verbatim

L’uso del verbatim nel processo formativo

Giuseppe Sampognaro

Il lavoro è centrato sulle funzioni del verbatim (la trascrizione delle sedute terapeutiche). Sono indicate le finalità di questo strumento, i modi in cui può essere utilizzato in psicoterapia della Gestalt, le peculiarità narrative e creative. Il verbatim rappresenta la co-creazione del processo terapeutico nei suoi momenti salienti. Per questo, si rivela uno strumento efficace, per certi versi insostituibile, sia in ambito clinico che in quello formativo-didattico.

Finalità del verbatim nel processo formativo

A cosa serve trascrivere un colloquio terapeutico? Fondamentalmente, le finalità sono:

  • permettere al terapeuta di fissare momenti-chiave della terapia e di riflettere sul suo andamento, per poter cogliere ridondanze di situazioni e per analizzare i contenuti e la dinamica del linguaggio adoperato dal paziente;
  • condurre una ricerca a carattere scientifico per validare un modello terapeutico e le modalità intrinseche nell’impostare il lavoro con il paziente;
  • trasmettere a terapeuti in formazione il “mestiere” (Cavallero, 1999). Circa quest’ultimo punto, sembra che il verbatim evidenzi la rappresentazione concreta della terapia secondo il modello che si intende illustrare. Questo ha origine dalla constatazione per cui è possibile distinguere tra una prassi clinica valida e una carente o non efficace. La trascrizione della seduta dà modo di verificare la corrispondenza dell’azione terapeutica e dei principi metodologici a cui si attiene, e a cui gli allievi (che leggono il verbatim) dovranno uniformarsi.«La possibilità di trasmettere il mestiere si basa sulla convinzione che è possibile distinguere procedure inefficaci da procedure efficaci e che, al di là dell’abilità straordinaria di alcuni, tali procedure e metodi sono acquisibili mediante una formazione» (ibidem, 72).

La rilettura del trascritto consente al terapeuta che desidera approfondire la propria abilità/capacità di entrare in contatto con il paziente di osservare la dinamica del proprio lavoro «per verificare le discrepanze tra le [sue] intenzioni e gli interventi realmente effettuati» (ibidem, 73).

2. Il verbatim in psicoterapia della Gestalt: il colloquio come co- creazione di una forma narrativa

La psicoterapia della Gestalt considera l’incontro esistenziale Io-Tu come il cuore dell’esperienza clinica. Un incontro che vede come protagonisti il terapeuta, il paziente e anche il “tra”, lo spazio/confine che entrambi sono impegnati a occupare e a costruire in un’azione sinergica. Questo aspetto della co-creazione della figura nel contatto è ormai un caposaldo teorico (cfr. Spagnuolo Lobb, Amendt-Lyon, 2003), che diventa anche uno strumento per monitorare ogni interazione.

I protagonisti vivono momento per momento il loro procedere verso il contatto, per cui percepiscono i colori emotivi e le eventuali difficoltà lungo l’iter. Il loro colloquio, parte integrante del “tra”, come linguaggio verbale e non, rappresenta il “sublimato” dell’esperienza, il dicibile che racchiude (ma non esaurisce) la comunicazione a livello tanto esplicito quanto implicito (cfr. Spagnuolo Lobb, 2006).

Per questo, il trascritto del colloquio in psicoterapia della Gestalt assume i connotati del resoconto di un’opera d’arte, e diventa opera d’arte anch’essa.

Cosa c’è di “artistico”, e quindi di creativo, nella riproduzione scritta di un dialogo terapeutico?

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Quaderni di Gestalt, Vol XXIII, 2010-2, La formazione in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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psicoterapeuti

Congratulazioni ai nuovi psicoterapeuti della Gestalt!

Venerdì 23 Febbraio 2018, presso la sede di Siracusa dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, sono stati proclamati psicoterapeuti della Gestalt dalla direttrice, dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb, i colleghi: 

MONCADA ERSILIA Titolo Tesi “La riabilitazione neuropsicologica in campo fenomenologico. Una chiave di lettura” – Relatore: Dott. Cannavò Michele;

PASSALACQUA MARTINA NUNZIA MARIA Titolo Tesi “La percezione psicotica” – Relatore: Dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb;

AMENTA SALVATORE Titolo Tesi “Lo Psicodramma e la Psicoterapia della Gestalt.  Il gioco tra spontaneità e creatività” – Relatore: Dott. Greco Salvatore;

ZAMMITTI MARIAGRAZIA Titolo Tesi “Cure di fine vita in un contesto di assistenza domiciliare: uno sguardo gestaltico” – Relatore: Dott. Antonio Roberto Cascio;

CORRADA DI ROSA Titolo Tesi “Dalla sintonizzazione affettiva ai passi di danza. Il contributo di Stern a Tschacher per un’evoluzione teorica in Psicoterapia della Gestalt” – Relatore: Dott. Giuseppe Sampognaro;

TIRRO’ LAURA Titolo Tesi “Lavorare con i sogni in Psicoterapia della Gestalt” – Relatore: Dott. Giuseppe Sampognaro.

Che il vostro futuro possa sempre essere illuminato dall’etica gestaltica, per continuare ad essere nel mondo professionisti
capaci di cogliere i bisogni dell’altro, prendendovi cura di voi stessi.

Dallo staff dell’Istituto di Gestalt HCC Italy buona vita a ciascuno di voi!

ri-emergere

Il ri-emergere del sé

La storia della relazione terapeutica con un paziente con grave cerebrolesione acquisita.

