intrappolata

Intrappolata nelle sue parole, un libro di Chiara Caracò

Con immenso piacere l’Istituto di Gestalt HCC Italy promuove il prodotto letterario di Chiara Caracò, specializzanda presso la sede di Palermo.
In un periodo attraversato da affettività labili, gli adolescenti e i giovani hanno bisogno di essere educati sentimentalmente affinché siano in grado di riconoscere un amore non sano che spesso porta logoramento interiore. La storia raccontata fa riflettere sulla fragilità e forza degli esseri umani. Lo sfogo dell’esperienza travolgente che mette in discussione le scelte e il benessere di Akira, si racchiude nello studio di uno psicoterapeuta nel momento in cui lei diventa consapevole di essere intrappolata nelle parole dell’uomo che ama. Avere il coraggio di reagire è il primo passo verso la rinascita.
“Intrappolata nelle sue parole” sarà presente al salone internazionale della fiera di Torino dal 10 al 14 Maggio nello stand della Kimerik.
 
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094121503

sonoro-musicale

La musicoterapia in una prospettiva intersoggettiva

-Alfredo Raglio e Osmano Oasi

L’articolo pone l’attenzione sulla necessità di individuare una possibile cornice teorica per la musicoterapia. In merito a ciò propone una possibile integrazione tra la prospettiva intersoggettiva e la libera improvvisazione sonoro-musicale. Gli Autori individuano in alcuni concetti chiave, quali ad esempio quelli di “sintonizzazione affettiva”, “affetti vitali” e “momento presente”, il punto di contatto con la prassi musicoterapica improvvisativa. Secondo questa prospettiva le potenzialità terapeutiche dell’elemento sonoro-musicale sono attribuibili alle sue caratteristiche di organizzatore e regolatore nello sviluppo dell’individuo. In tal senso la musicoterapia può favorire, attraverso il canale non verbale sonoro-musicale, il determinarsi di relazioni rappresentative e simboliche sempre più motivate e interiorizzate.

(…)

Aspetti musicali dell’interazione madre/bambino

Le osservazioni di Stern (1985) sulle vicissitudini degli affetti inducono a dare particolare rilevanza all’elemento sonoro-musicale. In particolare, nel corso dell’interazione madre/bambino è possibile individuare, secondo questo autore, momenti di attunement o di disattunement: con essi ci si riferisce a momenti di sintonizzazione o di dissintonia affettiva presenti nella diade, in grado di creare aree di esperienza più o meno condivise. Già nel 1975 Stern aveva messo in evidenza come, nell’ambito delle primitive forme di interazione madre/bambino, vi siano una varietà di comportamenti «il movimento, il tono della testa e del corpo, le espressioni dello sguardo e del volto e le vocalizzazioni» (corsivo nostro) (Stern et al., 1975), che progressivamente si organizzano in modo coerente rispetto alla comunicazione di emozioni ed affetti. Inoltre, a causa delle loro caratteristiche strutturali, «la danza e la musica sono esempi per eccellenza dell’espressività degli affetti vitali» (Stern, 1985) e contribuiscono a determinare quelle condizioni di sintonizzazione affettiva a partire dalle quali si costruisce un primitivo senso del Sé. Curiosamente Stern (1998) utilizza un’immagine tratta dalla comune esperienza concertistica per descrivere gli scambi tra la diade durante l’allattamento: «La madre è come un direttore d’orchestra (talvolta il direttore è il bambino): fa entrare in azione diversi strumenti (scuote, fa oscillare, parla) e regola il volume quanto è necessario per mantenere il bambino al giusto livello d’eccitazione e d’attenzione» (ibidem).

Occorre evidenziare che la “sintonizzazione” non è un semplice processo imitativo, in cui uno dei due partner si limita a riprodurre un comportamento non verbale o sonoro-musicale dell’altro, bensì, come afferma Stern (1985), «…i comportamenti di sintonizzazione […] riplasmano l’evento e spostano l’attenzione su ciò che sta dietro il comportamento, sulla qualità dello stato d’animo condiviso» . E ancora: «L’imitazione comunica la forma, la sintonizzazione i sentimenti. In pratica, tuttavia, non sembra esistere una vera e propria dicotomia fra sintonizzazione e imitazione; i due processi sembrano piuttosto situarsi ai due estremi di uno spettro» (ibidem, 1985); poco oltre «il motivo per cui i comportamenti di sintonizzazione sono così importanti sta nel fatto che la vera imitazione non consente ai due membri della coppia di risalire ai rispettivi stati interni, ma mantiene fissa l’attenzione sul comportamento manifesto» (ibidem, 1985).

