esperienza

Esperienza addictive: processi neurobiologici e riconoscimento terapeutico

-Giancarlo Pintus

Nel solco del rapporto tra teoria e pratica della psicoterapia della Gestalt e sapere neuro- scientifico, l’autore delinea le connessioni tra i processi neurobiologici nell’addiction e i vissuti traumatici di questa esperienza. Le aree corticali e subcorticali implicate nei processi dell’addiction risultano profondamente interconnesse con quelle deputate alle funzioni cognitive. Si tratta delle stesse aree che si attivano nelle primarie relazioni di attaccamento e che nell’addiction vengono traumatizzate dalla potenza dell’esperienza addictive. Esiste un nesso funzionale tra bisogno di appartenenza, sostegno e vulnerabilità all’addiction. La terapia dell’addiction diventa trasformativa nella misura in cui sa accogliere e coronare questa intenzionalità di appartenenza del campo organismo-ambiente.

Desiderio, piacere, addiction

Non si può comprendere l’esperienza addictive senza una riflessione sul piacere quale quota esistenziale determinante nella vita umana, ed è necessario guardare all’addiction come una disfunzione del piacere e dell’attaccamento. Cuore dell’esperienza addictive è la ricerca del piacere assoluto (Pintus e Crolle Santi, 2014); le aree corticali e subcorticali implicate nei processi percettivi del piacere risultano profondamente interconnesse e interdipendenti con le aree deputate alla memoria, l’apprendimento e il comportamento volontario. Stimoli particolarmente piacevoli attivano questi circuiti inviando all’organismo, tramite la cosiddetta cascata dopaminergica, il segnale biochimico che l’esperienza in atto è la cosa giusta in quel momento, una sensazione di allentamento della tensione paragonabile al sentirsi a casa propria.

È l’intensità della percezione che facilita l’apprendimento: più è forte il vissuto associato all’esperienza più l’apprendimento si integra stabilmente nello sfondo esistenziale modificando le strutture e le funzioni cerebrali. Un ruolo centrale è svolto, come detto, dai neuroni dopaminergici del sistema mesolimbico particolarmente impegnati nella modulazione dei processi di aspettativa del piacere (desiderio), mentre la componente consumatoria che genera appagamento sembra da attribuirsi all’endorfina (Guerrini, Marraffa, 2012). La distinzione tra desiderio e piacere è fondamentale nell’instaurarsi di un’esperienza di addiction poiché è l’aspettativa della ricompensa già sperimentata in precedenza a muovere la ricerca compulsiva dell’oggetto gratificante anche quando, per l’azione omeostatica dell’organismo, gli effetti sperimentati sono di potenza sempre inferiore.

2. Addiction come esperienza traumatica

3. Neuroplasticità e competenze relazionali nell’esperienza addictive

4. La terapia: tra biochimica ed esperienza di buon contatto

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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now-for-next

Dall’here-and-now al now-for-next.

Un esempio clinico

-Margherita Spagnuolo Lobb

La seduta qui pubblicata è un’anticipazione del mio libro Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt spiegata attraverso casi clinici, di imminente pubblicazione con la casa editrice Franco Angeli. Nel capitolo in cui è inserita, questa seduta ripercorre nella pratica clinica gli aspetti della relazione terapeutica in psicoterapia della Gestalt.

In questo contesto, invece, la seduta ha lo scopo di stimolare il dialogo sull’evoluzione della clinica gestaltica. Il lettore potrà confrontarsi su differenze e similitudini con il proprio stile terapeutico, e soddisfare la propria curiosità circa ciò che gli psicoterapeuti della Gestalt concretamente fanno oggi all’interno del setting. Per un approfondimento dei concetti metodologici, rimando al libro.

