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INCONTRI diVISIONI

.Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi relazionale in dialogo.

a cura di Margherita Spagnuolo Lobb

L’articolo è la trascrizione della tavola rotonda conclusiva del seminario di studio organizzato a Roma nel gennaio 2007 dall’Istituto di Gestalt HCC e dall’Istituto di Psicologia Psicoanalitica del Sé e Psicoanalisi relazionale (ISIPSÈ). I direttori di entrambe le scuole di specializzazione dialogano con i professori Daniel Stern, Massimo Ammaniti e Nino Dazzi su alcuni concetti teorici centrali per ciascun approccio e sui loro risvolti clinici. Ne scaturisce un interessante dibattito: i concetti di coscienza, consapevolezza, conoscenza implicita ed esplicita, vissuto corporeo, transfert e controtransfert, intenzionalità, vengono analizzati alla luce di diversi paradigmi epistemologici, dalla psicoanalisi classica a quella relazionale, dalla psicoterapia della Gestalt a l’infant research.

Al di là del bisogno di differenziazione (spesso competitiva) tra metodi, vigente fino agli anni ’90, oggi si assiste ad una disponibilità nuova del mondo della psicoterapia ad aprire le frontiere interne e interrogarsi su temi clinici che tutti – con linguaggi teorici diversi – affrontano. Il seminario, di cui qui riportiamo la tavola rotonda finale, organizzato da due Scuole di Specializzazione in Psicoterapia per i loro allievi, ha voluto iniziare un percorso dialogico finalizzato ad un confronto clinico.

(…)

Daniel Stern

Prima di tutto vorrei fare un breve excursus storico sull’intersoggettività, per capire dove possiamo collocare questo incontro nella storia di entrambe le scuole. Penso di aver fatto un lungo percorso sull’intersoggettività e penso che questo possa servire molto a chiarire come siamo arrivati a quello che sappiamo oggi. Molti di noi qui hanno attraversato questa storia di cambiamento.

Quando ero uno studente la prospettiva assolutamente dominante in ogni psicoterapia era la prospettiva psicoanalitica. È importante notare che il luogo in cui siamo giunti adesso rappresenta una rivoluzione, talvolta tranquilla e talvolta più tempestosa, rispetto al modello psicoanalitico di base.

Ho sentito parlare qualcuno degli studenti: ma perché vi preoccupate tanto di quello che succedeva negli anni ’50? La verità è che la battaglia non è ancora finita, continua.

Che cosa ha detto Freud e di che cosa tratta la psicoanalisi tradizionale? Un approccio che potremmo chiamare “intrapsichico”. Questo vuol dire che se noi due siamo in terapia – lui è il mio analista e io sono il suo paziente – la cosa di cui ci dobbiamo occupare è ciò che è nella mia testa, nella mia mente. E in realtà è già là tutto quello che dobbiamo sapere e quindi noi dobbiamo soltanto scoprirlo, smascherarlo. L’analista è semplicemente un mezzo, uno strumento per questa scoperta, il fatto che sia vivo è una cosa secondaria. Il modo in cui l’analista può non contaminare ciò che deve vedere con ciò che è dentro di lui è fare un passo indietro ed essere neutrale. Da questa prospettiva vengono tutte le affermazioni del tipo lo “psicoanalista come chirurgo”, che non deve contaminare, che deve avere una certa freddezza e non deve parlare della sua vita personale. Ecco perché si chiama “intrapsichico”, perché tutta l’azione è qua dentro, nella mia testa di paziente.

Questo movimento è stato però messo in crisi già molto prima degli anni ’50. Probabilmente la persona che è stata più influente nel mettere in crisi questa ottica della co-creazione diventa assolutamente essenziale nel pensiero della intersoggettività. La stessa cosa possiamo dire per il momento presente. C’è una concordanza nel pensare che bisognerebbe tenere la seduta centrata nel qui ed ora.

Quindi nasce la domanda, che non c’era prima, “dove è il qui e quando è l’ora?”. Ci arriveremo tra un po’ (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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fenomenologia

Fenomenologia delle relazioni intime e della violenza

modelli di intervento clinico sui legami di coppia e genitoriali.

Silvia Tinaglia, Serena Iacono Isidoro, Milena Dell’Aquila.