-Rosanna Biasi

In questo lavoro viene presentato un intervento riabilitativo multidisciplinare, quale sostegno relazionale e ambientale all’emergere del sé, con un paziente che ha subito una grave cerebrolesione in seguito ad incidente stradale. Intervento psicoterapico, contenimento ambientale e ritmo della stimolazione sono stati i facilitatori di una nuova organizzazione, che ha aumentato progressivamente la permanenza del sé, rendendo prevalenti i momenti in cui, da frantumato, si disvelava e si componeva in unità in grado di entrare in contatto con l’ambiente.

La relazione psicoterapeutica di cui voglio dare testimonianza fa parte di un intervento riabilitativo, che ha coinvolto un’équipe multiprofessionale, nel trattamento di un paziente con grave cerebrolesione acquisita, a pochi mesi dall’evento traumatico. Sin dai primi momenti è stato proposto un sostegno al ri-emergere del Sé autobiografico (Damasio, 2012), ponendo attenzione non solo agli aspetti comportamentali e funzionali, ma anche a quelli di natura affettivo-emotiva: ascoltare il paziente, al di là dei suoi messaggi frammentari, coglierne i bisogni e assumersi il carico del suo dolore, ha consentito, sin da subito, di introdurre nella relazione terapeutica anche l’elemento della cura di queste dimensioni (Chinosi, 2010).

I riferimenti teorici, nell’applicazione clinica, sono stati i lavori di Goldstein (2010) e la sua teoria “olistica” dell’organismo umano che attinge ad alcune intuizioni della psicologia della Gestalt per una comprensione del funzionamento del cervello. Fondamentali per la progettazione dell’intervento sono stati anche gli studi sulla coscienza di Damasio (2012) che ha affrontato, da una prospettiva antidualistica, il discorso sul Sé, inteso come processo che emerge, in un flusso incessante, dalla corteccia cerebrale e dalle strutture sottocorticali, ma a cui concorre il tronco encefalico che è profondamente legato al corpo. Infine, il progetto si è fondato sull’epistemologia della psicoterapia della Gestalt e in particolare sulla dinamica figura/sfondo e sulla teoria del Sé come funzione emergente nel farsi dell’esperienza.

L’articolo si compone di tre parti: nella prima viene descritto il progetto riabilitativo (e lo sfondo da cui emerge) che costituisce l’elemento organizzante dei vari interventi specialistici; nella parte centrale dell’esposizione viene narrata la relazione psicoterapica; infine, prima delle conclusioni, viene data voce ai vissuti dell’équipe. Attenzionare i vari attori dell’intervento (terapeuta, équipe, struttura, ambiente), in questa sede, è un modo per ricomporre ad unità anche la riflessione sulla cura dei pazienti con grave cerebrolesione acquisita.

  • Gli antefatti

Mario, un uomo di 50 anni, è arrivato nella nostra comunità nel giugno del 20133. Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 2012 era stato vittima di un grave incidente stradale. La relazione di dimissione della struttura riabilitativa da cui proveniva presentava un paziente vigile, incapace di eseguire ordini semplici a causa di una elevata distraibilità, deterioramento cognitivo persistente, con globale deficit di memoria a breve e lungo termine, disorientamento nel tempo e nello spazio, mancanza di consapevolezza, deficit di attenzione. Dal punto di vista emotivo venivano descritti repentini sbalzi d’umore (da euforico a sereno, a ostile e aggressivo, indipendentemente dall’ambiente circostante) e reazioni emozionali sproporzionate rispetto agli stimoli. Nella prognosi veniva riportato un quadro di grave disabilità da sindrome psico-organica post-traumatica in via di stabilizzazione.

Come équipe non potevamo accettare che la storia di Mario si concludesse così.

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Quaderni di Gestalt, Vol XXVIII, 2015-2, Il sè e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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Stress e benessere organizzativo

Un modello gestaltico di consulenza aziendale
-Margherita Spagnuolo Lobb

Ogni essere umano, se riconosciuto nell’intento di essere di aiuto
con la propria unicità, ha piacere di dare il meglio di sé
all’organizzazione a cui partecipa.

Viene presentato un modello di consulenza aziendale gestaltica, basato sul modello di gruppo già pubblicato dall’autrice (Spagnuolo Lobb, 2011). Vengono distinti criteri sincronici e diacronici di osservazione del benessere del gruppo aziendale. Viene presentata una griglia di osservazione dei gruppi, utilizzabile dagli esperti in consulenza aziendale gestaltica, e un’intervista attraverso la quale è possibile fare un’analisi qualitativa della cultura del/i manager sul gruppo di lavoro. I risultati dell’intervista vengono integrati con i risultati dell’osservazione del clima del gruppo aziendale da parte dei consulenti, allo scopo di dare una restituzione (consulenza) alla committenza. Questo modello di consulenza aziendale è basato su una prospettiva estetica, fenomenologica e relazionale. Questo lo rende sintonico con le logiche aziendali, centrate sul “next”, cioè sulla soluzione dei problemi più che sulla loro comprensione analitica, e incoraggiante perché focalizzato sulla capacità di vedere l’armonia che già esiste (e che in alcuni casi vorrebbe essere sostenuta) nelle relazioni del gruppo.

  • La psicoterapia della Gestalt e il mondo aziendale

Qualsiasi struttura organizzativa non può prescindere dalla realtà degli individui che la compongono e dal bisogno che essi avvertono di riconoscersi e di sentirsi riconosciuti nel gruppo in cui lavorano.
Il vuoto relazionale che caratterizza la vita delle nostre comunità sociali diventa, nelle strutture organizzative, un “disturbo di base” che porta velocemente alla demotivazione lavorativa e alla disappropriazione dell’obiettivo comune.