L’elemento sonoro si collega a quanto esposto poiché risulta essere parte integrante dei processi protocomunicativi che caratterizzano lo sviluppo del bambino, contenendo in sé aspetti innati e arcaici da cui scaturisce la sua potenzialità simbolica. Numerosi sono i punti di contatto tra tale elemento e la relazione madre/bambino: per esempio, la prima forma di comunicazione avviene attraverso il suono della voce che, prima di acquisire un significato semantico, acquista senso a partire dagli aspetti sonori della vocalità; non è casuale che i parametri che Stern (1985) definisce “amodali” (tempo, forma e intensità) abbiano una marcata matrice sonoro- musicale.

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L’articolo tratta anche:

Dall’interazione disdica a quella musicoterapeutica

Punti d’incontro possibili tra musicoterapia e psicoanalisi

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Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXII, 2009-2, Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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disturbi

Post-evento: "Disturbi del comportamento alimentare secondo la psicoterapia della Gestalt"

Venerdì 20 Aprile 2018, la dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb, Direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy e della scuola di specializzazione in psicoterapia della Gestalt con sedi a Siracusa, Palermo e Milano è stata invitata dal prof. Daniele La Barbera, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Palermo e Presidente del Corso di Laurea in Tecnica della Riabilitazione psichiatrica a relazionare sui Disturbi del comportamento alimentare secondo la psicoterapia della Gestalt.

Il prof. Daniele La Barbera ringraziando i presenti e introducendo e ricordando il suo rapporto di amicizia, stima e collaborazione con la Dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb, le cede la parola.

La dottoressa Spagnuolo Lobb, dopo aver sottolineato come l’alimentarsi sia una funzione fisiologica che ci lega sia alla nostra autoregolazione organismica che alle relazioni primarie e alla società, introduce l’approccio gestaltico che è un approccio fenomenologico (che guarda all’esperienza e in particolare all’esperienza che va verso qualcosa); estetico (che ci permette di conoscere i nostri pazienti attraverso la sensorialità, in base a ciò che sentiamo, a quello che sperimentiamo nel campo fenomenologico condiviso col paziente, come il terapeuta sperimenta il campo fenomenologico anoressico, bulimico, binge). Continua ancora, sottolineando l’importanza del campo fenomenologico, che è la considerazione non solo di ciò che accade al paziente ma anche di ciò che accade nella relazione terapeuta/paziente.

Prima di iniziare a fare un excursus storico dagli anni ‘70 ad oggi e a parlare nello specifico della classificazione dei disturbi alimentari, la dottoressa Spagnuolo Lobb propone una esperienza di concentrazione corporea che viene accolta pienamente dai partecipanti, chiedendo loro nello specifico come il corpo di ciascun partecipante ha fatto esperienza della colazione quella mattina e che effetto, che emozione prova ciascuno di loro ricordando questa esperienza, invitandoli infine a formare delle diadi per raccontare e condividere insieme questa esperienza, e per chi volesse riportarla anche al grande gruppo.

Successivamente propone un altro esperimento, sempre accolto con curiosità ed entusiasmo, ed infine spiega quali sono gli obiettivi terapeutici per ciascun disturbo alimentare.

La dott.sa Spagnuolo Lobb conclude ringraziando il Prof. La Barbera per l’ospitalità, l’amicizia e la collaborazione scientifica che li lega da tanti anni, e i numerosi partecipanti per l’attenzione, la curiosità e la partecipazione attiva dimostrata, scaturendo in un applauso finale caloroso da parte di tutti i presenti.

Mariangela Corriero

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Simona e il panico

– Giuseppe Sampognaro.