Il tema è stato trattato in occasione del convegno, organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy, il 20 febbraio 2015. Ha avuto luogo a Palermo, nello storico Palazzo Chiaramonte Steri, un evento che ha posto l’attenzione su un fenomeno oggi molto diffuso, la violenza di genere e intra-familiare. Il convegno ha ospitato un dialogo tra: Vincenzo Caretti, Pietro A. Cavaleri, Vittorio Cigoli, Angela Maria Di Vita, Margherita Spagnuolo Lobb. Hanno inoltre portato la loro esperienza sul campo rilevanti professionisti del territorio palermitano.

Al fine di proporre una lettura complessa del fenomeno, l’incontro ha riunito contributi di professionalità impegnate a vari livelli nei diversi ambiti di prevenzione, valutazione e cura della violenza, offrendo un’ottica capace di rivolgersi a tutti i professionisti che operano, a vario titolo, nel settore: psicologi, psicoterapeuti, avvocati, assistenti sociali, medici di famiglia, pedagogisti, insegnanti, operatori di comunità, agenti di pubblica sicurezza. (…)

La prima relazione è stata del prof. Vittorio Cigoli, professore emerito di Psicologia Clinica, direttore dell’Alta Scuola di psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel suo intervento, Clinica dei legami familiari: il modello relazionale simbolico, il relatore ha proposto che il clinico, consapevole dei limiti del proprio sguardo nell’osservare la complessità delle relazioni familiari, dia rilievo ai legami generativi tra vittima-persecutore-terzo (il figlio o qualsiasi membro della famiglia d’origine) e al sostegno dei tre versanti simbolici della matrice latente dei legami: la giustizia, la fiducia e la speranza. La relazione terapeutica può aiutare a riconquistare la fiducia relazionale e ad aprirsi alla speranza, particolare forma di consolazione che nasce «dal silenzio, dall’attesa e dal saper vedere elementi di bene proiettati nella realtà».

Il contributo specifico della psicoterapia della Gestalt al tema è stato esposto dalla dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb nel suo intervento Estetica delle relazioni intime e della violenza. La relatrice ha introdotto il concetto di conoscenza relazionale estetica, modalità conoscitiva che consente di cogliere sia la carica energetica del contatto, sia la gestalt di movimento che sostiene il desiderio di raggiungere l’altro. Osservandola dalla prospettiva del campo fenomenologico, la violenza emerge quando il contatto è desensibilizzato, quindi l’altro viene assimilato a sé e il bisogno personale diviene prioritario, oppure l’altro, visto in relazione a ciò che non si è e si vorrebbe essere, è invidiato e legato a sé con un potere seduttivo che lo assoggetta e lo invade, senza rispettarne i confini. In tali casi, l’intervento psicoterapeutico possibile è orientato, da un lato, a ri-sensibilizzare il confine di contatto tra chi subisce e chi agisce la violenza, dall’altro, a sperimentare nella relazione d’aiuto «la fiducia nella terra che sostiene il passo desideroso di avanzare». (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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Buona Pasqua dall'Istituto di Gestalt HCC Italy

La Pasqua di resurrezione esprime un valore radicale, una profonda scelta esistenziale di rispettare fino in fondo ciò che accade (senza combatterlo per dominarlo),
credendo nell’umanità amata da Dio e sostenendo nell’altro, a qualsiasi “partito” appartenga, la spinta verso il bene.
 

Easter brings a radical value, a deep existential choice to respect what is till the end (instead of fighting it and dominate it).
And the value of believing into humanity which has been loved by God, of supporting the drive to reach the other,  no matter which “party”she or he belongs to.

Un viaggio tra Arte e Neuroscienze

Report CreativaMente LAB.

In occasione dell’evento mondiale della Settimana del Cervello, sponsorizzato in Italia da Hafrica.net, tenutosi dal 12 al 18 Marzo 2018, abbiamo pensato di proporre presso la sede di Siracusa dell’Istituto di Gestalt HCCC Italy, un evento che avvicinasse la creatività alle neuroscienze.

