seminari supervisione

Seminari di supervisione con Margherita Spagnuolo Lobb

Il confine in evoluzione della psicoterapia
Siracusa, Palermo, Milano 2018 

I seminari di supervisione sono un’occasione di scambio tra psicoterapeuti e di aggiornamento sulle nuove competenze oggi richieste. Come sappiamo il ruolo dello psicoterapeuta è fondamentale nella società contemporanea. Infatti vari traumi sconvolgono ormai la nostra vita: dagli atti terroristici, ai delitti cruenti che si consumano all’interno di relazioni intime, a uragani e terremoti sempre più frequenti e distruttivi, alla povertà che travolge e riduce sul lastrico individui e famiglie che si ritrovano senza casa, senza lavoro e senza la speranza di una vita dignitosa.
Queste condizioni difficili minano il senso di sicurezza e condizionano in modo particolare i giovani, sia nella loro fisiologia in evoluzione (è impossibile rilassarsi, respirare e sentire un senso di sé che si sviluppi armoniosamente); che nella loro anima, orientata a risolvere il problema immediato di sopravvivere più che ad alimentare un sogno proiettato nel futuro.
Le sofferenze cliniche che riguardano i giovani ci invitano a riflettere su nuove prassi psicoterapiche, così come sul nostro vissuto personale davanti a gesti e situazioni una volta impensabili. Una lettura gestaltica del disagio giovanile ci consente di soffermarci su quell’attimo in cui l’eccitazione può trasformarsi in coraggio, in azione di contatto verso l’altro o, al contrario, in varie forme di sofferenza relazionale.
Il corso di supervisione è articolato in tre incontri. Ogni incontro sarà dedicato ad un tema clinico emergente e includerà momenti teorici ed esperienze personali.
1. Le dipendenze
Le dipendenze diventano sempre più diffuse e variegate tra i giovani. In linea generale, l’eccitazione per il contatto si trasforma in attaccamento a una sostanza o ad una abitudine capace di sedare momentaneamente l’ansia provocata dall’energia di contatto non sostenuta.
Il seminario esplorerà chiavi di lettura per comprendere in che modo il paziente blocca quell’eccitazione e come può superare questo impasse nella relazione terapeutica.
2. I Disturbi alimentari
I disturbi della condotta alimentare oggi sembrano basarsi su vissuti relazionali più primitivi e meno differenziati. La classica anoressia reattiva dell’adolescente che non si identifica con la madre, o l’iperfagia “da manuale” della ragazza arrabbiata con gli uomini che vuole distruggere la propria femminilità, sembrano cedere il passo ad anoressie depressive e iperfagie desensibilizzate, o ad abitudini alimentari monotematiche.
Il seminario affronterà l’evoluzione del vissuto corporeo dei giovani, quando sono incapaci di identificare e accettare il cibo giusto per sé.
3. Le condotte suicidarie
Una delle conseguenze della scarsa e poco articolata percezione corporea è la difficoltà di instaurare un attaccamento emozionalmente chiaro con le figure di riferimento, e dunque un chiaro senso di sé e del proprio orientamento nel mondo. Molte condotte suicidarie degli adolescenti ci sorprendono per la precocità di tale atteggiamento depressivo, in un’età in cui la spinta naturale è verso la vita. Le azioni suicidarie giovanili sono reazioni a frustrazioni percepite come intollerabili, o alla mancanza di consapevolezza del rischio inteso come senso del limite.
Il seminario affronterà le condotte suicidarie nei diversi setting adolescenziali (familiare, genitoriale e individuale), per identificare strumenti e prospettive capaci di favorire la nascita di un senso di sé adulto capace di mantenere l’integrità, nonostante le asperità della vita.
 

Il corso è attivo in tutte le sedi dell’Istituto di Gestalt HCC Italy
Siracusa, Palermo, Milano

 

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sessualità

L’amore e la sessualità nel setting di cura: psicoanalisi e psicoterapia della Gestalt a confronto

– Paolo Migone intervistato da Barbara Crescimanno

Barbara Crescimanno: La società post-moderna, con il suo approccio “globalizzante” e l’avvento delle nuove tecnologie, ha prodotto cambiamenti di notevole proporzione in tutti i campi dell’esperienza umana. Tale cambiamento diventa ancora più evidente in tutto l’ambito della relazione umana in generale e della relazione sessuale e “intima” in particolare, per cui il concetto stesso di intimità sembra perdere la sua indispensabile connotazione originaria legata al corpo e al sentire. Tutto questo conduce a modi nuovi di vivere e agire la sessualità. Come per altri modelli di cura, a suo parere, ciò comporta anche per la psicoanalisi una rilettura della teoria pulsionale delle emozioni e una conseguente rivisitazione della prassi clinica?