Simona entra nell’ambulatorio di psicoterapia come se si sentisse un’ospite indesiderata: si scusa per il ritardo (è puntualissima), tiene la testa bassa, si rannicchia in pizzo alla poltrona. È appena arrivata e sembra già pentita di avere fissato l’appuntamento e di essere qui, minuta e indifesa. Mi trasmette il suo disagio, mi sento combattuto tra la voglia di accoglierla con calore e il dovere di rispettare la sua fragilità. Dopo le solite domande rompi-ghiaccio, alle quali risponde in modo laconico («Sì…No…Ne ho qua- rantadue»), le chiedo qual è il problema.

«La mia paura» dice. «Sono perseguitata dalla paura, soprattutto di notte. Veda, io vivo sola. Di giorno stringo i denti, mi distraggo. Ma di notte…».

Mi racconta di sé: del suo matrimonio ventennale naufragato due anni fa (lui aveva diverse storie parallele a cui non aveva alcuna intenzione di rinunciare); del figlio – per lei, l’unica fonte di autocompiacimento – che studia all’estero; del lavoro che la soddisfa poco nonostante il suo impegno appassionato (insegna Lettere presso un liceo); della pochezza di rapporti interpersonali di cui è fatta la sua esistenza. Parla con voce bassa, emozionata, torcendosi le mani e sfuggendo il mio sguardo se non per intermittenti flash.

Le chiedo quando è iniziata la sua paura.

«Un anno fa. Alla fine di una giornata come tante altre, ero andata a letto. Saranno state le due di notte. Ero finalmente riuscita a farmi venir sonno, a forza di leggere e leggere. Subito dopo aver spento la luce e aver chiuso gli occhi, percepisco che qualcosa non va. Un senso di inquietudine crescente, non so… Poi avverto dei dolori al petto, come trafitture. E mi accorgo che respiro con affanno. Accendo la luce, mi tiro su, ma la situazione non cambia. Sono presa dal terrore, mi sento come precipitata in un pozzo, sto per svenire ma non perdo i sensi. Piango, mi dispero, ma sono sola, e non so a chi chiedere aiuto. Cerco di uscire di casa ma le gambe non mi reggono, tremo troppo, e mi ritrovo sul pavimento a singhiozzare. Sono sicura di stare per morire. Non so quanto tempo è passato così. Poi, piano piano, questa cosa tremenda si affievolisce, il cuore smette di sbattermi in petto, il respiro ritorna normale. Ma ho paura che tutto ricominci, e rimango sveglia sino all’alba».

Piange («mi scusi…»), mentre rievoca il primo attacco di panico. Da allora, dice, la vita è un calvario. I controlli medici non evidenziano nessun disturbo organico. Come in un film dell’orrore, dopo aver ascoltato i consigli rassicuranti degli amici e del suo medico di famiglia («Stai serena, è che sei un po’ stressata, è stato un incidente di percorso…»), ecco un’altra violenta crisi coglierla, come la precedente, mentre è sola in casa.

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Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXII, 2009-2, Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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essere

Essere-con” nel mondo di oggi.

Dialogo sulla cultura della relazione

Pietro Andrea Cavaleri e Giancarlo Pintus.

I due psicologi dialogano sulla relazione umana nell’attuale contesto sociale e culturale, sviluppando una lettura in chiave fenomenologica dei cambiamenti epocali nelle relazioni di coppia, familiari, nei gruppi e nella polis. Sulla scorta della metafora post-moderna della relazione come di “una zattera senza timone”, i due autori si confrontano sulle opportunità offerte dal superamento del primato della società sull’individuo, ma anche sulle nuove paure e i nuovi quadri psicopatologici correlati a un’individualità sempre più sganciata dallo sfondo del proprio ground di sicurezze. La relazione si configura allora come uno spazio sacro all’interno del quale nasce la mente, evento relazionale e di confine, ed emerge il bisogno di una nuova alfabetizzazione relazionale.