L’idea è nata ed è continuamente stimolata dagli incontri che in questo anno abbiamo avuto con la scuola. Entrare in contatto con le esperienze corporee, guardare il sintomo come adattamento, andare alla ricerca della bellezza nell’altro, riuscire a guardare l’altro come un opera d’arte e vedere la relazione come una danza sono stati per noi concetti difficili da masticare, molto diversi  dagli apprendimenti universitari, eppure profondamente familiari. E’ stato stimolante apprendere che non esiste un modo specifico di fare psicoterapia della Gestalt, ma tante psicoterapie quanti sono i suoi terapeuti. Abbiamo cosi cominciato una curiosa ricerca tra le tecniche usate da vari terapeuti della Gestalt, del nostro e di altri istituti, da Michele Cannavò, Giuseppe Sampognaro, Oliviero Rossi. Abbiamo partecipato ai loro seminari, interagito con i loro modelli e  ci siamo lasciate contagiare dalla loro creatività.

Spinte, quindi,  dalla voglia di fare, scoprire e metterci in gioco, abbiamo messo in campo tutto ciò che abbiamo appreso ed è così venuto fuori “CreativaMente LAB: un viaggio tra Arte e Neuroscienze”.  L’obiettivo che ci siamo poste di raggiungere era mostrare a ciascuno che la creatività non è una prerogativa di pochi, o uno speciale talento di persone fuori dal comune, ma è un ingrediente fondamentale per una vita sana ed è per tutti nessuno escluso.

Il seminario, dal taglio teorico-esperenziale, si è svolto il 15 Marzo 2018, dalle ore 16.00 alle ore 19.00, nei locali dell’Istituto, presso la sede di Siracusa.

L’evento ha riscosso un considerevole successo nei 13 partecipanti che si sono mostrati entusiasti alla possibilità di entrare in contatto con la loro parte creativa. Il gruppo partecipante era eterogeneo per formazione, professione e personalità. Hanno aderito psicoterapeuti, psicologici, educatori, studenti di fisica, di matematica ed un musicista.

Il nostro viaggio tra Arte e Neuroscienze ha avuto inizio con una breve presentazione iniziale delle organizzatrici, dell’istituto e del gruppo; seguita da una fase di rilassamento per la formazione del ground e da esercizi “rompi ghiaccio”, in cui era richiesto ai partecipanti di tentare un primo approccio con la loro creatività, attraverso la realizzazione di sculture corporee, che abbiamo fotografato dietro loro consenso.

Successivamente abbiamo dato spazio alla parte teorica, accennando ad una relazione tra arte e scienza, attraversando il vasto mondo della “neuroestetica” che si propone di comprendere insieme le opere d’arte ed il cervello, le forme artistiche e le risposte viscerali, fino ad arrivare alle recenti scoperte di Vittorio Gallese dei “neuroni specchio”.

Infine, abbiamo dato spazio ad una esperienza creativa co-creata, supportata dall’utilizzo delle immagini, attraverso l’adozione di tecniche fotografiche, messe a punto da Michele Cannavò. Oltre alle fotografie, da noi selezionate, l’esperienza è stata arricchita con stimoli per le altre sfere sensoriali come profumi mediterranei e non (menta, cannella, limone, chiodi di garofano, semi di finocchio e terra bagnata), suoni (melodie di accompagnamento, voci, rumori, canzoni, ecc..), colori e movimenti (inteso come azione, gesto, postura). I partecipanti sono stati guidati alla scoperta di tutti gli stimoli presenti nell’ambiente e sono stati invitati a rilassarsi e a scegliere le foto o gli odori da cui venivano maggiormente attratti, a cui si sentivano legati da un ricordo, un’emozione, un desiderio. Dopo una parte individuale, l’esperienza ha avuto seguito in piccoli gruppi, legati dall’affinità delle scelte operate e infine, nel gruppo allargato, dove è stato chiesto ai partecipanti di raffigurare un’immagine che potesse rappresentare l’esperienza compiuta attraverso una scultura corporea gruppale che richiamasse l’esperienza iniziale.