Paolo Migone: L’avvento di internet ha provocato, tra le altre cose, una disponibilità immediata di immagini e video a contenuto sessuale virtualmente per tutti (basta infatti avere un cellulare collegato a internet). È possibile che questa esposizione sempre più precoce a stimolazioni sessuali provochi grosse modificazioni nel modo con cui viene vissuta la sessualità in soggetti giovani che hanno raggiunto una maturità sessuale senza però aver ancora raggiunto una maturità affettiva (penso soprattutto ai maschi, che emotivamente maturano più tardi delle femmine).

Mi è capitato di leggere su un quotidiano una inchiesta sulla sessualità nei giovani teenagers che mi ha lasciato sconcertato, nel senso che per me, e per chi frequentavo quando avevo la stessa età, vi era una esperienza molto diversa. Adesso la “maturazione” sessuale è molto più precoce, ma forzatamente precoce, e vi possono essere squilibri. Sembra che oggi i ragazzi “giochino” con la sessualità così come noi giocavamo con le figurine, per così dire. È molto probabile che questo conduca a un modo molto diverso di vivere l’affettività, ma preferisco non sbilanciarmi in considerazioni a un alto livello di astrazione, dato che non sono un sociologo o un filosofo. Sono solo un terapeuta, un “tecnico”, e il mio angolo di visuale è ristretto. Non vorrei assomigliare a quei colleghi che fanno i tuttologi in televisione, rischiando a volte di dire banalità, cose che qualunque persona di buon senso potrebbe dire.

Mi sembra più facile invece rispondere alla domanda sul ruolo della pulsione sessuale nella psicoanalisi contemporanea. Tanto è stato scritto su questo. Il modo con cui è vissuta la sessualità è cambiato, non siamo più ai tempi della Vienna di Freud quando la sessualità veniva repressa e le donne erano in una condizione di oggettiva inferiorità e oppressione. Questi fattori, come è noto, hanno avuto una profonda influenza sulla teoria freudiana che, ad esempio, concepiva un conflitto ineliminabile tra le pulsioni e la società (tra “eros e civiltà”, per parafrasare un famoso libro di Marcuse). L’isteria classica, che allora era epidemica e che oggi non a caso è scomparsa, era vista come una malattia femminile, quasi un grido di ribellione o di sofferenza a causa della repressione sessuale (mi viene in mente che Freud fece anche l’ipotesi che l’arco isterico, cioè l’attacco simil-epilettico delle crisi isteriche classiche, potesse essere una simulazione dell’orgasmo che le donne non riuscivano quasi mai a raggiungere a causa di uomini insensibili ed egocentrici, o che praticavano rego- larmente il coitus interruptus come metodo anticoncezionale).

Oggi la sessualità è più libera, e per questo quella parte della teoria freudiana che aveva fatto leva sul concetto di repressione sessuale come fonte di conflitto non è più sostenibile come lo era allora. Non a caso, ad esempio, sono i conflitti attorno all’attaccamento, alle relazioni affettive, alla identità, al significato dell’esistenza, quelli che sono in primo piano. Ma queste trasformazioni sono avvenute molti anni fa, ben prima dell’avvento delle cosiddette “nuove tecnologie” (si pensi solo al fenomeno della Psicologia del Sé di Kohut, iniziato a cavallo degli anni 1970, che appunto rappresentò anche una “reazione di massa” contro una concezione freudiana della sessualità che molti avvertivano come superata).

Barbara Crescimanno: Fin dalle origini del pensiero psicoanalitico e in tutta la sua evoluzione successiva, la riedizione ed elaborazione dei vissuti sessuali nel setting psicoterapeutico, attraverso i concetti di transfert e controtransfert, sono stati temi centrali e strutturanti della teoria e della prassi clinica. Dalla psicoanalisi classica alla psicoanalisi interpersonale più recente, attraverso le diverse correnti, in che modo è cambiato, se è cambiato, l’intervento clinico rispetto all’elaborazione dei vissuti sessuali nel setting? Qual è il suo approccio a riguardo?