Vorrei sottolineare che, nell’attività clinica, il mio obiettivo è che il paziente ripristini la spontaneità nel contattare l’ambiente. Secondo la psicoterapia della Gestalt, ciò che cura non è la comprensione razionale e quindi il controllo del disturbo, bensì qualcosa che ha a che fare con aspetti processuali ed estetici. La cura consiste nell’aiutare il paziente a vivere pienamente, rispettando la propria innata capacità di regolarsi nella relazione, e non solo a livello verbale, ma soprattutto a livello di spontanea attivazione delle strutture neuro-corporee preposte alla vita di relazione. La spontaneità è l’arte di integrare gli aspetti del sé: la capacitá di scegliere deliberatamente (ego-function) con due tipi di sfondi esperienziali, le sicurezze corporee acquisite (id-function) e le definizioni sociali – o relazionali – di sé (personality-function).

Siamo ben lontani da un concetto di spontaneità che si confonde con quello di impulsività (proprio della antropologia freudiana), in quanto, a differenza dell’impulsività, nella spontaneità c’è la capacità di “vedere” l’altro. E siamo pure lontani da un’idea roussoiana della spontaneità fanciullesca: essa è al contrario l’arte – che si apprende negli anni – di integrare tutte le esperienze, comprese quelle dolorose, in uno stile persona- le armonico e pienamente presente ai sensi, che sono il mezzo fisiologico con cui entriamo in relazione.

Premessa

La seduta è stata registrata nel mio studio. Ha luogo il 5 dicembre del 2006. La paziente è tale per me solo per la durata della seduta: è infatti una allieva che si è offerta volontaria per un video didattico. Ha 32 anni, è psicologa, frequenta il terzo anno della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt.
La seduta si gioca tutta sulla modalità di contatto introiettiva. Come terapeuta, uso lo stesso codice esperienziale della paziente. Il mio stile, inusualmente direttivo in questa seduta, è un modo per parlare lo stesso linguaggio della paziente.

La seduta terapeutica

Paziente e terapeuta sono sedute una di fronte all’altra, su poltrone girevoli che consentono una rotazione di 360 gradi. Per tutta la seduta si guardano frontalmente, non girano la poltrona. Le telecamere sono in un angolo della stanza.

T. Buon giorno, E. Pz. Buon giorno, M.

T. Siamo qui per fare questa cosa un poco strana… (Mi riferisco all’essere riprese in seduta).

Pz. Si…e mi emoziona tanto.

T. Un incontro intimo ma… pubblico…

Pz. …pubblico infatti …però è anche bello così … T. …sì.
Pz. Penso che non sia la solita situazione.
T. Esatto: è una situazione nuova.

Pz. Nuova … mm … per me che sono una che … ho un po’ paura a volte del rischio…per me è un tuffo, ecco.

T. Quindi hai deciso di fare questo tuffo.

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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psicoterapia del trauma

La psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico

-Willi Butollo e Regina Karl.

Le esperienze traumatiche non solo provocano i noti sintomi legati al trauma, ma modificano altresì il sé ed i processi del sé della persona. Per il trattamento dei disturbi post-traumatici abbiamo a disposizione molteplici concetti terapeutici alternativi, che si basano su diversi modelli patogenetici. L’importanza della capacità dialogica intrapsichica, necessaria all’elaborazione del disturbo relazionale e delle interruzioni di contatto conseguenti al trauma, viene in genere trascurata.

La psicoterapia del trauma ad orientamento processuale, qui presentata, inserisce alcuni elementi della psicoterapia comportamentale all’interno della cornice della psicoterapia della Gestalt e si fonda su un concetto relazionale, con l’obiettivo di identificare e di sciogliere le interruzioni di contatto del soggetto. In questo modo si rendono nuovamente possibili il vissuto di continuità del soggetto e la capacità di risposta del sé. Utilizzando l’“esposizione dialogica” si fa riferimento alla natura dialogica dei processi del sé in ogni fase della terapia e si permette in questo modo alla persona di entrare in contatto e di confrontarsi con diverse parti di sé (traumatiche, non-traumatiche, pre-traumatiche).

1. Principi della psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico

La psicoterapia del trauma presentata di seguito coniuga dei metodi comportamentali con una cornice gestaltica. I metodi comportamentali, vengono utilizzati specialmente per ridurre i sintomi. I metodi gestaltici affrontano invece l’aspetto relazionale del trauma. Obiettivo della terapia, è sia la riduzione della sintomatologia, sia l’integrazione dell’esperienza traumatica e delle sue conseguenze nell’attuale contesto di vita.

