Siamo esposti, sovraesposti alla bellezza oggettuale e al dolore visivamente rappresentato: ma proprio questa continua esposizione ci desensibilizza alla bellezza relazionale, al dolore vivo che trasforma, alla speranza che in questa trasformazione dimora.
La psicopatologia è assenza al confine di contatto, quindi anche anestesia e protezione dal dolore. La psicoterapia riapre i sentieri del sentire, dà dignità e dimora al dolore, ne rivela la bellezza e lo trasforma nell’arte del contatto tra terapeuta e paziente, tra l’organismo e il suo ambiente.
da Atti del III Convegno della Società Italiana Psicoterapia Gestalt
L’amore che cura è una sorta di faro che illumina la bellezza dell’altro, una luce che ne rende visibile la vitalità armonica insita nell’integrità con cui egli sta nella relazione, l’intenzionalità di contatto con cui egli si pone, per adattarsi alla situazione con tutta la sua creatività e unicità. Quando il terapeuta si chiede: “Che cosa in questo paziente mi attrae genuinamente?”, sta orientando il faro del proprio amore terapeutico, affinché il paziente possa risvegliare – attraverso il guardarsi in questa luce – il senso della propria bellezza, che implica la spontaneità dell’esserci.
Margherita Spagnuolo Lobb