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-1, I vissuti sessuali in psicoterapia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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materno

La clinica del “materno”

Ricordando Daniel N. Stern

-Angela Maria Di Vita

Il presente articolo riporta le diverse punteggiature che hanno costituito uno spunto rilevante sia per gli allievi dei corsi di Laurea in Psicologia dell’Università di Palermo, sia come conoscenza di base per i professionisti che si occupano di aree ampie e trasversali riguardanti la prevenzione, la cura, il sostegno alla genitorialità e le politiche per l’infanzia e per la famiglia. Attraverso lo studio delle opere di Daniel Stern, ed in particolare La prima relazione: madre e bambino (1977), Diario di un bambino (1990), Le interazioni madre-bambino nello sviluppo e nella clinica (1998) e La costellazione materna: il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino (1995), si è acquisita la consapevolezza dell’importanza che per la vita dell’individuo assumono le interazioni precoci e, conseguentemente, l’osservazione e l’intervento clinico delle relazioni genitore-bambino.

(…) Quando i suoi genitori lo chiamano tesoro, lui non sa che quella è una parola e che si riferisce a lui, non la distingue nemmeno come suono in sé, differenziandola, ad esempio, dal tocco di una mano o dalla luce, però è attentissimo a cogliere il modo con cui il suono fluttua su di lui: lo sente svolgersi lento e rassicurante, oppure può avvertirne l’impatto, sconvolgente ed eccitante, che ridesta il suo interesse.

D.N. Stern, 1990

Ho conosciuto Daniel Stern, di cui avevo già studiato numerose opere, in occasione del seminario Lo sviluppo come metafora della relazione, organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC nel 2001 a Palermo. Già in quella lunga giornata, mi colpì il modo con cui Stern intercalava i resoconti delle osservazioni cliniche su situazioni specifiche che riguardavano le interazioni precoci madre- bambino, con l’inquadramento nei contesti della genitorialità in continua muta- zione; a mo’ di esempio, riferiva il continuo aggiustamento delle sue teorie at- traverso la sua esperienza di padre in diversi periodi della sua vita.

Anni dopo, al 3rd European congress of child and adolescent psycopathology (AEPEA, APPIA, Psycopathology and parenthood, Lisbona 2001), un dibattito tra Stern e Bertrand Cramer, che commentavano un video che mostrava una mamma e il suo bambino di pochi mesi in una situazione di gioco, fece emergere quella che rimane a tutt’oggi, quanto mai attuale, la questione dell’ambivalenza del materno. Stern evidenziava gli elementi positivi dell’interazione della mamma con il suo bambino, in altre parole, tenendo presente la madre sufficientemente buona, anche laddove riscontrava una carenza nella sintonizzazione affettiva, elemento chiave della sua teoria.

Cramer, invece, si soffermava sugli aspetti problematici della diade madre-bambino, sottolineando il significato predittivo degli esiti sfavorevoli. Queste diverse punteggiature hanno costituito uno spunto rilevante per le mie lezioni con gli allievi dei corsi di Laurea in Psicologia che, attraverso lo studio delle opere di Stern, in particolare il Diario di un bambino (1990), Le interazioni madre-bambino nello sviluppo e nella clinica (1998) e La costellazione materna (1995), hanno acquisito la consapevolezza non solo dell’importanza che, per la vita dell’individuo, assumono le interazioni precoci, ma anche di quanto l’osservazione e l’intervento clinico sulle relazioni genitori- bambino costituiscano una conoscenza di base per i professionisti che si occupano di aree ampie e trasversali riguardanti la prevenzione, la cura, il sostegno alla genitorialità e le politiche per l’infanzia e per la famiglia.

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Quaderni di Gestalt, Volume XXVI, 2013-2, Il pensiero di Daniel Stern e la psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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umiltà

L’umiltà del terapeuta:echi dal convegno con Donna Orange

Milano 19-20 settembre 2014

Il 19 e il 20 settembre 2014 si è svolto, organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy, il convegno con Donna Orange dal titolo “L’umiltà del terapeuta. Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi relazionale in dialogo”.
Donna Orange, psicologa e psicoanalista con una formazione filosofica, è esponente della corrente psicoanalitica relazionale e contestuale.