Descriverò in questo lavoro la nascita e l’evoluzione di un modello gestaltico per il benessere organizzativo. Metterò in luce come la peculiarità dell’approccio gestaltico, centrato sull’esperienza del contatto, sulla prospettiva fenomenologica, estetica e integrativa, può dare un contributo originale agli studi sulla consulenza aziendale. Il linguaggio gestaltico, infatti, essendo centrato sul sostegno alle risorse più che sull’analisi delle dinamiche gruppali, sulla “bellezza”già insita negli sforzi organizzativi più che sulle cause del malessere, risulta ego-sintonico con la mentalità aziendale. Essendo la prospettiva fenomenologica della psicoterapia della Gestalt focalizzata sul next, essa si accorda bene con la mentalità propositiva delle aziende.

Dall’altra parte se ne discosta abbastanza, tanto da risultare arricchente, per la considerazione integrata e positiva del fattore emotivo: la psicoterapia della Gestalt vede le emozioni come un supporto necessario per la creatività di ciascuno e per il desiderio di dare il meglio di sé all’azienda a cui ci si sente appartenenti. Questa ottica restituisce dignità alle “emozioni in azienda”, laddove la logica della tecnologia occidentale vorrebbe farle intendere come un “bastone tra le ruote”.

L’articolo tratta i seguenti temi:

  • Come è nato il modello
  • Il modello operativo di consulenza aziendale

 

Quaderni di Gestalt, Vol XXV, 2012-1, La psicoterapia della Gestalt con i gruppi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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formazione

La formazione in psicoterapia della Gestalt

L’evoluzione del metodo

-Margherita Spagnuolo Lobb

Dalla sua fondazione, la psicoterapia della Gestalt è passata da una metodologia della prassi formativa “ingenua” ad una prassi ben articolata e varia. Sono lontani ormai i tempi in cui la formazione dello psicoterapeuta di orientamento umanistico avveniva fondamentalmente attraverso metodiche esperienziali (il lavoro personale in gruppo) e dimostrative (l’osservazione dal vivo del lavoro clinico dei “maestri”). Il concetto di essere centrato sul paziente (o sull’allievo), che 50 anni fa esprimeva il superamento della logica interpretativa, nei decenni si è evoluto nella conoscenza sempre più dettagliata delle emozioni che si sviluppano nella relazione terapeutica (e formativa) e nel suo sviluppo temporale.

In Italia, in particolare, il riconoscimento giuridico della professione dello psicoterapeuta (all’interno della legge n. 56/89 sull’ordinamento della professione dello psicologo) ha portato tutte le scuole ad una regolamentazione ufficiale della formazione, da depositare presso il Ministero dell’Università, che le ha condotte ad una riflessione sulla teoria della prassi. Questo “obbligo” da una parte ha migliorato la performance dei servizi formativi erogati, dall’altra ha fatto evolvere il pensiero sulla formazione, che, in linea con i trend culturali, ha decisamente abbandonato la formula del maestro come unico referente di un modello da apprendere. Oggi sono le scuole a proporre modelli formativi, comunità di insegnamento/apprendimento che crescono sia nel dialogo interno – tra i didatti e tra i didatti e gli allievi – che esterno, tra approcci diversi. La regolamentazione ufficiale dei programmi formativi ha anche favorito lo scambio tra metodi rispetto

alle prassi formative, con una evidente apertura dei didatti verso terre di confine, quali la condivisione di ricerche e il dialogo sui casi clinici da epistemologie diverse.

Parallelamente a questo processo di evoluzione della prassi formativa gestaltica italiana, la fondazione degli Ordini degli Psicologi ha consentito l’istituzione di un codice etico della psicoterapia, che ha ben definito i confini del setting psicoterapico, escludendone possibili manipolazioni narcisistiche: ciò che guida l’intervento e la formazione è la domanda del paziente/allievo, non l’idea che il terapeuta o “maestro” si fa di essa.

In Italia dunque il confronto con le definizioni imposte dalla legge e dal codice deontologico ha portato le scuole di specializzazione in psicoterapia a erogare servizi formativi con standard altamente qualificati.

Oggi sappiamo che formare implica:

  •  aspetti giuridici: il riconoscimento formale della professione;
  •  aspetti amministrativi e gestionali: la struttura organizzativa che consente all’allievo di impegnarsi nella formazione in modo significativo. Le facilitazioni amministrative, la possibilità di rintracciare materiale  didattico, la considerazione del punto di vista degli allievi sulla qualità, sono tutti strumenti che favoriscono il rispetto del bisogno formativo dell’allievo e le condizioni adeguate alla alta formazione;
  •  aspetti metodologici e didattici. L’aspetto metodologico-didattico della formazione gestaltica include a sua volta tre grandi categorie:
  •  la programmazione didattica (che deve essere in grado di trasmettere il modello in modo fluido e armonico);
  •  la qualità dell’ambiente umano didattico (che riguarda sia la qualità dei didatti che il clima tra di loro e il senso di appartenenza al modello e alla Scuola);
  • una mappa per osservare il processo di gruppo della classe, come evoluzione delle intenzionalità di contatto degli allievi. Ma, al di sopra di tutti questi aspetti, occorre collocare l’etica dell’azione formativa, come definizione sovraordinata a cui tutto ciò che riguarda la formazione va ricondotto, dalle dinamiche relazionali che emergono nel campo fenomenologico formativo alle pratiche amministrative e didattiche. L’etica garantisce il raggiungimento dello scopo “contrattato” tra le parti, ossia la realizzazione dell’obiettivo formativo, il “dare forma” all’intenzione dell’allievo di diventare psicoterapeuta e all’intenzione del formatore di trasmettere un modello favorendone l’“incarnazione” in persone concrete.