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Giancarlo Pintus: C’è nell’uomo contemporaneo una costante tensione verso la ricerca della felicità. Mi colpiva il paradosso provocatorio del titolo di un libro Il dovere della felicità (Carrera – La Porta, 2000). Citando economisti come Luigino Bruni (Bruni, 2004; Bruni, Porta, 2004; Bruni, Zamagni, 2004) poni una questione nuova, cioè la felicità non come una condizione dettata dal possesso e dal consumo di beni, ma dall’aver accesso e fruire del bene relazionale. Pensare alla felicità come a un bene relazionale è scardinante rispetto a un ventennio di cultura e di educazione centrate invece sulla ricerca del successo a tutti i costi; in cosa consiste questa nuova idea?

Pietro A. Cavaleri: Viviamo una cultura post-moderna in cui ci culliamo del fatto che tutti possono avere tutto, tutti possono essere ricchi, tutti si possono realizzare, ma presto scopriamo che questo non è vero, perché la crisi, le ingiustizie sociali svelano l’inganno. Per alcuni studiosi questo “inganno” è all’origine della sofferenza mentale oggi più diffusa: la depressione (Erhenberg, 1999). Scopriamo, infatti, che per un verso ci viene data la certezza di poterci realizzare al meglio, ma per un altro, in modo molto ambiguo, questo dovere della felicità ricade interamente solo sulle nostre spalle. Se falliamo la responsabilità non è del mondo, ma interamente nostra. La depressione dell’uomo di oggi è dovuta a questo surplus di responsabilità: ognuno di noi è lasciato solo davanti ai propri fallimenti.

Per diventare qualcuno c’è sempre bisogno degli altri e non solo del proprio genio; purtroppo in un mondo assetato del sostegno dell’altro, ma privo di esso, perché la relazione è negata, essere felici è un dovere il cui fallimento è interamente responsabilità del singolo. Gli stessi economisti, andando contro il senso comune, hanno scoperto che non sono solo i soldi a fare felice l’uomo. Kahneman (2003), psicologo cognitivista che si occupa di dinamiche psicologiche applicate al mercato e Nobel per l’economia, ha scoperto, ad esempio, che il mercato viene retto da fattori di tipo emotivo e non solo da variabili a carattere matematico-probabilistico: le persone non sono felici se posseggono di più. Insomma, viviamo in una sorta di “implicito collettivo” che ci fa dire ai nostri figli di studiare e di impegnarsi nella vita per fare carriera così da assicurarsi la felicità.

Molti studi (Seligman, 2003; 2004) dimostrano invece che, superato un certo livello di benessere materiale, la persona comincia a desiderare una situazione ancora migliore nella quale però il benessere economico appaga limitatamente. Il benessere non sarebbe dunque frutto di un’equazione economica tout-court, ma anche espressione di beni immateriali come la qualità delle relazioni, del clima sociale che fa da sfondo al nostro quotidiano. Tutto questo non ha prezzo, e ha invece un rilievo economico fondamentale a livello produttivo e ancor più nella nostra vita personale e di relazione. La felicità è data da un buon tenore di vita, ma c’è qualcosa di “ulteriore”: la felicità è figlia di altro e specialmente della relazione “con” l’altro (Spagnuolo Lobb, 2008).

Giancarlo Pintus: Usi spesso termini come “riconoscersi” ed “essere riconosciuti”, quasi una funzione essenziale per uno sviluppo psico-fisico sano della persona e delle relazioni. È possibile fondare su queste abilità relazionali una nuova cultura della sanità, del benessere personale e collettivo?

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Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXIII, 2010-1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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La Gestalt dell'Istituto ad Amsterdam

Dal 13 al 15 Aprile 2018 Margherita Spagnuolo Lobb ha incontrato il fondatore dell’Istituto di Gestalt di Amsterdam, Dick Lompa ed Eva Fisher, rappresentante significativa della Gestalt Therapy olandese che ha sempre combattuto per i diritti umani e la giustizia sociale.
La Dott.ssa Spagnuolo Lobb è stata invitata per tenere una prima lezione, svolta il 13 Aprile al Volden Park presso il centro culturale De Roos, sull’Amore e sulla sessualità in psicoterapia.
La seconda lezione, articolata in un workshop di due giornate, 14-15 Aprile, ha avuto come tema centrale quello del Sentimento di appartenenza in una società liquida. 
Queste le parole della Dott.ssa a conclusione di questa esperienza internazionale: “Tre giorni pieni di umanità e coraggio di vivere. Due gruppi meravigliosi, impegnati e in grado di lavorare su se stessi. Inoltre Amsterdam è un posto speciale dove puoi sentirti accettato comunque tu sia. Perfetto riconoscimento del desiderio di condividere con la comunità lo sviluppo delle proprie potenzialità.” Margherita Spagnuolo Lobb 
 

La vita e il dolore nell’arte dello psicoterapeuta.