Il tema del convegno rappresenta una terra di mezzo, un buon confine di incontro e riflessione per entrambi gli approcci che si trovano così a dialogare non su aspetti tecnici della clinica nella società post-moderna, ma su una dimensione trasversale squisitamente umana e antropologica. Lo sfondo filosofico di Donna Orange emerge fin dalle prime battute, dal personale modo di esporre il suo pensiero: pur essendo americana, ha preparato la lezione in italiano, portando in questo sforzo tutta la sua intenzionalità di incontrarci e di dialogare con noi intorno al tema del fallibilismo nella clinica e nella teoria.

Resto affascinato immediatamente dal suo discorso nel quale intravedo anche una parte della mia formazione fenomenologica, e questo stimola la mia attenzione e la mia voglia di entrare pienamente nel vivo del convegno.

Per Donna Orange, l’umiltà è una caratteristica sia della teoria, sia della clinica. Il nostro pensiero ha un grande effetto sulla clinica e si traduce in atteggiamenti di base che non sono né tecniche, né teoria, ma esprimono il nostro modo di esserci-per-e-con-l’altro-da-sé. Anche la clinica torna ad essere, sostanzialmente, non solo un luogo terapeutico, ma soprattutto un atteggiamento, una capacità di accompagnare e sostenere l’altro. Del resto l’etimo stesso della parola clinica ci riporta al klinein inteso come piegarsi, chinarsi su chi giace, un processo del “prendersi cura”, e su questo sentiero la psicoterapia si avvia verso orizzonti non sempre definiti e definibili. Questa visione della clinica porta ad una nuova ermeneutica del processo relazionale ed empatico: l’empatia diventa la strada per la comprensione e per la compassione, per un portare il dolore dell’altro senza far sentire la vergogna, ma dando dignità all’esperienza umana della sofferenza.

Un atteggiamento che diventa anche inclusivo, nel senso che terapeuta e paziente si collocano parimenti nell’ordine dell’umano, nei suoi plurimi “mondi della vita”, caratterizzati anche dalla fragilità che la sofferenza fa sperimentare.

Da questo ne discende anche la considerazione della “gettatezza”, con i relativi echi e rimandi al pensiero di Heidegger (1927), e della “situazionabilità” dell’esperienza umana: ci sono condizioni esistenziali che non possiamo scegliere, che ci definiscono a priori e che ci collocano indissolubilmente nell’esperienza umana, in quell’humus al quale, come terapeuta siamo obbligati a guardare prima di incontrare i nostri pazienti. L’umiltà non si può apprendere come un concetto, è intrinseca alla nostra esperienza in quanto umani. Accettiamo di far maturare nella nostra anima un sentimento per l’umano-che-è-in noi e per l’umano che-è-nell’altro-da-noi. Così l’umiltà si declina anche nei termini di egualitarismo, e racconta la comune appartenenza a questa esperienza umana.

Coltivare l’umiltà che è in noi passa da una visione dialogica della relazione (la luminosa lezione di Buber, 1993), in cui il terapeuta si concede di imparare anche dal paziente, dal suo mondo, dal suo linguaggio emotivo. Lo spazio tra l’io e il tu si rivitalizza in una comprensione fondata sulle possibilità di dialogo e non di applicazione di una comprensione estrinseca a quell’esperienza.

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Luca Pino

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

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sensomotorio

L'utilizzo dell’approccio sensomotorio nel lavoro con il trauma

-Miriam Taylor

Ispirandosi alle intuizioni legate alla ricerca neuroscientifica – nello specifico sull’eccitazione autonomica, sulla struttura cerebrale e la plasticità neuronale – l’articolo prende in esame i recenti sviluppi in materia di trattamento del trauma e le modalità d’integrazione delle nuove conoscenze con la metodologia gestaltica. 

La terapia sensomotoria del trauma offre alcuni nuovi concetti attraverso i quali è possibile riconsiderare il trattamento in una modalità che lo renda più sicuro ed efficace. Attraverso l’uso di esempi clinici, l’articolo illustra l’applicazione di tre concetti sensomotori, integrandoli con la pratica gestaltica. Descrive inoltre brevemente il ruolo del sistema difensivo nel trattamento del trauma in una prospettiva sensomotoria. In tutto il testo vengono considerati gli aspetti relazionali di questa tipologia di lavoro.