La maggiore complessità e articolazione della formazione in psicoterapia della Gestalt deve tuttavia convivere con l’epistemologia gestaltica basata sulla spontaneità dei processi relazionali: per questo, formare nel nostro approccio diventa una sfida molto interessante. La prassi della formazione in gruppo – a differenza degli inizi storici del modello, in cui la formazione avveniva attraverso seminari molto significativi ma sporadici – è diventata un processo a lungo termine e si è arricchita della considerazione dei processi di gruppo. La “novità, eccitazione e crescita” che, come nel titolo del testo fondante di Perls, Hefferline e Goodman, erano considerate necessarie per la crescita individuale, oggi sono considerate necessarie per il processo di crescita del gruppo in formazione. Il processo di gruppo, mai preso in considerazione nel modello formativo di Perls, è diventato uno specifico gestaltico della formazione psicoterapica dagli anni ’80 in poi, grazie soprattutto alle riflessioni all’interno del New York Institute for Gestalt Therapy3 e da parte di altri colleghi.

I contributi raccolti in questo numero dei Quaderni di Gestalt intendono offrire ai lettori il punto di vista di alcuni psicoterapeuti contemporanei. (…)

Ed è su questa nota di passione per il dialogo e per la trasmissione dell’arte terapeutica che vi auguro buona lettura, dandovi appuntamento per i prossimi numeri del 2011, che saranno dedicati, il primo, a “trauma ed emergenza” ed il secondo a “neuroscienze e psicoterapia”.


Quaderni di Gestalt, Vol XXIII, 2010-2, La formazione in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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amore

Amore e il mistero dell'altro

.Dedicato al giorno di San Valentino e a tutti gli innamorati.

Si dice che la scintilla dell’amore scatti in modo imprevedibile.
Ciò che ci attira nell’altro rompe gli argini della nostra quiete razionale, e diventa ossessione quotidiana, finché il mistero che ci attrae non si svela a noi.

Ciò che ci fa innamorare è il mistero dell’altro, la parte che l’altro, senza rendersene conto, tiene chiusa al mondo. L’innamoramento è possibile grazie a un intuito profondo: vediamo nell’altro ciò che ha nascosto, il suo mistero appunto. E la forza amorosa ci porta a svelare questo mistero, con una forza terapeutica naturale (che è l’innamoramento), per rivelare all’altro la bellezza che ha celato.

Allo stesso modo, sentirsi toccati dallo sguardo dell’innamorato ha l’effetto di una carica vitale: ci si sente rinati a nuova vita, ricaricati di un’energia buona e primaria che fa riappropriare di tutta la vitalità di cui si è capaci. L’innamoramento è un grande momento terapeutico della vita, in cui è possibile riprendersi le parti di sé che sono state sacrificate per risolvere situazioni difficili.

Erving Polster, un professore psicoterapeuta della Gestalt, dice che la nevrosi consiste nell’offuscare la propria bellezza, il proprio essere interessante. Nel corso della vita, a volte si fanno delle scelte di annullamento di se stessi, per adattarsi alle situazioni difficili. Un bambino smette di giocare con il fratellino perché la mamma è sempre nervosa e ha bisogno delle sue attenzioni. Quel bambino diventa un baby sitter della madre, e deve nascondere l’interesse per il gioco. La nevrosi è una rinuncia all’interesse spontaneo per la vita. Si diventa così, a vari livelli, noiosi e annoiati. Si perde il gusto per la vita, la capacità di essere interessati/interessanti. Qualsiasi forma di cura deve ridare l’interesse per la vita propria e altrui. L’innamoramento è una cura istantanea, potente, e proprio per questo a volte rischiosa. Oggi, in particolare, è difficile da sperimentare, per la desensibilizzazione diffusa di cui soffrono le nuove generazioni (non ci si sente, nel corpo, nell’anima, nelle emozioni..).

L’esperienza amorosa, spesso vicina all’esperienza mistica, è esperienza del mistero dell’altro. Amare l’altro vuol dire amare l’armonia che egli ha reso invisibile, sapere intuire il dolore e la bellezza più profonda che hanno forgiato l’anima errante dell’altro, le domande che dirigono la sua vita, e fornire una casa per questo errare, un luogo che contiene.

Per questo l’esperienza del mistero è esperienza d’amore, sia verso gli uomini che verso Dio.

Tratto da Essere nel tempo, Rubrica quindicinale a cura di
Margherita Spagnuolo Lobb
Direttore Istituto di Gestalt HCC Italy – Scuola di Specializzazione in Psicoterapia
www.gestalt.it

Le Life Focus Community e l’arte del buon vivere

la proposta avanguardista di ErvingPolster

Maria Menditto

Nella società della modernità liquida, il legame duraturo nel tempo è in bilico a favore di un inquieto sciame di consumatori che, per la propria voracità, produce una infinita moltitudine di esclusi, dei quali non può sentire la responsabilità, dovendo privilegiare la ricerca spasmodica di sempre nuovi consumi (Bauman, 2007). Il gruppo, che solitamente realizza confine, identità, appartenenza, cultura del territorio, collegamento con la comunità, viene sostituito dallo sciame che si raccoglie e si lega solo per l’atto del consumo.