L’evento si è concluso con una condivisione delle sensazioni provate durante l’esperienza. I partecipanti hanno dato feedback molto positivi, evidenziando come le attività condotte avessero stimolato il loro benessere psicofisico, il divertimento, la creatività e il senso di appartenenza al gruppo. Riferiamo a tal proposito un loro feedback che ci ha molto colpito, arrivato in seguito alla visione della foto della scultura di gruppo: “Se qualcuno la vedesse dall’esterno, se guardasse i nostri sorrisi e i nostri sguardi complici, non direbbe mai che siamo degli estranei”.

Il seminario infine si è chiuso con la frase di Zinker: :“La creatività è un atto di coraggio. Essa afferma: sono disposto a rischiare il ridicolo e il fallimento per poter sperimentare questo giorno con novità e freschezza. Chi ha il coraggio di creare, di rompere i confini, non solo prende parte ad un miracolo, ma finisce anche per rendersi conto che in questo divenire egli è un miracolo.”(J. Zinker, 2002) e con la consapevolezza condivisa che la creatività è un ingrediente fondamentale della vita ed è per tutti, nessuno escluso!

Dott.ssa Andrea Roberta Di Rosa
Dott.ssa Michela Mazzone
Dott.ssa Federica Sciacca

Si ringraziano:

  • Margherita Spagnuolo Lobb, direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, per averci concesso l’opportunità di realizzare l’evento;
  • Giuseppe Sampognaro didatta dell’Istituto di Gestalt HCC Italy per i suoi attenti e preziosi consigli.
  • Michele Cannavò e Salvo Libranti didatti dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, per il sostegno, la vicinanza e la spinta a credere in questo evento.
  • Marco Lobb e la segreteria dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, per l’organizzazione dell’evento;
  • Emma Lo Magro e Bruna Ferlito, allieve didatte dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, per la cura nella preparazione del seminario.
esperienza

Esperienza addictive: processi neurobiologici e riconoscimento terapeutico

-Giancarlo Pintus

Nel solco del rapporto tra teoria e pratica della psicoterapia della Gestalt e sapere neuro- scientifico, l’autore delinea le connessioni tra i processi neurobiologici nell’addiction e i vissuti traumatici di questa esperienza. Le aree corticali e subcorticali implicate nei processi dell’addiction risultano profondamente interconnesse con quelle deputate alle funzioni cognitive. Si tratta delle stesse aree che si attivano nelle primarie relazioni di attaccamento e che nell’addiction vengono traumatizzate dalla potenza dell’esperienza addictive. Esiste un nesso funzionale tra bisogno di appartenenza, sostegno e vulnerabilità all’addiction. La terapia dell’addiction diventa trasformativa nella misura in cui sa accogliere e coronare questa intenzionalità di appartenenza del campo organismo-ambiente.

Desiderio, piacere, addiction

Non si può comprendere l’esperienza addictive senza una riflessione sul piacere quale quota esistenziale determinante nella vita umana, ed è necessario guardare all’addiction come una disfunzione del piacere e dell’attaccamento. Cuore dell’esperienza addictive è la ricerca del piacere assoluto (Pintus e Crolle Santi, 2014); le aree corticali e subcorticali implicate nei processi percettivi del piacere risultano profondamente interconnesse e interdipendenti con le aree deputate alla memoria, l’apprendimento e il comportamento volontario. Stimoli particolarmente piacevoli attivano questi circuiti inviando all’organismo, tramite la cosiddetta cascata dopaminergica, il segnale biochimico che l’esperienza in atto è la cosa giusta in quel momento, una sensazione di allentamento della tensione paragonabile al sentirsi a casa propria.

È l’intensità della percezione che facilita l’apprendimento: più è forte il vissuto associato all’esperienza più l’apprendimento si integra stabilmente nello sfondo esistenziale modificando le strutture e le funzioni cerebrali. Un ruolo centrale è svolto, come detto, dai neuroni dopaminergici del sistema mesolimbico particolarmente impegnati nella modulazione dei processi di aspettativa del piacere (desiderio), mentre la componente consumatoria che genera appagamento sembra da attribuirsi all’endorfina (Guerrini, Marraffa, 2012). La distinzione tra desiderio e piacere è fondamentale nell’instaurarsi di un’esperienza di addiction poiché è l’aspettativa della ricompensa già sperimentata in precedenza a muovere la ricerca compulsiva dell’oggetto gratificante anche quando, per l’azione omeostatica dell’organismo, gli effetti sperimentati sono di potenza sempre inferiore.

