente prospettiva dello sviluppo polifonico dei domini, teorizzato da Margherita Spagnuolo Lobb, la “modalità del retroflettere, del sentire la pienezza della propria energia confinata/tenuta al sicuro all’interno del corpo e del sé” (Spagnuolo Lobb, 2012, p. 44) è considerata un dominio, “definito in psicoterapia della Gestalt come un’area di processi e competenze per il contatto, che appartiene allo sfondo dell’esperienza, e che è pronto a diventare figura in certi momenti, e ad interagire con altre capacità, o domini. […] si riferisce a competenze chiaramente differenziate, che hanno uno sviluppo proprio durante tutto l’arco della vita, e che interagiscono reciprocamente dando origine all’armonia (potremmo anche dire alla gestalt) della competenza attuale della persona” (ibidem, p. 34).
Nel retroflettere, l’“energia viene dall’agire su sé stessi. […] Il bambino ora acquisisce la capacità di stare solo, di riflettere, di produrre i propri pensieri, di inventare una storia […]. Questa modalità di contatto sta alla base della capacità di fidarsi e sentirsi al sicuro con se stessi, e si sviluppa lungo tutto l’arco della vita. Il rischio, in condizioni di desensibilizzazione del confine di contatto, è che la retroflessione possa condurre alla solitudine, e la creatività del soggetto possa rivelarsi all’altro come grandiosità” (ibidem, p. 44).
“Per evitare l’ansia, ciò che [si] fa è stabilire un contatto attraverso stili di interruzione o resistenza alla spontaneità, come il retroflettere: lo sviluppo dell’eccitazione è interrotto ritorcendola verso di sé, anziché lasciare che essa conduca al contattare l’ambiente pienamente” (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 84).
“Dal punto di vista teorico, curare la retroflessione è semplice: si tratta, meramente, di capovolgere la direzione dell’atto di retroflessione, dall’interno all’esterno. Facendo così, le energie dell’organismo, in precedenza divise, si uniscono di nuovo e si scaricano verso l’ambiente. All’impulso bloccato viene data finalmente l’opportunità di esprimersi e di completarsi rimanendo così soddisfatto.[…] Nella pratica, però, il disfarsi di una retroflessione non è così semplice. Ogni parte della personalità corre alla sua difesa come per impedire una catastrofe. La persona viene sopraffatta dall’imbarazzo, dalla paura, dal senso di colpa e dal risentimento.[…] La ragione principale che spiega la paura e il senso di colpa provocati dal capovolgimento delle retroflessioni è il fatto che la maggior parte degli impulsi retroflessi rappresentano delle aggressioni, variando da quelle più leggere alle più crudeli, dalla persuasione alla tortura” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, p. 421).
Bibliografia
Perls F. (1995). L’io, la fame e l’aggressività, Milano: Franco Angeli.
Perls F., Hefferline R.F., Goodman P. (1997). Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, Roma: Astrolabio.
Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, Milano: Franco Angeli.
Spagnuolo Lobb M. (2012). Lo sviluppo polifonico dei domini. Verso una prospettiva evolutiva della psicoterapia della Gestalt, Quaderni di Gestalt vol. XXV n. 2012/2, Milano: Franco Angeli.