Questa inquietante e attuale forma di aggregazione, che produce ansia, isolamento, aggressività, dipendenza, si scontra con il nostro destino di creature portatrici di riflessioni sull’agire etico, che sono alla base di qualsiasi agglomerato e civiltà. Il riconoscimento della propria e altrui soggettività rende la persona capace di consapevolezza, sentimenti, riflessioni, scelte, rinunce.

1. Il paradosso contemporaneo

Come risolvere il paradosso contemporaneo tra la raggiunta relatività rispetto ad una autorità assoluta e la tiepida responsabilità rispetto a una ricaduta sugli altri delle nostre scelte? Come possiamo combinare la libertà della scelta individuale con la responsabilità connessa con la comunità?  Come far convivere in impossibile equilibrio la ricerca di una migliore qualità di vita della persona con un benessere più equamente distribuito?

Questi interrogativi hanno generato opportunità di confronto e di riflessione tra diverse discipline accomunate dall’attenzione diretta e indiretta all’individuo e al gruppo, alle diverse forme funzionali o disfunzionali del legame, del vivere comune, alle possibili modalità di miglioramento della qualità di vita degli abitanti del pianeta.

Molteplici professioni, e in particolare la psicoterapia, in un momento di così complessa e profonda trasformazione, alla quale si è aggiunta la crisi dal 2008, stanno vivendo una transizione verso una terra insolita, non segnata nelle mappe. Esse stanno traghettando i saperi verso un indispensabile cambio di rotta sulla visione della persona, delle relazioni, della comunità. Da più parti si avverte un forte bisogno di condivisione di nuove soluzioni, di occasioni per il dialogo nella differenza, per contribuire a riscrivere nuove caratteristiche per la persona che vive nella complessità delle società contemporanee. Tra queste caratteristiche gli studiosi delle discipline psicologiche e psicoterapeutiche, sempre più, individuano strumenti che facilitino l’individuo a far convivere ed armonizzare in sé la tendenza alla realizzazione personale e contemporaneamente il vivo e partecipato rapporto con la comunità (Menditto, 2006,2008, 2010).

Nel libro Psicoterapia del quotidiano, migliorare la vita della persona e della comunità, Erving Poster (2007) offre il suo contributo all’attuale e sempre crescente dibattito. Il focus delle sue riflessioni teoriche culmina mettendo in luce come la psicoterapia, a poco più di 100 anni dalla sua nascita, pur continuando a farsi carico della cura di disturbi specifici, dovrebbe ampliare il suo intervento, offrendo alle persone comuni un orientamento e alcune linee guida per la vita di tutti i giorni. Sottolinea che già 34 anni prima, nel 1972, aveva scritto che nella sua prassi cominciava a integrare la cura del disturbo mentale con la ricerca del miglioramento della vita comune delle persone. Da quel momento la sua teoria ha intrapreso un viaggio che, con successi e imprevisti, oggi approda in una terra non segnata sulle mappe, una terra insolita in cui la psicoterapia accoglie la tendenza umana di base della persona verso una realizzazione di sé più piena, che include il senso di connessione alla comunità (Menditto, 2007).

Come già accennato, gli sforzi verso l’innovazione non sono conclusi, siamo immersi in una complessa e fruttuosa fase di transizione. Ogni trasformazione richiede impegno, entusiasmo, scelte e perdite. Modificare i nostri comportamenti, le nostre idee, abituarci a nuove metodologie è un percorso articolato e complesso che conduce verso rotte mai esplorate prima. Lo spirito d’avventura, la curiosità e la flessibilità devono appartenerci, ma ancora più importante è non procedere da soli nella nebulosa incertezza del viaggio.

La bellezza di questa esplorazione è data anche dal lavoro comune di formatori, psicoterapeuti, esperti della comunicazione, sociologi, giuristi, umanisti, che si confrontano passo dopo passo, procedendo insieme con un sentire comune. Si arriva a piccole scoperte con spirito di gruppo, con passione e rigore. La riflessione su una nuova visione della persona e della comunità sta coinvolgendo differenti professioni in un confronto entusiasmante e costruttivo. Il lavoro procede gradualmente, costantemente e con determinazione, per individuare strumenti e principi che possano contribuire a migliorare la vita della persona e della comunità.

2. L’arte del buon vivere che, armonizzata nella comunità, migliora la vita quotidiana

3. Consolidare l’appartenenza

4. Le Life Focus Communities

Quaderni di Gestalt, Vol XXV, 2012-1, La psicoterapia della Gestalt con i gruppi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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psicoterapeuta

Nuove tendenze nella formazione dello psicoterapeuta

– Donna Orange e Margherita Spagnuolo Lobb

Margherita Spagnuolo Lobb
Ti ringrazio molto per aver accettato di dialogare con me in occasione del convegno al quale stai partecipando qui a Siracusa, la mia città.

Donna Orange
Una bellissima città! Sarà un piacere dialogare con te.

Margherita Spagnuolo Lobb
Vorrei includere questa intervista in un numero della nostra rivista ita- liana dedicato al tema della formazione in psicoterapia. Comincerei allora con alcune domande sulla formazione, per proseguire poi con altri argo- menti che per certi versi ci accomunano e per altri ci differenziano. Innanzi- tutto mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero riguardo alla formazione degli psicoterapeuti. Qual è secondo te il nucleo centrale del training in psicoterapia? Per esempio, pensi che sia importante fare una selezione dei candidati, oppure ritieni che tutti possano diventare terapeuti? E ancora, qual è l’insegnamento centrale?