La terapia sensomotoria per il trattamento del trauma è nata sulla scia dei principi della Hakomi Therapy (Kurtz, 1990; 2007), a sua volta influenzata da Fritz Perls e Wilhelm Reich. Sebbene le sue basi teoriche, ispirate alle ricerche sul trauma, siano diverse da quelle della terapia della Gestalt, molti sono gli aspetti condivisi. La terapia sensomotoria ricava alcuni elementi dalle neuro- scienze e li elabora al fine di formulare una metodologia coerente per il trattamento del trauma (Odgen, Minton, Pain, 2006). Essa ci consente di attingere ad alcuni concetti teorici, diagnostici e metodologici interconnessi fra loro, quattro dei quali saranno discussi in questo articolo.

La psicoterapia sensomotoria enfatizza il ruolo del corpo nella cura finalizzata al superamento del trauma (vedi anche van der Kolk, 1994) e considera il fatto che il fallimento nell’integrazione dell’esperienza fa parte del lavoro con il trauma (Janet, in Ogden, Minton, Pain, 2006, p. 36). Personalmente ho trovato il metodo sensomotorio prezioso ed efficace quando l’ho integrato nella mia pratica gestaltica, per quanto esso presenti alcune “sfide” per gli psicoterapeuti della Gestalt e malgrado, ad una prima impressione, la psicoterapia sensomotoria sembri avere poco da offrire ai terapeuti della Gestalt, per la presenza di numerosi aspetti comuni.

La psicoterapia sensomotoria si esprime in termini di monitoraggio, speri- mentazione, contatto e mindfulness. Descrive con chiarezza e precisione per- ché questi atteggiamenti supportano la terapia del trauma, cosa che invece non è esplicitata nella letteratura della Gestalt. Il terapeuta sensomotorio è più selettivo nello scegliere le figure da trattare, più ripetitivo nell’applicare le tecniche e ha uno scopo ben preciso quando lavora con il trauma.

Ciò può essere applicato anche alla pratica gestaltica, ma è nell’attenzione a certi dettagli dell’esperienza che sta la differenza. La psicoterapia sensomotoria potrebbe essere criticata in quanto eccessivamente tecnica e stereotipata, troppo “io-esso”, ma in realtà richiede una grande maestria perché le sue competenze siano usate in modo fluido e «incorporate nella spontaneità relazionale» (Bromberg, 2011, p. 123). Nelle mani di un terapeuta relazionale esperto diventa un approccio altamente flessibile, efficace e singolare.

(…)

L’articolo affronta i seguenti temi:

2. La finestra di tolleranza

3. Risorse somatiche

4. La risposta orientativa

5. I sistemi difensivi

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt parte II
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 9

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Daniel Stern: possibilità inesausta di confronto e dialogo

I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2013-2

Questo numero dei Quaderni di Gestalt è dedicato ad un grande maestro e amico scomparso nel novembre 2012, Daniel Stern. Con lui l’Istituto di Gestalt HCC ha intessuto nove anni di dialogo fecondo, grazie alle sue docenze presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia, alla sua disponibilità al confronto, all’apertura verso linguaggi diversi. La sua vicinanza ci ha spronati a crescere e a trovare modi sempre più fenomenologici di descrivere ciò che facciamo.

Al di là del dialogo con gli psicoterapeuti della Gestalt, Stern ha rappresentato, per il mondo della psicologia evolutiva e della psicoterapia in genere, la nascita di qualcosa che fa una differenza nella storia: uno sguardo che integra molte delle prospettive emerse negli ultimi decenni in una Gestalt armonica, una proposta teorica destinata a generare significativi sviluppi in diversi ambiti, non solo nella psicoterapia e nella psicologia ma anche nell’arte e negli approcci che hanno a che fare con il movimento corporeo.

Per quanto ci riguarda, le ricerche e gli studi di Daniel Stern hanno consentito al nostro Istituto di riformulare concetti fondamentali della teoria della psicoterapia della Gestalt, e di sviluppare aspetti teorici e clinici importanti, come la prospettiva evolutiva e la co-creazione dell’incontro terapeutico.

