Nell’approccio fenomenologico, non serve rendere parola l’esperienza corporea, in quanto ciò che è, è (una rosa è una rosa…), e la parola non è “più evoluta” del sentire corporeo.
Corpo e parola hanno uguale dignità relazionale.
…la parola non è un processo parallelo al vissuto corporeo: essa fa parte della capacità integratrice del corpo stesso. La parola nasce dal corpo. …Abbiamo un modo nuovo di pensare alla parola, non come mentalizzazione di un impulso, né come capacità parallela all’esperienza corporea, ma come integrazione socializzata di un vissuto corporeo. La parola nasce al confine di contatto, non nella mente, quindi è un tutt’uno con il processo corporeo, è la capacità dell’organismo di condividere il proprio essere-con (la parola ha una funzione sociale, ovviamente, di condivisione) rimanendo integrato nell’esperienza corporea. In altre parole, la parola vera, quella portatrice di spontaneità, sgorga dal corpo, è anch’essa movimento, azione, parte di un tutt’uno che è il sentire al confine di contatto, in cui il sentire corporeo è primario. La parola che sgorga dal corpo ha la qualità della spontaneità e del contatto: riesce, come la poesia, a raggiungere il cuore dell’altro perché si costruisce creativamente con lo scopo del contatto, non con lo scopo di rispettare canoni linguistici. Un esempio è l’esclamazione di un bambino che vede una biscia arrotolata su se stessa: “Mamma, c’è un verme aggirondato!” La parola “aggirondato” dà sensazioni corporee vive, trasmette il senso del movimento dell’arrotolamento, del cerchio del girotondo, è creativa, molto più della parola “arrotolato”.
M.Spagnuolo Lobb
Tratto da: Il corpo come “veicolo” del nostro essere nel mondo.
In Quaderni di Gestalt, Volume XXVI, 2013/1, L’esperienza corporea in psicoterapia
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