Intervista a Umberto Galimberti
-Margherita Spagnuolo Lobb.

Attraverso gli stimoli, di ispirazione gestaltica, di Margherita Spagnuolo Lobb e le risposte, filosoficamente vicine all’approccio junghiano, di Umberto Galimberti, questa intervista affronta temi importanti della clinica contemporanea. Dal rapporto tra il ruolo e il vissuto dello psicoterapeuta, il dialogo si intreccia con riflessioni sulla società post-moderna e sulle problematiche che vengono presentate allo psicoterapeuta nel tempo della “società cementata” (dipendenze, internet, Facebook, crisi economica). Lo psicoterapeuta, come un artista, deve imparare a conoscere sia le proprie possibilità che gli strumenti di lavoro, e deve avere un tipo particolare di fede. È di fondamentale importanza che sia consapevole della propria follìa, avendola attraversata, per riconoscere quella dell’altro, che sia consapevole dei propri dolori per vedere quelli dell’altro, che possa sentire il proprio corpo per sostenere la sensibilità dell’altro. Ed è altrettanto importante che lo psicoterapeuta si “protegga” dalla contaminazione che un’esposizione eccessiva al dolore può provocare.

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Margherita Spagnuolo Lobb: Una cosa volevo chiederti sull’estetica e sul corpo: in psicoterapia della Gestalt pensiamo che stando con i sensi, cioè con l’esperienza piena dei sensi, si pervenga (si tratta di una fiducia nell’autoregolazione) ad un adattamento creativo, cioè a fare la cosa migliore (per sé e per l’altro) in quella data situazione. Cosa pensi della fiducia nell’adattamento creativo, e del legame che questo concetto ha con l’estetica?

Umberto Galimberti: Intendi fiducia nell’adattamento creativo nella relazione?

Margherita Spagnuolo Lobb: Si, stare con i sensi significa sentire me stesso ma anche intuire l’altro, stare con l’altro. In psicoterapia della Gestalt si parla di co-costruire il confine di contatto appunto.

Umberto Galimberti: Quando parlavamo di mancanza di risonanza emotiva, facevamo riferimento a questo. Le neuroscienze direbbero, come ho anticipato, che oggi mancano i neuroni specchio, per cui non riusciamo empaticamente a capire che cos’è l’altro. Poi trasliamo dall’estetica come sensorialità all’estetica come bellezza, che è un passaggio naturale. Le stesse ragazze non hanno una percezione del proprio corpo perché decidono la loro bellezza in uno stato di immobilità, ossia guardandosi allo specchio. Tenendo conto che allo specchio sono ferme, non sono nel mondo, vedono il particolare e non vedono la totalità. Non si vedono, credono che la bellezza sia quella costruzione artificiale di cui tutte le pratiche pubblicitarie le hanno persuase.

Margherita Spagnuolo Lobb: Forse potremmo collegare questa tendenza all’oggettivazione del corpo (o alla sua desensibilizzazione) con quanto tu scrivi sulla vita e sul dolore. Tu citi la cultura greca, e il senso del tempo concluso della vita, vissuta alla ricerca dell’armonia tra vita e dolore. L’integrazione tra vita e dolore avveniva nell’arco della vita terrena, e questo contribuiva ad un senso di integrità ricercata nel qui e ora, più che posposta in una vita ultraterrena, come voluto invece dalla cultura giudaico cristiana. Noi terapeuti dobbiamo necessariamente fare i conti con la vita e il dolore, e con la possibilità di integrarli, sia per i pazienti che per noi stessi. Volevo farti un paio di domande su questo: la prima riguarda il vissuto del terapeuta. Pensi che un terapeuta possa sentirsi se stesso nella seduta?

