INCONTRI diVISIONI

.Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi relazionale in dialogo.

a cura di Margherita Spagnuolo Lobb

L’articolo è la trascrizione della tavola rotonda conclusiva del seminario di studio organizzato a Roma nel gennaio 2007 dall’Istituto di Gestalt HCC e dall’Istituto di Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi relazionale (ISIPSÈ). I direttori di entrambe le scuole di specializzazione dialogano con i professori Daniel Stern, Massimo Ammaniti e Nino Dazzi su alcuni concetti teorici centrali per ciascun approccio e sui loro risvolti clinici. Ne scaturisce un interessante dibattito: i concetti di coscienza, consapevolezza, conoscenza implicita ed esplicita, vissuto corporeo, transfert e controtransfert, intenzionalità, vengono analizzati alla luce di diversi paradigmi epistemologici, dalla psicoanalisi classica a quella relazionale, dalla psicoterapia della Gestalt a l’infant research.

Al di là del bisogno di differenziazione (spesso competitiva) tra metodi, vigente fino agli anni ’90, oggi si assiste ad una disponibilità nuova del mondo della psicoterapia ad aprire le frontiere interne e interrogarsi su temi clinici che tutti – con linguaggi teorici diversi – affrontano. Il seminario, di cui qui riportiamo la tavola rotonda finale, organizzato da due Scuole di Specializzazione in Psicoterapia per i loro allievi, ha voluto iniziare un percorso dialogico finalizzato ad un confronto clinico.

(…)

Daniel Stern

Prima di tutto vorrei fare un breve excursus storico sull’intersoggettività, per capire dove possiamo collocare questo incontro nella storia di entrambe le scuole. Penso di aver fatto un lungo percorso sull’intersoggettività e penso che questo possa servire molto a chiarire come siamo arrivati a quello che sappiamo oggi. Molti di noi qui hanno attraversato questa storia di cambiamento.

Quando ero uno studente la prospettiva assolutamente dominante in ogni psicoterapia era la prospettiva psicoanalitica. È importante notare che il luogo in cui siamo giunti adesso rappresenta una rivoluzione, talvolta tranquilla e talvolta più tempestosa, rispetto al modello psicoanalitico di base.

Ho sentito parlare qualcuno degli studenti: ma perché vi preoccupate tanto di quello che succedeva negli anni ’50? La verità è che la battaglia non è ancora finita, continua.

Che cosa ha detto Freud e di che cosa tratta la psicoanalisi tradizionale? Un approccio che potremmo chiamare “intrapsichico”. Questo vuol dire che se noi due siamo in terapia – lui è il mio analista e io sono il suo paziente – la cosa di cui ci dobbiamo occupare è ciò che è nella mia testa, nella mia mente. E in realtà è già là tutto quello che dobbiamo sapere e quindi noi dobbiamo soltanto scoprirlo, smascherarlo. L’analista è semplicemente un mezzo, uno strumento per questa scoperta, il fatto che sia vivo è una cosa secondaria. Il modo in cui l’analista può non contaminare ciò che deve vedere con ciò che è dentro di lui è fare un passo indietro ed essere neutrale. Da questa prospettiva vengono tutte le affermazioni del tipo lo “psicoanalista come chirurgo”, che non deve contaminare, che deve avere una certa freddezza e non deve parlare della sua vita personale. Ecco perché si chiama “intrapsichico”, perché tutta l’azione è qua dentro, nella mia testa di paziente.

Questo movimento è stato però messo in crisi già molto prima degli anni ’50. Probabilmente la persona che è stata più influente nel mettere in crisi questa ottica della co-creazione diventa assolutamente essenziale nel pensiero della intersoggettività. La stessa cosa possiamo dire per il momento presente. C’è una concordanza nel pensare che bisognerebbe tenere la seduta centrata nel qui ed ora.

Quindi nasce la domanda, che non c’era prima, “dove è il qui e quando è l’ora?”. Ci arriveremo tra un po’ (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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