La nostra psicoterapia del trauma comprende quindi due livelli. Il livello del trattamento dei sintomi, è molto specifico ed i relativi metodi si orientano verso una modalità terapeutica comportamentale. Il livello dell’interazione è invece piuttosto a-specifico, perché pone al centro l’elaborazione soggettiva del trauma. L’orientamento relazionale – cioè il contatto e la capacità di entrare in contatto – rappresentano il focus della terapia, dove per contatto si intende la modalità di attuare relazioni sia verso l’esterno (rete sociale), sia verso l’interno (capacità di dialogo tra le rappresentazioni delle parti di sé) (Butollo, 1997; Butollo, Krüsmann e Hagl, 1998).

L’articolo tratta i seguenti temi:

2. Il modello della psicoterapia del trauma ad orientamento gestaltico
3. Processo terapeutico
4. Esposizione dialogica

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIIV, 2011-1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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legami

Dialogo sui legami in una società liquida

Dalla coppia alla pòlis

-Annalisa Molfese, Giuseppina Salamone

Il tema delle relazioni di coppia è stato affrontato nel 2009 durante un seminario teorico-esperenziale organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy. L’Istituto di Gestalt HCC Italy, da sempre impegnato nello scambio e nella ricerca del dialogo con chi da diversi punti di vista è interessato a temi quali le relazioni, i legami, l’intimità, la diversità e l’integrazione, si è avvalso della presenza del prof. Robert Lee di Boston, psicoterapeuta della Gestalt di fama internazionale, da anni impegnato nel lavoro con le coppie in America ed in Europa.

Il prof. Lee, docente del Gestalt Institute di Cleveland, ha presentato ad allievi ed ex allievi della scuola di Gestalt – ma anche a psicoterapeuti di diversa formazione – un modello di intervento clinico con le coppie da lui sviluppato nel corso della sua più che trentennale esperienza di lavoro psicoterapico. Tale modello offre un approccio nuovo ai problemi di coppia che non è né analitico né sistemico ma fenomenologico-relazionale (e dunque squisitamente gestaltico). Esso si basa su due concetti chiave che caratterizzano le relazioni intime: il senso di vergogna da una parte e il bisogno di appartenenza dall’altro.

La necessità di instaurare un legame intimo appartiene al desiderio di costruire un posto speciale e sicuro, la relazione appunto, dove avere la possibilità di “essere” e di essere accolti. La vergogna in tal senso viene intesa dal prof. Lee come un fenomeno relazionale che, nelle sue diverse manifestazioni (rabbia, aggressività, sarcasmo, critica etc.) e nonostante la sua funzione protettiva (che è quella di preservare dall’umiliazione dell’essere valutati negativamente dall’altro), blocca la spontaneità dell’individuo nell’incontro. La vergogna è un “tirarsi indietro” dalla relazione, dal contatto sano, e conduce perciò all’isolamento, alla non espressione del proprio essere.

Ma dove c’è la vergogna, la paura, la sensazione di non essere accolti, c’è anche una intenzionalità di contatto: il desiderio, inespresso, di vicinanza, di intimità, di raggiungere l’altro. L’acquisizione di tale consapevolezza può aiutare l’individuo e la coppia a riconoscere la propria e l’altrui vergogna in modo da poter ripristinare il sano flusso dell’esperienza dell’essere in relazione. È proprio sulla possibilità che i partner sperimentino un contatto sano con l’altro che il lavoro terapeutico si concentra: riconoscere la vergogna, il “segreto inconfessabile” che blocca il loro autentico stare insieme.

(…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2009-1, L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt in Italia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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trauma

Trauma e Gestalt

Rinarrare una storia indicibile

– Lucia Guarnaccia e Jlenia Baldacchino.