Umberto Galimberti: Essere se stesso è un luogo d’identità solido, uno zoccolo duro. Quando si incontra una persona, i processi di fiducia nascono se lei continua ad essere quella persona. Se una volta la vedo seria e una volta la vedo annoiata, non posso sviluppare fiducia. Poi, all’interno della relazione, il primo sforzo del terapeuta dovrebbe essere quello di entrare nella visione del mondo dell’altro, cambiando anche radicalmente il linguaggio. Faccio un esempio. Io ho fatto terapia ad una suora, nella prima seduta le ho detto: “Guardi, qui nel nostro lavoro mancano due fattori molto importanti, la pratica sessuale, alla quale lei non ha accesso per sua scelta, e il linguaggio (sto parlando della psicoanalisi), che è fortemente adornato di metafore sessuali. Allora facciamo un esperimento: io introduco le metafore sessuali e le metafore religiose e parliamo religiosamente”. E si può parlare religiosamente. Si può fare. Lei si è trovata a casa.

Comprendere vuol dire captare empaticamente il nucleo; nel caso patologico, il nucleo delirante di una persona. Quando tu hai catturato questo nucleo, tutte le sue manifestazioni ritornano come un teorema e quindi l’hai compreso. Ma anche nell’ambito non psicopatologico, io comprendo se capisco il nucleo da cui si diparte la visione del mondo dell’altro. Noi non abitiamo il mondo, ma abitiamo solo e unicamente la visione che abbiamo del mondo. Il compito terapeutico è per me vedere se tu stai soffrendo per le cose che ti accadono nel mondo o per l’interpretazione che dai delle cose che ti accadono nel mondo. Stai soffrendo per il mondo o perché la tua visione del mondo te lo fa vedere in quella modalità? Dunque in terapia allarghiamo la visione del mondo. (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXIII, 2010-1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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Wolfgang

Aspettando il convegno di Giugno: chi è Wolfgang Tsachacher?

L’Istituto di Gestalt HCC Italy ospita Wolfgang Tsachacher per il Convegno Internazionale che si terrà nei giorni 8-9 Giugno 2018 a Siracusa. Durante la prima giornata verrà trattato il tema corporeità e psicopatologia, durante la seconda giornata si parlerà di nuovi sviluppi scientifici sulla sincronìa terapeutica. Un dialogo in cui saranno coinvolti esponenti italiani della Psicoterapia della Gestalt.
Ma chi è Wolfgang Tsachacher?

“E’ uno psicoterapeuta tedesco (Università di Berna), senza dubbio uno dei ricercatori che attualmente contribuiscono in modo significativo agli studi scientifici inerenti la fenomenologia del processo relazionale.

Uno dei maggiori meriti di Tschacher è stato finora quello di presentare l’attuale stato dell’arte rispetto alle ricerche in questo senso, realizzando una review della principale letteratura scientifica necessaria a individuare e definire quella forma di intersoggettività chiamata sincronia interpersonale.

Le evidenze empiriche individuate dai suoi studi hanno permesso a Tschacher di giungere, insieme al collega Sander Koole (Università di Amsterdam), non solo ad una maggiore comprensione di ciò che avviene durante la relazione tra persone, ipotizzando fattori facilitanti o ostacolanti, ma anche alla definizione di un modello che possa permettere di leggere l’evolversi del processo di sincronia interpersonale all’interno di una delle relazioni intime più profonde, la relazione psicoterapeutica.

Personalmente, ritengo che il lavoro di Tschacher rappresenti un punto importante per la ricerca in Psicoterapia che inevitabilmente avrà delle ripercussioni sugli aspetti clinici. Inoltre, la Psicoterapia della Gestalt sta facendo importanti passi verso questa direzione, come dimostrato dall’ultimo lavoro di Margherita Spagnuolo Lobb sul modello osservativo dei Passi di danza che rappresenta un importante strumento di osservazione, lettura e comprensione non solo dell’evolversi della relazione tra caregiver e bambino ma anche tra terapeuta e paziente. In tal senso, le ricerche di Tschacher permettono certamente di presentare lo sfondo internazionale all’interno del quale si collocano gli ultimi lavori a riguardo.