Nel pensare questo numero a lui dedicato, da uno sfondo di gratitudine e di affetto, ci siamo chiesti quali domande animerebbero ancora il nostro dialogo con lui. Per esempio, considerando il tentativo di Stern di applicare i risultati della infant research alla terapia degli adulti, come possiamo definire il suo specifico contributo alla psicoterapia odierna?


Stern considera l’esperienza del “momento presente” come il cuore del pro
cesso terapeutico e focalizza la sua attenzione sugli aspetti fenomenologici ed estetici della relazione terapeutica. In quale epistemologia possiamo collocare questo contributo alla psicoanalisi certamente innovativo?

Se i now moment sono imprevedibili, e se ciò che il terapeuta fa quando questi momenti cruciali si presentano dipende dalla sua capacità di stare nella relazione, da ciò che lui “è” piuttosto che da ciò che “sa”, quali risvolti immaginiamo per l’insegnamento della psicoterapia?

Secondo i fondatori della psicoterapia della Gestalt, quando l’individuo vive l’esperienza in maniera piena e spontanea, sperimenta, proprio da questa totalità percepita dell’incontro con l’altro, la nascita del sé, i confini della propria individualità. Stern contesta l’esistenza di una prima fase autistica nello sviluppo psicologico del bambino, che già alla nascita, a suo avviso, è capace di entrare in relazione con la madre. Possiamo affermare, allora, che lo sviluppo psicologico non consiste nel riuscire a separarsi e individuarsi, bensì nel diventare sempre più capaci di relazionarsi, o, in altri termini, nel diventare sempre più capaci di sperimentarsi come un sé nell’incontro co-creato?

Queste domande emergono dalle idee, ricche di futuro, che Daniel Stern ci ha donato, ma anche dagli scambi con colleghi con cui ci ha messo in contatto, e con cui è possibile svilupparle. Questo numero è stato costruito attraverso il ricordo di suoi amici italiani, e la testimonianza di terapeuti della Gestalt che lo hanno conosciuto personalmente. Nei loro contributi è possibile rintracciare alcune delle risposte alle domande da noi formulate.

Apre il numero una breve ma significativa testimonianza della moglie, Nadia Bruschweiler Stern, le cui parole, pronunciate alla fine del convegno organizzato a Roma dal professor Massimo Ammaniti, danno la cornice di senso a tutto ciò che si può dire o scrivere su Stern.

Nella sezione Dialoghi, abbiamo il piacere di ospitare le testimonianze di quattro suoi colleghi italiani, che gli sono stati particolarmente vicini: Massimo Ammaniti, Nino Dazzi, Graziella Fava Vizziello e Vittorio Gallese. Sollecitati dalle mie domande, raccontano come hanno conosciuto Stern e l’influsso che egli ha avuto sul loro pensiero e sul loro impegno professionale.

Chiude la sezione il contributo di Angela Maria Di Vita sulla clinica del materno. L’autrice, per anni garante della nostra Scuola, nel 2006 ha promosso il conferimento al professor Stern della laurea ad honorem in Psicologia clinica dello sviluppo, presso l’ateneo palermitano. Anche se non pubblicato in forma editoriale di dialogo, questo contributo testimonia uno degli scambi scientifici che l’Istituto ha instaurato con docenti accademici in occasione delle visite di Stern presso il nostro Istituto.

Nella stessa sezione, un mio articolo sul contributo di Daniel Stern alla psicoterapia della Gestalt sviluppa i punti di incontro e le differenze tra il pensiero dello psicoanalista intersoggettivo e l’epistemologia gestaltica, così come li ho intesi negli anni dei nostri incontri, densi di sviluppi sia nelle sue teorie che nel nostro Istituto.

Daniel Stern ci ha lasciato un’eredità immensa da condividere e sviluppare tra tutti noi innamorati della vitalità umana.

È anche grazie a lui che ci ritroviamo fratelli tra psicoterapeuti di approcci diversi: sia nei convegni che nella letteratura, in molti, pur appartenendo a epistemologie diverse, ci riferiamo agli stessi passaggi teorici di Stern, condividendoli profondamente, come una conferma a ciò in cui crediamo e alla possibilità di dialogare.