L’articolo offre uno spunto per affrontare il trauma secondo la psicoterapia della Gestalt. Oltre alla lettura gestaltica del fenomeno, viene presentato il Protocollo Nova, in cui sono state previste delle domande il cui obiettivo è quello di fornire un primo sostegno al ciclo di contatto interrotto. L’aspetto originale consiste nell’integrazione del protocollo all’uso delle foto nella ricostruzione autobiografica dell’esperienza traumatica e il superamento di essa. L’articolo, inoltre, descrive una seduta terapeutica in cui L., paziente con diverse esperienze traumatiche alla spalle, sperimenta un nuovo modo di raccontarsi, condividendo con il terapeuta un nuovo modo di esserci nella relazione che le consente di sperimentare la spontaneità del contatto.

La trattazione del tema “Trauma e Gestalt” nasce dall’idea di voler approfondire un concetto che molti terapeuti si trovano ad affrontare tentando di fornire il giusto sostegno per quei pazienti, la cui vita è spesso segnata dalla ricerca di una verità, che però non li convince in pieno, o da cui forse si tengono sempre a debita distanza. Infatti, la nostra vita è regolata da attribuzioni di significato che costituiscono vere e proprie griglie per decodificare il mondo in cui viviamo e come ci muoviamo in esso.

Il trauma è un evento che rompe inaspettatamente questo senso che ognuno traccia nella propria vita, e che lascia impotenti di difendersi e di essere difesi.
Quando si è vittima di un’esperienza di sopraffazione inaspettata, violenta, travolgente e inconcepibile, come nel caso di abusi sessuali, di incidenti automobilistici o di disastri naturali, crollano anche numerose funzioni fondamentali della vita psichica, come il senso dell’identità, il senso della temporalità, la possibilità di dare un significato all’evento. Ciò rende l’evento non solo doloroso ma anche traumatico.

La trattazione dell’argomento, sviluppa il concetto di trauma secondo la psicoterapia della Gestalt e fornisce un esempio clinico, partendo da un forte interesse nei confronti dell’autobiografia come strumento valido per costruire l’identità della persona traumatizzata, utilizzando l’approccio della “foto-terapia” di Oliviero Rossi.

Trauma e Gestalt

Secondo la psicoterapia della Gestalt, la persona traumatizzata riesce a proteggere in qualche modo la sua vita psichica dal crollo della propria identità. In particolare, ciò che essa fa è aggirare la consapevolezza del terribile evento e dei bisogni che sono stati frustrati, effettuando come un salto da questa sensazione difficile da assimilare all’azione, che viene compiuta senza alcun significato (Cohen, 2002).

Ne consegue un’energia che rimane bloccata, una figura incompleta e un disorientato muoversi nell’ambiente disgiunto dalla sua eccitazione. L’organismo, così come si evidenzia nel disturbo post-traumatico da stress, proverà ogni tanto ad avvicendare a questa desensibilizzazione dei tentativi di rivivere pienamente le sensazioni di quell’esperienza attraverso vie alternative (flashback, sogni, ricordi), ma esse saranno solo prove iniziali di assimilare un’esperienza che risulterà ripetutamente inassimilabile.

Nell’attività di psicoterapeuta, lavorando con pazienti oncologici e con ragazzi vittime di incidenti stradali, ci si trova ad ascoltare più volte vissuti e storie interrotte e, con esse, tentativi sia di dare senso al dolore sia, successivamente, di voler dimenticare momenti insopportabili. La psicoterapia della Gestalt permette non solo di leggere queste dolorose esperienze, ma soprattutto di offrire ai pazienti un adeguato sostegno. (…)

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIIV, 2011-1, Concentrazione, emergenza e trauma
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flussi migratori

Flussi migratori tra clinica e società.

Metamorfosi culturale, conflitto e bisogno di radicamento

– Sebastiano Messina

Il tema è stato trattato durante un convegno a Siracusa nelle date del 5 – 6 giugno 2015 avviando una riflessione sul fenomeno della migrazione, analizzandolo nella sua complessità, come fenomeno di respiro internazionale, ma con particolare attenzione alle forti ricadute locali. Il convegno ha ospitato un dialogo con l’etnopsichiatra Piero Coppo sul tema. 