Per questi motivi, avere l’opportunità di ascoltare direttamente chi contribuisce in modo concreto e significativo al progresso scientifico in psicoterapia, avendo la possibilità di chiedere e toccare con mano idee, pensieri e intenzionalità sarà un importante momento di crescita personale e professionale che permette di unire ricerca e lavoro clinico.” Dott.ssa Corrada Valentina Di Rosa, Psicoterapeuta della Gestalt 

 
Il Convegno Internazionale offre l’opportunità di conoscere e ascoltare le teorie di Wolfgang Tsachacher in dialogo con esponenti italiani della psicoterapia della Gestalt come: Margherita Spagnuolo Lobb, Santo Di Nuovo, Pietro A. Cavaleri, Antonio Narzisi, Giuseppe Sampognaro, Valeria Rubino e Michele Cannavò.
Ogni relatore aggiunge così un tassello al quadro di Studio e di Ricerca coinvolgendo i partecipanti con momenti esperienziali.
L’evento inoltre rilascia crediti ECM e uno sconto per assistere alle rappresentazioni classiche del Teatro di Siracusa.
 
La partecipazione è gratuita, per iscriverti o saperne di più clicca qui 
 
 
 

now-for-next

Parliamo del Now-for-next

Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-modernaSpagnuolo Lobb M. (2011).
-Giuseppe Sampognaro

Il libro di Margherita Spagnuolo Lobb, direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, è stato dato alla luce dopo un travaglio assai lungo, segnato da vicende personali e professionali anche dolorose. Alla fine, la caparbietà dell’Autrice – che tra i tanti meriti ha anche quello di avere introdotto la PdG in Italia, più di trent’anni fa – è stata premiata. Valeva davvero la pena di attendere tanto: è venuta fuori un’opera che sicuramente segna un passaggio importante nella definizione dei concetti teorici (alcuni davvero innovativi) e metodologici, su cui il lavoro di ogni psicoterapeuta della Gestalt è basato.

Incarnando in modo letterale l’idea portante espressa dal titolo, il contenuto del libro ci indica le linee attuali e le prospettive future del nostro modello, e “ci costringe” a interrogarci sull’essenza stessa del nostro lavoro: i principi che guidano l’approccio alla persona che ci chiede aiuto, la magìa dell’incontro terapeutico, le varie declinazioni e i contesti della pratica clinica (setting individuale, di coppia, di famiglia, di gruppo…), il significato profondo dell’essere terapeuta della Gestalt all’interno di una società palesemente diversa da quella per la quale fu elaborata la visione gestaltica del prendersi cura.

Nel testo di Margherita è palpitante l’inclinazione narrativa (lo dichiara il sottotitolo: “La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna”) per cui assistiamo al delinearsi della nostra storia attraverso il trascolorare della visione del rapporto tra individuo e ambiente, della conoscenza umana, di come perseguire l’obiettivo del benessere. Il lettore apprende, attraverso il racconto di Margherita Spagnuolo Lobb, il clima culturale in cui l’idea gestaltica prese corpo circa sessant’anni fa e le sue trasformazioni nel tempo, grazie al contatto con altre chiavi di lettura psicologica (come la psicoanalisi radicale: stimolante a tale proposito il dialogo riportato nel secondo capitolo con Philip Lichtenberg) e, più in generale, con un pensiero “liquido” che muta gli intenti e il campo terapeutico: dall’ottica della differenziazione alla riscoperta del dialogo e dell’appartenenza.

I punti fermi del corpus teorico gestaltico sono enunciati nell’Introduzione, che di per sé equivale a un manifesto ideologico della psicoterapia della Gestalt: il passaggio dall’intrapsichico alla “traità”; la sovranità dell’esperienza; la rivalutazione dell’aggressività positiva; la lettura teleologica del contatto e del confine di contatto; il valore estetico della terapia; la ridefinizione del processo di figura/sfondo. Tutto questo, all’interno di una cornice teorica ancorata alla fenomenologia del contatto per cui, dice Margherita Spagnuolo Lobb, “se l’attenzione del terapeuta è rivolta all’here-and-now, la sua cura è centrata sul now-for-next”.