2. Addiction come esperienza traumatica

3. Neuroplasticità e competenze relazionali nell’esperienza addictive

4. La terapia: tra biochimica ed esperienza di buon contatto

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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now-for-next

Dall’here-and-now al now-for-next.

Un esempio clinico

-Margherita Spagnuolo Lobb

La seduta qui pubblicata è un’anticipazione del mio libro Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt spiegata attraverso casi clinici, di imminente pubblicazione con la casa editrice Franco Angeli. Nel capitolo in cui è inserita, questa seduta ripercorre nella pratica clinica gli aspetti della relazione terapeutica in psicoterapia della Gestalt.

In questo contesto, invece, la seduta ha lo scopo di stimolare il dialogo sull’evoluzione della clinica gestaltica. Il lettore potrà confrontarsi su differenze e similitudini con il proprio stile terapeutico, e soddisfare la propria curiosità circa ciò che gli psicoterapeuti della Gestalt concretamente fanno oggi all’interno del setting. Per un approfondimento dei concetti metodologici, rimando al libro.

Vorrei sottolineare che, nell’attività clinica, il mio obiettivo è che il paziente ripristini la spontaneità nel contattare l’ambiente. Secondo la psicoterapia della Gestalt, ciò che cura non è la comprensione razionale e quindi il controllo del disturbo, bensì qualcosa che ha a che fare con aspetti processuali ed estetici. La cura consiste nell’aiutare il paziente a vivere pienamente, rispettando la propria innata capacità di regolarsi nella relazione, e non solo a livello verbale, ma soprattutto a livello di spontanea attivazione delle strutture neuro-corporee preposte alla vita di relazione. La spontaneità è l’arte di integrare gli aspetti del sé: la capacitá di scegliere deliberatamente (ego-function) con due tipi di sfondi esperienziali, le sicurezze corporee acquisite (id-function) e le definizioni sociali – o relazionali – di sé (personality-function).

Siamo ben lontani da un concetto di spontaneità che si confonde con quello di impulsività (proprio della antropologia freudiana), in quanto, a differenza dell’impulsività, nella spontaneità c’è la capacità di “vedere” l’altro. E siamo pure lontani da un’idea roussoiana della spontaneità fanciullesca: essa è al contrario l’arte – che si apprende negli anni – di integrare tutte le esperienze, comprese quelle dolorose, in uno stile persona- le armonico e pienamente presente ai sensi, che sono il mezzo fisiologico con cui entriamo in relazione.

Premessa

La seduta è stata registrata nel mio studio. Ha luogo il 5 dicembre del 2006. La paziente è tale per me solo per la durata della seduta: è infatti una allieva che si è offerta volontaria per un video didattico. Ha 32 anni, è psicologa, frequenta il terzo anno della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt.
La seduta si gioca tutta sulla modalità di contatto introiettiva. Come terapeuta, uso lo stesso codice esperienziale della paziente. Il mio stile, inusualmente direttivo in questa seduta, è un modo per parlare lo stesso linguaggio della paziente.

La seduta terapeutica

Paziente e terapeuta sono sedute una di fronte all’altra, su poltrone girevoli che consentono una rotazione di 360 gradi. Per tutta la seduta si guardano frontalmente, non girano la poltrona. Le telecamere sono in un angolo della stanza.

T. Buon giorno, E. Pz. Buon giorno, M.

T. Siamo qui per fare questa cosa un poco strana… (Mi riferisco all’essere riprese in seduta).

Pz. Si…e mi emoziona tanto.

T. Un incontro intimo ma… pubblico…

Pz. …pubblico infatti …però è anche bello così … T. …sì.
Pz. Penso che non sia la solita situazione.
T. Esatto: è una situazione nuova.

Pz. Nuova … mm … per me che sono una che … ho un po’ paura a volte del rischio…per me è un tuffo, ecco.

T. Quindi hai deciso di fare questo tuffo.

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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psicoterapia del trauma

La psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico

-Willi Butollo e Regina Karl.