Il suo linguaggio ci ha uniti. E sapere questo sicuramente gli avrebbe fatto piacere. Inoltre, il suo sorriso e la sua curiosità intellettiva sono stati un connubio di amore e novità che resterà per sempre nella nostra anima.


Margherita Spagnuolo Lobb

Quaderni di Gestalt, Volume XXVI, 2013-2, Il pensiero di Daniel Stern e la psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 5

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psciopatologia

Co-creare una psicopatologia gestaltica

– Giuseppe Sampognaro

L’autore rivolge ai docenti internazionali dei corsi di psicopatologia gestaltica dell’Istituto di Gestalt HCC Italy alcune domande, allo scopo di rivisitare e definire il concetto di psicopatologia nel nostro modello. Le loro risposte convergono sul valore intrinseco della diagnosi estetica e sul concetto di campo relazionale sofferente. Allo stesso modo, sottolineano l’importanza della svolta teorica dello “sviluppo polifonico dei domini” come chiave di lettura diagnostica e traccia terapeutica da seguire nel contatto col paziente. A conclusione, un commento del fenomenologo Gilberto Di Petta e il suo auspicio di una psicopatologia sempre più aderente all’atteggiamento fenomenologico oscillante tra oggettivo e intersoggettivo.

Da tempo la psicoterapia della Gestalt sembra essersi “riconciliata” con il concetto di psicopatologia. Dopo l’iniziale periodo di insofferenza e il tentativo di rifiutare la dipendenza da ogni inquadramento nosologico anche la psicoterapia della Gestalt ha accolto la necessità di “leggere” la patologia e di individuarne la forma e l’origine. Sappiamo infatti che, negli anni, la diffusione del nostro modello anche all’interno delle istituzioni pubbliche relative alla salute mentale ha determinato la necessità di dialogare sia con psichiatri (legati a un’impostazione medica) sia con colleghi di altre Scuole, formati a una mentalità nosografica tradizionale.

L’Istituto di Gestalt HCC Italy è stato dagli anni ’80 ed è tutt’ora leader internazionale in questo processo di integrazione della psicopatologia e della clinica contemporanea nella prassi e nella teoria del nostro approccio. Organizza dal 2012 l’International Training in Psychopathology and Contemporary Disturbances, rivolto a psicoterapeuti della Gestalt di tutta Europa, Russia e Paesi dell’Est. Il riscontro positivo di questa formazione è tale da creare un vero e proprio movimento nella comunità gestaltica internazionale. Abbiamo intervistato i quattro docenti di questo Training, Margherita Spagnuolo Lobb, Gianni Francesetti, Carmen Vázquez Bandín, Jean-Marie Robine. Dalla loro voce possiamo intuire i concetti fondamentali su cui si basa questo modello psicodiagnostico gestaltico.

Abbiamo poi chiesto a Gilberto Di Petta, psichiatra fenomenologo, Vice presidente della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica e Socio fondatore della Società Italiana di Fenomenologia Clinica e di Psicoterapia, di commentare tali risposte, al fine di mantenere il modello dell’Istituto in dialogo con la corrente della psichiatria fenomenologica e con la sua tradizionale pro- spettiva sulla sofferenza della relazione.

Margherita Spagnuolo Lobb
Parlare di psicopatologia, e ancor più di diagnosi, è stato certamente un grande passaggio per il nostro approccio che, come tutti gli approcci umanistici, rifiutava, fino agli anni ’80, di occuparsi delle psicosi e dei disturbi gravi. Ricordo un seminario di scambio tra il nostro Istituto e il New York Institute for Gestalt Therapy (l’Istituto in cui la psicoterapia della Gestalt è stata fondata, quello che più di tutti dà valore alla ricerca e allo sviluppo teorico), in cui parlammo di psicopatologia e di sviluppo infantile, suscitando curiosità e conflitti.