Tra i dieci capitoli di cui si compone l’opera, tutti indispensabili per il terapeuta, esperto o in itinere, che desideri approfondire il senso del proprio agire, vorrei citarne due per motivi differenti. Quello dedicato alla prospettiva evolutiva mi sembra il più nuovo, denso com’è di concetti che meritano di essere assimilati nel tempo, anche attraverso il dialogo tra colleghi: muovendosi in un’ottica intersoggettiva, ingloba nel pensiero gestaltico la lezione di Daniel Stern, sostituendo il concetto di sviluppo fasico con quello di “sviluppo polifonico di domìni”; quest’ultimo prevede l’emergere di competenze ben differenziate, che si sviluppano lungo l’arco della vita interagendo tra loro. Tutto questo si rivela divergente rispetto al modello evolutivo finora considerato nell’Istituto HCC; un modello che sino ad oggi ha identificato le modalità di contatto sincronico (introiettare, proiettare ecc.) come le “fasi da raggiungere in sequenza diacronica per conquistare la maturità relazionale”.

Margherita, in sostanza, prende le distanze dalla costruzione di mappe epigenetiche delle fasi maturative. Un’idea che, sicuramente, susciterà un dibattito tra chi ha sempre considerato valido il parallelismo tra tempi/modi di contatto e tappe dello sviluppo psicorelazionale del bambino. Un’ottima occasione – comunque – di confronto, uno stimolo a non dare per scontata la onnicomprensività con cui il “modello della curva” è stato da noi strenuamente applicato.

Il capitolo a mio parere più succoso e portatore di ricadute positive per il nostro lavoro di terapeuti in continuo aggiornamento è il quarto, dedicato a now-for-next e diagnosi gestaltica. Attraverso l’analisi dei vari stili narrativi che scaturiscono da specifiche modalità di contatto (narrazioni terapeutiche con stili di contatto introiettivo, proiettivo, retroflessivo, confluente), Margherita Spagnuolo Lobb rileva la creatività intrinseca al racconto in terapia come accadere processuale. Al contempo, presenta le modalità che il terapeuta attua nel sostenere l’intenzionalità di contatto nelle varie tipologie di stili relazionali.

Il capitolo si configura come un ottimo e quanto mai opportuno update dello “storico” articolo che la stessa Autrice pubblicò sul numero 10/11 dei Quaderni di Gestalt, più di vent’anni fa (“Il sostegno specifico nelle interruzioni di contatto”). È un capitolo che, da solo, conferisce valore e significato all’intero testo. In queste pagine leggiamo l’esperienza del terapeuta che “vede” la resilienza del paziente, la valorizza, e aiuta la persona a indirizzare il proprio adattamento creativo verso la spontaneità a partire da quel suo modo, specifico e originale, di muoversi al confine di contatto con l’Altro.

Il capitolo sette presenta un apprezzato modello di lavoro con le coppie, che l’autrice ha introdotto in vari contesti internazionali e in Italia.
Il capitolo otto descrive un modello originale di lavoro con le famiglie.
Il capitolo nove presenta il modello di lavoro gestaltico con i gruppi, mentre il capitolo dieci applica l’approccio con i gruppi all’esperienza formativa.

Un’ultima annotazione sul capitolo conclusivo, che rappresenta un vero tributo d’amore da parte dell’Autrice nei confronti dei suoi vecchi e nuovi allievi; in fondo, il libro è rivolto a loro, e forse per loro è stato scritto.

Oltre all’idea di processo formativo come destrutturazione della materia-psicoterapia e passaggio dalla confluenza con il didatta alla differenziazione consapevole (Margherita aveva già prodotto studi e lavori sulla centralità della “masticazione” nell’iter di apprendimento), la novità, piuttosto, è l’enfasi sull’etica dell’appartenenza e dell’apertura all’altro, al nuovo, al diverso.

In una società segnata dal crollo delle certezze e dai conflitti inter (e intra) individuali, sposare la causa dello “stare con l’altro” educandosi al senso di responsabilità e all’etica della relazione mi appare come un messaggio forte e nobile, coraggioso e gravido di speranza.

Una speranza che anche a noi terapeuti talvolta vacilla. Libri come questo hanno il benefico effetto di rinnovarla e corroborarla.