Le esperienze traumatiche non solo provocano i noti sintomi legati al trauma, ma modificano altresì il sé ed i processi del sé della persona. Per il trattamento dei disturbi post-traumatici abbiamo a disposizione molteplici concetti terapeutici alternativi, che si basano su diversi modelli patogenetici. L’importanza della capacità dialogica intrapsichica, necessaria all’elaborazione del disturbo relazionale e delle interruzioni di contatto conseguenti al trauma, viene in genere trascurata.

La psicoterapia del trauma ad orientamento processuale, qui presentata, inserisce alcuni elementi della psicoterapia comportamentale all’interno della cornice della psicoterapia della Gestalt e si fonda su un concetto relazionale, con l’obiettivo di identificare e di sciogliere le interruzioni di contatto del soggetto. In questo modo si rendono nuovamente possibili il vissuto di continuità del soggetto e la capacità di risposta del sé. Utilizzando l’“esposizione dialogica” si fa riferimento alla natura dialogica dei processi del sé in ogni fase della terapia e si permette in questo modo alla persona di entrare in contatto e di confrontarsi con diverse parti di sé (traumatiche, non-traumatiche, pre-traumatiche).

1. Principi della psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico

La psicoterapia del trauma presentata di seguito coniuga dei metodi comportamentali con una cornice gestaltica. I metodi comportamentali, vengono utilizzati specialmente per ridurre i sintomi. I metodi gestaltici affrontano invece l’aspetto relazionale del trauma. Obiettivo della terapia, è sia la riduzione della sintomatologia, sia l’integrazione dell’esperienza traumatica e delle sue conseguenze nell’attuale contesto di vita.

La nostra psicoterapia del trauma comprende quindi due livelli. Il livello del trattamento dei sintomi, è molto specifico ed i relativi metodi si orientano verso una modalità terapeutica comportamentale. Il livello dell’interazione è invece piuttosto a-specifico, perché pone al centro l’elaborazione soggettiva del trauma. L’orientamento relazionale – cioè il contatto e la capacità di entrare in contatto – rappresentano il focus della terapia, dove per contatto si intende la modalità di attuare relazioni sia verso l’esterno (rete sociale), sia verso l’interno (capacità di dialogo tra le rappresentazioni delle parti di sé) (Butollo, 1997; Butollo, Krüsmann e Hagl, 1998).

L’articolo tratta i seguenti temi:

2. Il modello della psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico
3. Processo terapeutico
4. Esposizione dialogica

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIIV, 2011-1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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legami

Dialogo sui legami in una società liquida

Dalla coppia alla pòlis

-Annalisa Molfese, Giuseppina Salamone

Il tema delle relazioni di coppia è stato affrontato nel 2009 durante un seminario teorico-esperenziale organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy. L’Istituto di Gestalt HCC Italy, da sempre impegnato nello scambio e nella ricerca del dialogo con chi da diversi punti di vista è interessato a temi quali le relazioni, i legami, l’intimità, la diversità e l’integrazione, si è avvalso della presenza del prof. Robert Lee di Boston, psicoterapeuta della Gestalt di fama internazionale, da anni impegnato nel lavoro con le coppie in America ed in Europa.

Il prof. Lee, docente del Gestalt Institute di Cleveland, ha presentato ad allievi ed ex allievi della scuola di Gestalt – ma anche a psicoterapeuti di diversa formazione – un modello di intervento clinico con le coppie da lui sviluppato nel corso della sua più che trentennale esperienza di lavoro psicoterapico. Tale modello offre un approccio nuovo ai problemi di coppia che non è né analitico né sistemico ma fenomenologico-relazionale (e dunque squisitamente gestaltico). Esso si basa su due concetti chiave che caratterizzano le relazioni intime: il senso di vergogna da una parte e il bisogno di appartenenza dall’altro.

La necessità di instaurare un legame intimo appartiene al desiderio di costruire un posto speciale e sicuro, la relazione appunto, dove avere la possibilità di “essere” e di essere accolti. La vergogna in tal senso viene intesa dal prof. Lee come un fenomeno relazionale che, nelle sue diverse manifestazioni (rabbia, aggressività, sarcasmo, critica etc.) e nonostante la sua funzione protettiva (che è quella di preservare dall’umiliazione dell’essere valutati negativamente dall’altro), blocca la spontaneità dell’individuo nell’incontro. La vergogna è un “tirarsi indietro” dalla relazione, dal contatto sano, e conduce perciò all’isolamento, alla non espressione del proprio essere.