Donna Orange
Sono domande molto interessanti. Premetto che ciò che dirò non va inteso in alcun modo come una critica ai metodi di formazione che usate in terapia della Gestalt, poiché non li conosco bene. Posso soltanto parlare della mia esperienza nella formazione psicoanalitica. Personalmente non direi che chiunque può diventare psicoterapeuta, o comunque un bravo psicoterapeuta; d’altro canto non è sempre possibile capire fin dall’inizio chi potrà diventarlo e chi no. Credo quindi che qualche volta sia necessario accettare i candidati con il beneficio del dubbio, chiarendo il fatto che potrebbe anche non funzionare. Perché altrimenti rischieremmo di perdere delle persone valide, malgrado sia indubbiamente molto difficile dover dire a qualcuno, se le cose non vanno, “questa non è la strada giusta per te”. Possiamo però dire che alcune qualità personali sono assolutamente necessarie per praticare la psicoterapia e qualche volta i colloqui iniziali possono aiutarci a capire se una persona possiede un atteggiamento di apertura, compassione, generosità e disponibilità ad apprendere sempre dal paziente. Qualunque atteggiamento del tipo “tanto io so già, non ho nulla da imparare” costituisce un grosso problema ed è ciò che maggiormente interferisce con la formazione o con la possibilità di essere un buon terapeuta.

Margherita Spagnuolo Lobb
Dunque tu ritieni che l’ostacolo maggiore alla formazione dello psicoterapeuta sia l’atteggiamento, per così dire, grandioso di chi si avvicina a questo delicato e complesso mestiere con l’idea di modificare ciò che non funziona “là fuori”, più che con l’idea di mettersi in gioco in prima persona per comprendere la sofferenza umana. Questo è il dettato fondamentale degli approcci del profondo, ma anche della psicoterapia della Gestalt, secondo la quale lo strumento fondamentale della relazione di cura è proprio la consapevolezza del terapeuta, la sua competenza nell’essere pienamente presente al confine di contatto con il paziente. E ciò si può ottenere solo attraverso il lavoro su se stessi, sia nel setting individuale che di gruppo. Che ne pensi?

Donna Orange
Per qualcuno che vuole diventare terapeuta l’ostacolo maggiore è costituito dall’idea di sapere già tutto: sapere cosa non va nel paziente, sapere ciò che va cambiato nel paziente…, insomma credere di sapere già una serie di cose. Invece è fondamentale avere un profondo atteggiamento di apertura, la capacità di imparare sempre dagli insegnanti, dai pazienti, dai libri, da tutto. Una enorme disponibilità ad imparare tutta la vita, che non si esaurisca mai; nell’attimo in cui penso di sapere, mi trovo nei guai. Quindi questo è il mio primo pensiero.

Margherita Spagnuolo Lobb
E pensi che questo sia anche l’insegnamento centrale?

(…)

Quaderni di Gestalt, Vol XXIII, 2010-2, La formazione in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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omosessualità

Omosessualità e riflessioni gestaltiche

– Carmen Vázquez Bandín

In questo articolo l’autrice fa un breve excursus nel mondo dell’omosessualità, proponendo alcune ipotesi a partire dalla teoria del sé della psicoterapia della Gestalt. In primo luogo offre una descrizione dei concetti di inclinazione, identità e comportamento sessuale. Successivamente riassume il pensiero di Freud sull’argomento e analizza l’omosessualità come parte nella costruzione e funzionamento della personalità del sé. Conclude con una breve considerazione sull’interazione tra la società attuale e l’omosessualità.

Se non mi avessero chiesto di scrivere su questo argomento non avrei mai pensato di fare una lettura dell’omosessualità inserita all’interno del quadro di riferimento teorico-clinico della psicoterapia della Gestalt. In primo luogo, perché l’omosessualità copre un ampio spettro di sfumature e possibilità; in secondo luogo, perché è come cercare di descrivere perché ci sono uomini che si innamorano di donne bionde, o perché ci sono donne che sono attratte da uomini alti. Un mondo di scelte individuali e personali che non può sempre essere spiegato dalla teoria della Gestalt!

Ma accettata la sfida focalizzerò i miei pensieri sull’omosessualità come un’identità specifica che comprende il modo di essere e di relazionarsi.
La teoria della psicoterapia della Gestalt non cerca e non crea risposte definitive ma stimola la ricerca di spazi di riflessione sugli argomenti. È così anche per l’omosessualità.
Lo studio della sessualità, per lo psicoterapeuta della Gestalt, ha senso solo quando è relativo alla comprensione dell’individuo nel suo insieme, all’interno di una visione olistica ed integrata dell’esperienza.

Negli esseri animali, non esiste funzione alcuna che si svolga indipendentemente dall’oggetto o dall’ambiente, sia che si tratti di funzioni a carattere vegetativo, come la nutrizione e la sessualità, o di natura percettiva, o di origine motoria, o ancora dell’atto di sentire o di ragionare (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, p. 38).

Ciò significa che la sessualità non è qualcosa di istintivo, considerando la definizione di istinto offerta dalla biologia, come qualcosa di ereditato, rigido e fissato all’interno di una specie. L’identità sessuale è una delle identità che sviluppiamo nel corso della vita, come l’identità professionale, di figlio, di padre, di madre, ecc. E, ancora, la sessualità è qualcosa di inerente al piacere. A mio parere, l’omosessualità, dovrebbe essere, quindi, intesa come un possibile modo di rapportarsi a se stesso, agli altri e alla vita. In un certo senso si può dire che è un modo in cui un individuo può esprimersi, interagire e proporsi come persona.