La prof.ssa Margherita Spagnuolo Lobb con l’intervento dal titolo Dal bisogno di autonomia al bisogno di radicamento della società post-moderna: la continuità culturale possibile oggi, ha da subito tracciato le coordinate utili alla comprensione del fenomeno. Continuità culturale o frattura? Radicamento o desensibilizzazione? Senso estetico o pregiudizio? Secondo la prof.ssa Spagnuolo Lobb prendersi cura del rapporto con la diversità, in questo momento di grande metamorfosi culturale, vuol dire aiutare le persone a riconoscere la tensione al contatto, così da sentire nella relazione con l’altro il proprio corpo in un modo non desensibilizzato. La società è, inoltre, chiamata a prestare maggiore attenzione ai riti di passaggio dalla famiglia alla polis, così da assicurare maggiore sostegno al bisogno di radicamento.

L’intervento del prof. Coppo, Continuità culturale, ibridazioni, metamorfosi, ha dato prosecuzione alle riflessioni sul tema della “continuità versus frattura culturale” e ha evidenziato come benessere o malattia risentano fortemente della presenza di fattori protettivi o di rischio, connessi alla presenza o alla perdita dei propri riferimenti sociali e personali. L’etnopsichiatria indaga le modalità attraverso cui sostenere i soggetti nel recupero del proprio benessere, mediante il ricorso a quegli ausili, procedure, codici che costituiscono lo sfondo culturale di provenienza del migrante. «Non potremmo fare il nostro lavoro se chi entra nei nostri ambulatori deve lasciare fuori il suo mondo, i suoi pensieri, i suoi dei, la sua concezione della salute, della malattia e della cura».

Un importante contributo al dialogo è stato fornito dal dott. Pietro A. Cavaleri con un intervento dal titolo Conflitti e processi di riconoscimento, nel corso del quale le riflessioni emerse sono state coniugate con esperienze socio-politiche locali, legate al doppio ruolo del dott. A. Cavaleri, psicoterapeuta della Gestalt e assessore alle Politiche Sociali e all’Interculturalità del Comune di Caltanissetta. È stata illustrata la condizione migratoria vissuta nel territorio del Comune di Caltanissetta, dove risiedono stabilmente molti stranieri e l’amministrazione comunale, in collaborazione con alcune associazioni, ha aperto una “Casa dei popoli”, luogo di mediazione e incontro tra i bisogni di identità e di continuità culturale dei residenti, sia italiani che stranieri. (…)

L’Istituto di Gestalt HCC Italy, sempre attento ai mutamenti sociali, nel voler organizzare il convegno Flussi migratori tra clinica e società, ha perseguito l’obiettivo di favorire il confronto clinico su un tema complesso e attuale, dagli importanti risvolti sociali, che ridisegnano il ruolo rivestito della psicoterapia oggi. Gli interventi si sono articolati tenendo conto di diverse figure e sfondi: dalla lettura dei vissuti del migrante ai mutamenti sociali; dalla sfida del far incontrare le diversità a quella di riflettere sul ruolo della psicoterapia come cura delle appartenenze. Di particolare importanza è stata l’attenzione dedicata, da parte dei relatori, alla partecipazione sociale e politica come tassello indispensabile nella cura del singolo e della comunità.

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Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
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trauma

Il trauma dell’abuso e il delicato processo della riparazione

come ridare voce e corpo al bambino violato

-Rosanna Militello intervista Marinella Malacrea.

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma sessuale all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

(…)

Rosanna Militello: (…) 

I nostri piccoli pazienti ci insegnano grandi verità su noi stessi e sul mondo. Cosa le ha insegnato lo stare in contatto con il dolore dei tanti bambini che ha incontrato in questi anni?

Marinella Malacrea.