Ma dove c’è la vergogna, la paura, la sensazione di non essere accolti, c’è anche una intenzionalità di contatto: il desiderio, inespresso, di vicinanza, di intimità, di raggiungere l’altro. L’acquisizione di tale consapevolezza può aiutare l’individuo e la coppia a riconoscere la propria e l’altrui vergogna in modo da poter ripristinare il sano flusso dell’esperienza dell’essere in relazione. È proprio sulla possibilità che i partner sperimentino un contatto sano con l’altro che il lavoro terapeutico si concentra: riconoscere la vergogna, il “segreto inconfessabile” che blocca il loro autentico stare insieme.

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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trauma

Trauma e Gestalt

Rinarrare una storia indicibile

– Lucia Guarnaccia e Jlenia Baldacchino.

L’articolo offre uno spunto per affrontare il trauma secondo la psicoterapia della Gestalt. Oltre alla lettura gestaltica del fenomeno, viene presentato il Protocollo Nova, in cui sono state previste delle domande il cui obiettivo è quello di fornire un primo sostegno al ciclo di contatto interrotto. L’aspetto originale consiste nell’integrazione del protocollo all’uso delle foto nella ricostruzione autobiografica dell’esperienza traumatica e il superamento di essa. L’articolo, inoltre, descrive una seduta terapeutica in cui L., paziente con diverse esperienze traumatiche alla spalle, sperimenta un nuovo modo di raccontarsi, condividendo con il terapeuta un nuovo modo di esserci nella relazione che le consente di sperimentare la spontaneità del contatto.

La trattazione del tema “Trauma e Gestalt” nasce dall’idea di voler approfondire un concetto che molti terapeuti si trovano ad affrontare tentando di fornire il giusto sostegno per quei pazienti, la cui vita è spesso segnata dalla ricerca di una verità, che però non li convince in pieno, o da cui forse si tengono sempre a debita distanza. Infatti, la nostra vita è regolata da attribuzioni di significato che costituiscono vere e proprie griglie per decodificare il mondo in cui viviamo e come ci muoviamo in esso.

Il trauma è un evento che rompe inaspettatamente questo senso che ognuno traccia nella propria vita, e che lascia impotenti di difendersi e di essere difesi.
Quando si è vittima di un’esperienza di sopraffazione inaspettata, violenta, travolgente e inconcepibile, come nel caso di abusi sessuali, di incidenti automobilistici o di disastri naturali, crollano anche numerose funzioni fondamentali della vita psichica, come il senso dell’identità, il senso della temporalità, la possibilità di dare un significato all’evento. Ciò rende l’evento non solo doloroso ma anche traumatico.

La trattazione dell’argomento, sviluppa il concetto di trauma secondo la psicoterapia della Gestalt e fornisce un esempio clinico, partendo da un forte interesse nei confronti dell’autobiografia come strumento valido per costruire l’identità della persona traumatizzata, utilizzando l’approccio della “foto-terapia” di Oliviero Rossi.

Trauma e Gestalt

Secondo la psicoterapia della Gestalt, la persona traumatizzata riesce a proteggere in qualche modo la sua vita psichica dal crollo della propria identità. In particolare, ciò che essa fa è aggirare la consapevolezza del terribile evento e dei bisogni che sono stati frustrati, effettuando come un salto da questa sensazione difficile da assimilare all’azione, che viene compiuta senza alcun significato (Cohen, 2002).

Ne consegue un’energia che rimane bloccata, una figura incompleta e un disorientato muoversi nell’ambiente disgiunto dalla sua eccitazione. L’organismo, così come si evidenzia nel disturbo post-traumatico da stress, proverà ogni tanto ad avvicendare a questa desensibilizzazione dei tentativi di rivivere pienamente le sensazioni di quell’esperienza attraverso vie alternative (flashback, sogni, ricordi), ma esse saranno solo prove iniziali di assimilare un’esperienza che risulterà ripetutamente inassimilabile.