I concetti di inclinazione, identità e comportamento sessuale

Prima di entrare nel dettaglio dell’argomento, ritengo funzionale porre l’accento sulle differenze di significato di alcuni termini. L’orientamento sessuale è definito «come l’inclinazione o la preferenza per il sesso opposto (eterosessualità), per lo stesso sesso (omosessualità), o per gli entrambi sessi (bisessualità)» (Soler, 2005, p. 7). Se guardiamo alla storia della umanità vediamo che l’orientamento sessuale è stato considerato in vari modi a seconda dei diversi periodi storici e culture. «La concezione dell’omosessualità si è evoluta nel corso della storia. All’inizio è stata considerata come normale e naturale, poi come peccato, delitto, malattia o disturbo mentale. La concezione attuale la ritiene una variante del comportamento sessuale normale» (Campo, 2005, p. 22).

L’identità sessuale è data dalla dimensione biologica e psicologica che permettono all’individuo di riconoscersi come appartenente ad un sesso, maschile o femminile, indipendentemente dall’identità di genere (sentirsi maschio o femmina) o dall’orientamento sessuale (trend o inclinazione sessuale). Questo concetto è strettamente legato all’identità di genere, al punto che spesso vengono utilizzati come sinonimi.

Il comportamento sessuale umano è il comportamento che gli esseri umani sviluppano per trovare partner sessuali, ottenere l’approvazione di potenziali compagni, stringere relazioni, e dare voce al desiderio sessuale. Si riferisce ad un ampio spettro di comportamenti che vanno dai più usuali ai meno frequenti, dalle relazioni di coppia agli abusi sessuali.

(…)

L’articolo affronta i seguenti temi:

  • L’origine del concetto di identità sessuale
  • Freud e l’omosessualità
  • La psicoterapia della Gestalt e l’omosessualità
  • Una breve riflessione psicologica

 
 

Quaderni di Gestalt, Vol XXVII, 2014-1, I vissuti sessuali in psicoterapia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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Ricerca, consapevolezza del campo, coscienza: dall’ermeneutica, all’estetica, al campo

I Quaderni si raccontano: 2017-1. Nuova pubblicazione 

Il numero 2017-1 dei Quaderni di Gestalt segna dei passaggi importanti per la Rivista e per l’Istituto. Il primo riguarda la decisione di non fare un numero monotematico. Gli avvenimenti nel primo semestre di quest’anno sono stati diversi, e abbiamo preferito testimoniarli nella loro diversità. Un primo avvenimento è il Convegno della FISIG, svoltosi a Catania dal 27 al 30 aprile 2017, che ha visto un movimento di tutta la Federazione delle Scuole italiane di psicoterapia della Gestalt verso la ricerca: le quindici scuole confederate hanno accolto questo tema (che oggi attraversa in modo significativo tutte le psicoterapie) come uno stimolo per la riflessione sulla possibilità di fare ricerca senza snaturare il nostro essere gestaltici, con il supporto di importanti lavori internazionali.

Ma prima ancora che un convegno incentrato sulla ricerca, questo evento è stato un movimento di tutte le scuole – uno studio congiunto e una condivisione di un clima disteso e collaborativo. Con tutto il gruppo dei direttori della FISIG e con alcuni didatti ci siamo impegnati nello studio critico delle Scale di Fedeltà elaborate da Madeleine Fogarty, la ricercatrice australiana che è stata anche l’ospite d’onore del convegno. Pur consapevoli dell’importanza di questo lavoro di definizione condivisa di “cosa fa un terapeuta della Gestalt”, abbiamo potuto esprimere le nostre perplessità e anche i nostri apprezzamenti per l’uso di queste scale sia nella didattica che nella supervisione.

Abbiamo studiato per un anno nei nostri incontri FISIG, a volte con la presenza virtuale della stessa Fogarty, criticando alcuni aspetti e apprezzandone altri, ma sempre rispettandoci a vicenda, comprendendo gli uni le motivazioni dell’altro. Questo ha consentito lo sviluppo di un clima collaborativo che continua ad animare le nostre riunioni.

È con piacere dunque che i Quaderni di Gestalt dedicano ben due sezioni di questo numero a quel convegno: la sezione Dialoghi, che ospita una mia intervista a Madeleine Fogarty (“Epistemologia, ricerca e clinica in psicoterapia della Gestalt”), e la sezione Studi e modelli applicativi, che ospita la versione italiana dell’articolo sulla Gestalt Therapy Fidelity Scale (GTFS) della Fogarty, “Che cosa fanno i terapeuti della Gestalt nella pratica clinica? Il consenso degli esperti”. La GTFS è stata costruita attraverso il metodo “Delphi” e si è avvalsa del contributo di un gruppo internazionale di terapeuti esperti delle principali correnti di psicoterapia della Gestalt, chiamati a esprimersi, nelle diverse tappe della stesura della Scala, sulle varie dimensioni proposte come peculiari del modello.

Da questo tentativo, necessario e del tutto nuovo nel nostro mondo, nasce la GTFS, una scala di fedeltà che misura il grado di adesione e di coerenza del terapeuta al modello della psicoterapia della Gestalt. Come emerge nel corso dell’intervista, la GTFS si rivela un prezioso strumento ermeneutico nell’ambito della supervisione e della didattica, costituendo per i didatti e per gli allievi non solo uno strumento di formazione clinica, ma anche di confronto continuo per sviluppare un senso di radicamento e di appartenenza. Infine, la GTFS fornisce la possibilità di irrobustire la validità scientifica delle ricerche condotte in ambito gestaltico, in quanto rappresenta una “prova” della coerenza del modello e di chi lo pratica.

Con l’emozione di ritrovarmi in un campo condiviso e di rappresentare questa realtà in qualità di presidente, ringrazio Madeleine e i colleghi della FISIG, con cui abbiamo realizzato un bel momento della Gestalt italiana.