Sperimento una grande sintonia tra la mia vita personale e quella professionale, quello che attraverso nella prima, anche doloroso, mi aiuta per la seconda e viceversa. Faccio cose che riescono ancora ad appassionarmi e trovo appassionati compagni di strada. I bambini sanno essere profondi e divertenti allo stesso tempo: mi ricordano che noi esseri umani siamo sorprendenti “gioielli”, che Dio si oppone a che l’orrore di cui siamo anche capaci vinca, dotandoci di infinite risorse vitali. Vorrei citare, per la sua capacità di commuovermi e di farmi pensare “è proprio così!”, l’ultima frase del capitolo 7 del libro di Judith Herman “Trauma and recovery”. Parlando della relazione terapeutica, dice: “Promuovendo costantemente la capacità di integrazione, in se stessi e nei loro pazienti, i terapeuti appassionati approfondiscono la propria integrità. Come la fiducia di base è il risultato dei primi stadi di sviluppo, l’integrità è il risultato evolutivo della maturità. …L’integrità è la capacità di affermare il valore della vita in faccia alla morte, di essere riconciliati con la finitezza della propria vita e con i tragici limiti della condizione umana, e di accettare queste realtà senza disperazione”.

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIIV, 2011-1, Concentrazione, emergenza e trauma
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esperienze

Le esperienze dissociative in psicoterapia della Gestalt

– Margherita Spagnuolo Lobb e Valeria Rubino.

L’articolo spiega la diffusione attuale delle dissociazioni come nuove sofferenze del “tra” considerando l’evoluzione del sentire sociale. Partendo dalla categorizzazione del DSM 5, descrive poi le varie forme cliniche delle dissociazioni. Infine, per ciascuna di esse, presenta un breve caso clinico. Conclude identificando due competenze fondamentali del terapeuta della Gestalt nel lavoro con le dissociazioni: la diagnosi differenziale tra uno sfondo esperienziale turbolento e uno sfondo confuso e l’attenzione alla fase espiratoria della respirazione del paziente-in-contatto-con-il-terapeuta, al fine di costruire il ground relazionale che consente poi al paziente di fare emergere nuove figure dallo sfondo della sua esperienza.

1. L’esperienza dissociativa in un continuum tra sanità e patologia

Esperienze occasionali di dissociazione costituiscono un fenomeno molto comune: immergersi nella lettura di un libro, fino a perdere la cognizione del tempo, perdersi nelle note di una melodia, sognare ad occhi aperti, sono esperienze che non hanno alcun significato psicopatologico, ma rappresentano la capacità dell’organismo di lasciarsi sedurre dalle proprie fantasie e di concentrarsi su un problema da risolvere o su un ricordo o un’idea che contiene una novità da integrare. Inoltre, l’esperienza dissociativa può essere raggiunta volontariamente, attraverso l’assunzione di sostanze o anche esperita con esercizi comportamentali, quali la scrittura automatica, il training autogeno, gli esercizi di yoga o danze parossistiche, le pratiche ascetiche o le meditazioni trascendentali (Di Fiorino, Del Debbio, 2009).

In altri casi, invece, l’esperienza dissociativa può configurarsi come una risposta difensiva dell’organismo verso situazioni stressanti. Anche questa rappresenta una modalità “sana” di risposta all’ambiente: dimenticare alcuni episodi emotivamente pregnanti, o ovattare le proprie sensazioni di fronte ad emozioni intense è un comportamento adattivo che protegge da esperienze ingestibili. Quando invece il ricorso alla dissociazione diventa la modalità esistenziale e relazionale primaria, la flessibilità del processo adattivo viene perduta e si crea una assenza al confine di contatto, che può essere esperita anche come perdita del senso di sé.

Nell’approccio gestaltico oltre a vedere queste forme dissociative in un’ottica dimensionale, aggiungiamo una lettura relazionale che le colloca lungo un continuum che va dalla spontaneità del contatto (capacità di adattarsi nel contatto con l’ambiente senza perdere la flessibilità e la presenza, la consapevolezza) all’assenza di consapevolezza al confine, alla desensibilizzazione del sé-in- contatto provocata da processi ansiogeni.

Una peculiarità dell’ottica dimensionale della psicoterapia della Gestalt è lo sguardo alle dissociazioni come adattamento creativo del processo di contatto con l’ambiente. Esso consente di leggere l’esperienza dissociativa all’interno di un accadimento relazionale: “Mi dissocio con te”. Questa peculiare ottica colloca l’intervento gestaltico nella cornice di una necessaria relazionalità: il terapeuta deve innanzitutto fornire quel ground relazionale che consente al paziente di recuperare la spontaneità del processo di contatto rimasto per così dire “sospeso”.