Nell’attività di psicoterapeuta, lavorando con pazienti oncologici e con ragazzi vittime di incidenti stradali, ci si trova ad ascoltare più volte vissuti e storie interrotte e, con esse, tentativi sia di dare senso al dolore sia, successivamente, di voler dimenticare momenti insopportabili. La psicoterapia della Gestalt permette non solo di leggere queste dolorose esperienze, ma soprattutto di offrire ai pazienti un adeguato sostegno. (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIIV, 2011-1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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flussi migratori

Flussi migratori tra clinica e società.

Metamorfosi culturale, conflitto e bisogno di radicamento

– Sebastiano Messina

Il tema è stato trattato durante un convegno a Siracusa nelle date del 5 – 6 giugno 2015 avviando una riflessione sul fenomeno della migrazione, analizzandolo nella sua complessità, come fenomeno di respiro internazionale, ma con particolare attenzione alle forti ricadute locali. Il convegno ha ospitato un dialogo con l’etnopsichiatra Piero Coppo sul tema. 

La prof.ssa Margherita Spagnuolo Lobb con l’intervento dal titolo Dal bisogno di autonomia al bisogno di radicamento della società post-moderna: la continuità culturale possibile oggi, ha da subito tracciato le coordinate utili alla comprensione del fenomeno. Continuità culturale o frattura? Radicamento o desensibilizzazione? Senso estetico o pregiudizio? Secondo la prof.ssa Spagnuolo Lobb prendersi cura del rapporto con la diversità, in questo momento di grande metamorfosi culturale, vuol dire aiutare le persone a riconoscere la tensione al contatto, così da sentire nella relazione con l’altro il proprio corpo in un modo non desensibilizzato. La società è, inoltre, chiamata a prestare maggiore attenzione ai riti di passaggio dalla famiglia alla polis, così da assicurare maggiore sostegno al bisogno di radicamento.

L’intervento del prof. Coppo, Continuità culturale, ibridazioni, metamorfosi, ha dato prosecuzione alle riflessioni sul tema della “continuità versus frattura culturale” e ha evidenziato come benessere o malattia risentano fortemente della presenza di fattori protettivi o di rischio, connessi alla presenza o alla perdita dei propri riferimenti sociali e personali. L’etnopsichiatria indaga le modalità attraverso cui sostenere i soggetti nel recupero del proprio benessere, mediante il ricorso a quegli ausili, procedure, codici che costituiscono lo sfondo culturale di provenienza del migrante. «Non potremmo fare il nostro lavoro se chi entra nei nostri ambulatori deve lasciare fuori il suo mondo, i suoi pensieri, i suoi dei, la sua concezione della salute, della malattia e della cura».

Un importante contributo al dialogo è stato fornito dal dott. Pietro A. Cavaleri con un intervento dal titolo Conflitti e processi di riconoscimento, nel corso del quale le riflessioni emerse sono state coniugate con esperienze socio-politiche locali, legate al doppio ruolo del dott. A. Cavaleri, psicoterapeuta della Gestalt e assessore alle Politiche Sociali e all’Interculturalità del Comune di Caltanissetta. È stata illustrata la condizione migratoria vissuta nel territorio del Comune di Caltanissetta, dove risiedono stabilmente molti stranieri e l’amministrazione comunale, in collaborazione con alcune associazioni, ha aperto una “Casa dei popoli”, luogo di mediazione e incontro tra i bisogni di identità e di continuità culturale dei residenti, sia italiani che stranieri. (…)

L’Istituto di Gestalt HCC Italy, sempre attento ai mutamenti sociali, nel voler organizzare il convegno Flussi migratori tra clinica e società, ha perseguito l’obiettivo di favorire il confronto clinico su un tema complesso e attuale, dagli importanti risvolti sociali, che ridisegnano il ruolo rivestito della psicoterapia oggi. Gli interventi si sono articolati tenendo conto di diverse figure e sfondi: dalla lettura dei vissuti del migrante ai mutamenti sociali; dalla sfida del far incontrare le diversità a quella di riflettere sul ruolo della psicoterapia come cura delle appartenenze. Di particolare importanza è stata l’attenzione dedicata, da parte dei relatori, alla partecipazione sociale e politica come tassello indispensabile nella cura del singolo e della comunità.

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Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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