Un secondo passaggio importante di cui questo numero dà contezza è lo sviluppo nel nostro Istituto del concetto di consapevolezza in chiave estetica e di campo. Gli incontri annuali dei didatti e dei collaboratori del nostro Istituto (siamo circa 90 ormai), come pure le riunioni locali delle tre sedi di Milano, Palermo e Siracusa, mi hanno consentito di mettere a fuoco un concetto su cui lavoravo da tempo, la conoscenza relazionale estetica (CRE), come la competenza del terapeuta della Gestalt che include il proprio sentire nel campo – nei suoi aspetti empatici e di risonanza.

Il concetto sviluppa in chiave fenomenologica ed estetica la partecipazione del terapeuta/ambiente alla percezione e al cambiamento del paziente. È presentato nel primo articolo della sezione Relazioni, “La conoscenza relazionale estetica del campo. Per uno sviluppo del concetto di consapevolezza in psicoterapia della Gestalt e nella clinica contemporanea”, con una introduzione sui nuovi disturbi psicopatologici, che spiega l’importanza di questo strumento nella clinica attuale.

A seguire, un articolo di Dan Bloom, “Il continuum consapevolezza-coscienza e l’ambiente come mondo-della-vita. La terapia della Gestalt compie una nuova svolta fenomenologica”, colloca i concetti di consapevolezza e coscienza nella prospettiva fenomenologica, a partire dal testo fondante di Perls, Hefferline e Goodman. L’autore newyorkese fa una stimolante analisi dei due concetti e delle ragioni teoriche che portarono i fondatori a usare un nuovo termine, quello di consapevolezza, distinguendolo dalla coscienza. Egli esprime anche la necessità di rivalutare il concetto di coscienza.

Nella sezione La Gestalt in azione, la trascrizione di una seduta da me condotta e commentata da Teresa Borino, “La fenomenologia del contatto in una seduta”, vuole essere un esempio di come l’approccio fenomenologico, attraverso il riconoscimento dell’intenzionalità di contatto della paziente, non spingendo verso movimenti né soluzioni, ma semplicemente stando con ciò che è, possa portare ad un cambiamento percettivo dei propri schemi relazionali.

Per la sezione Storia e identità, Bernd Bocian presenta un articolo di Serge Ginger su Sándor Ferenczi e la terapia della Gestalt, “Sándor Ferenczi: allargare i confini della psicoanalisi… e preparare il terreno per la terapia della Gestalt”. Nel 2018, ad aprile, ci sarà a Firenze un convegno internazionale su colui che viene qui definito come il “nonno” della terapia della Gestalt. Ci sembra appropriato dunque pubblicare le riflessioni del collega francese scomparso su un autore importante per la nostra identità.

Per la sezione Congressi, Fabiola Maggio e Marilena Senatore ci raccontano il convegno di studio con Miriam Taylor “Terapia del trauma, corpo, neuroscienze e Gestalt”, svoltosi a Palermo il 3 e 4 febbraio 2017.

Per la sezione Recensioni, pubblichiamo due contributi scritti da colleghi internazionali per la nostra Rivista. Il collega del New York Institute for Gestalt Therapy, Kenneth Meyer, ci racconta la sua esperienza del recentissimo libro Advances in Contemporary Psychoanalytic Field Theory. Concept and Future Development, curato da Katz S.M., Cassorla R., Civitarese G., preannunciando così il dibattito che si svolgerà al convegno sul campo in psicoterapia della Gestalt e in psicoanalisi, il 16 novembre a Milano.

Inoltre, il collega australiano Alan Meara, direttore della rivista australiana GANZ, recensisce il recente libro curato da Jean-Marie Robine Self. A Polyphony of Contemporary Gestalt Therapists, di prossima pubblicazione in italiano nella collana della FrancoAngeli.

Chiude il numero un ricordo della collega del New York Institute for Gestalt Therapy recentemente scomparsa, scritto dall’amico Dan Bloom: “Parliamo di Karen. Per continuare il processo di chiarificazione e riaffermazione della psicoterapia della Gestalt. Un elogio per Karen Humphrey (1941-2017)”.

Questo numero esprime dunque molti aspetti della vita del nostro Istituto e dei suoi collegamenti internazionali.

Ma c’è un altro passaggio importante: da questo numero Teresa Borino, che ha collaborato con la Rivista come coordinatrice editoriale per 7 anni, dal 2009 al 2016, lascerà il posto a Maria Luisa Grech. Teresa, una didatta importante della sede di Palermo, ha guidato la Rivista in un momento in cui c’era bisogno che esprimesse sia la coesione e la novità del modello dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, sia il dialogo e il confronto con la comunità scientifica e psicoterapica. La ringrazio per avere messo a disposizione della Rivista la sua sapienza teorica e la conoscenza profonda degli sviluppi ultimi dell’Istituto. Occuparsi di una Rivista come la nostra è un sacrificio enorme nella vita di uno psicoterapeuta, è un atto di amore verso il modello e di generosità verso i colleghi e gli autori. Grazie Teresa per averci fatto crescere sotto il tuo occhio attento.

Do il benvenuto a Maria Luisa, psichiatra psicoterapeuta della Gestalt, didatta in formazione presso la sede di Milano, con la sua chiarezza e competenza professionale, guiderà la rivista verso altre sfide.

Vi auguro quindi una buona lettura!

Margherita Spagnuolo Lobb
Giugno 2017

Quaderni di Gestalt, Vol XXX, 2017-1
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

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