2. la dissociazione nella pratica clinica

3. La lettura gestaltica delle esperienze dissociative

4. la clinica gestaltica delle dissociazioni

5. la specificità dell’intervento gestaltico con le esperienze dissociative

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della gestalt II Parte
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sè

Il sé, l’io, l’es e la personalità

La teoria del sé in Gestalt Therapy.

– Mercurio Albino Macaluso

La teoria del sé, cui generalmente i terapeuti della Gestalt fanno riferimento, è la rilettura che Isadore From ha fatto della teoria del sé di Goodman. In realtà, tra la teoria del sé di Goodman e la rielaborazione che ne ha fatto From vi sono importanti differenze. In questo lavoro viene ripercorso in maniera dettagliata il decimo capitolo di Gestalt Therapy (Perls, Hefferline, Goodman, 1951), in cui Goodman presenta la propria concezione del sé e delle sue principali strutture. Quindi vengono esaminati alcuni aspetti e implicazioni di tale concezione e le principali differenze tra essa e la lettura che ne ha proposto From.

Il nucleo di Gestalt Therapy (Perls, Hefferline, Goodman, 1951; trad. it. 1971, 1997), il testo fondativo della psicoterapia della Gestalt, è la teoria del sé, formulata da Paul Goodman sulla base delle idee di Perls. Goodman elabora la teoria del sé prendendo le mosse non dalla patologia, come fa la psicoanalisi, bensì dalla condizione di funzionamento sano dell’organismo, considerato in senso olistico e nel suo costante rapporto con l’ambiente. In un’ottica fenomenologica, egli guarda all’esperienza umana così come si manifesta, nella sua immediatezza e concretezza, e considera le diverse forme che essa assume a seconda della situazione del momento. In particolare esamina quattro fondamentali modalità dell’esperienza: il , l’es, l’io e la personalità.

Il sé è la modalità spontanea dell’esperienza. Nella modalità spontanea, l’attenzione è pienamente concentrata sul momento presente e tutte le funzioni del sé percettive, motorie e affettive sono attive e integrate. Il sé spontaneo rappresenta la condizione di consapevolezza, di pienezza dell’esperienza.

Attento anche ai fattori sociali, che sono parte integrante del campo organismo-ambiente, Goodman rileva la paura che la società ha della spontaneità. Affetta da nevrosi epidemica, la società giudica la spontaneità come infantile e irresponsabile. E la nostra cultura la trascura o la inibisce, contribuendo a perpetuare la nevrosi della società. Anche le teorie psicologiche e psicoanalitiche, afferma Goodman, hanno ignorato il sé spontaneo, occupandosi piuttosto dell’io, dell’es e della personalità. Ciascuno di tali concetti, di volta in volta, secondo i diversi approcci teorici e metodologici, è stato considerato erroneamente come la totalità del sé, o comunque come la sua parte più rilevante. Ma il sé non può essere ridotto all’io intenzionale, né all’es inconscio, né alla personalità, la cui natura è sostanzialmente verbale.

Goodman rilegge l’io, l’es e la personalità in chiave processuale, consi- derandoli specifiche modalità di funzionamento parziale del sé, distinte dal suo funzionamento spontaneo, integrato e totale. In determinate circostanze il sé inibisce alcune sue funzioni, assumendo particolari configurazioni, che Goodman definisce strutture parziali del sé. L’io, l’es e la personalità sono le principali strutture parziali del sé. L’io rappresenta la modalità di funzionamento del sé caratterizzata dalla volontà, dalla scelta deliberata e dalla manipolazione dell’ambiente. L’es consiste nella modalità di rilassamento del sé, in cui riemergono le eccitazioni rimosse. Nella modalità personalità il sé attinge esclusivamente al bagaglio delle esperienze passate, senza nutrirsi di alcuna novità ambientale. (…)

L’articolo tratta i seguenti temi:

  • Definizione del sé
  • Il sé come realizzazione della potenzialità del presente
  • Le proprietà del sé
  • Le strutture del sé
  • L’io
  • L’es
  • La personalità

Quaderni di Gestalt, Vol XXVIII, 2015-2, Il sè e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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