La fedeltà al qui e ora era diventata negli anni un ostacolo a parlare di tutto ciò che potesse portare fuori dalla freschezza del momento. Il passaggio alla considerazione del mondo della patologia si rese necessario dopo gli anni ’80, quando i disturbi gravi aumentarono e ci fu bisogno di capire come la percezione psicotica sia diversa da quella nevrotica, insomma di avere strumenti per fare una diagnosi differenziale. Le tecniche gestaltiche, come per esempio chiedere di amplificare un sintomo, risultavano rischiose in alcuni casi (fino a provocare un esordio psicotico) e utili in altri (tanto da fare sentire le persone libere di essere se stesse). La psicoterapia della Gestalt era nata per sostenere le risorse, per apprezzare la bellezza. Il rifiuto di Perls stesso a trattare pazienti gravi, quando era a Esalen, rispecchiava l’interesse della società e della psicoterapia di sostenere la potenzialità umana celata da una società massificante, impositiva, cieca alla creatività individuale.

I cambiamenti sociali degli anni ’80 avevano dunque registrato un aumento dei disturbi gravi. Il bisogno di liberare il potenziale umano creativo e autonomo lasciava il posto ad un bisogno di definirsi. Lo sfondo relazionale sicuro, fatto di ruoli chiari e certezze affettive, lasciava il posto a “intermittenze” relazionali che generavano il senso di inaffidabilità dell’altro, e ad una ricerca di sé attraverso provocazioni (penso ai disturbi alimentari, alle tossicodipendenze, per esempio). Occorreva tradurre i principi gestaltici, nati in una società più solida, nel linguaggio di queste nuove sofferenze. Non ci si poteva più esimere dal trattare i pazienti gravi.


Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 9

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corpo come veicolo

Il corpo come “veicolo” del nostro essere nel mondo.

L’esperienza corporea in psicoterapia della Gestalt
– Margherita Spagnuolo Lobb

“L’esperienza della nostra corporeità
non è l’esperienza di un oggetto,
ma del nostro modo di abitare il mondo”

U. Galimberti (1989)

Ho scelto la parola “veicolo” , in riferimento al corpo, nel titolo di questo lavoro perché penso che esprima bene, oggi, la prospettiva gestaltica sul corpo. Essa non è né analitica, né reichiana/corporea: per la psicoterapia della Gestalt, l’esperienza corporea è innanzitutto esperienza di movimento-con (concetto oggi affermato tra l’altro anche dalle neuroscienze). Essa è colta nella sua valenza fenomenologica ed estetica, che consente di dare sostegno al movimento come now-for-next.
Nel setting terapeutico, che è il contesto che ci interessa maggiormente, l’esperienza corporea esprime il movimento di integrazione/contatto per cui il paziente chiede sostegno al terapeuta.
In questo articolo prenderò in considerazione l’esperienza corporea in un modo che sia coerente con l’ermeneutica gestaltica, e che metta in luce i punti cruciali con cui sviluppare un aspetto così centrale per il nostro approccio – forse proprio per questo a volte dato per scontato. In un percorso che parte dall’antropologia e, passando dallo sfondo culturale e teorico dei fondatori, arriva allo specifico gestaltico contemporaneo sul corpo, cercherò di rispondere alle domande “qual è, per uno psicoterapeuta della Gestalt, il modo più naturale di considerare l’esperienza corporea propria e del paziente?” e “in che modo il coinvolgimento dell’esperienza corporea rende l’intervento terapeutico gestaltico efficace?”.
L’articolo sviluppa i senguenti temi:
1. La prospettiva antropologica in cui si pone l’esperienza corporea in psicoterapia della Gestalt
2. Il corpo come sede di relazioni incarnate e come “movimento” della creatività del sé
3. Esperienza corporea come ad-gredere: il sostegno al now-for-next
4. L’estetica dell’esperienza corporea come un “emergere” da un campo fenomenologico
5. L’esperienza corporea come esperienza del sé (funzioni-es, funzione-io e funzione-personalità)

  1. L’ansia, le somatizzazioni, la desensibilizzazione: l’esperienza cor- porea nella clinica
  2. Il lavoro sul corpo in psicoterapia della Gestalt

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Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVI, 2013/1, L’emergere dell’esperienza somatica nel campo fenomenologico
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 41
 

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triadico

Dal triadico al quadriadico

il sé gemellare e riflessioni sulla fratria in psicoterapia della Gestalt

-Gina Merlo.

Nel panorama di circa trenta anni fa, nelle teorie di quella che allora veniva definita psicologia dell’età evolutiva, lo sviluppo della struttura di personalità, del sé o delle modalità di contatto del bambino, a seconda del paradigma teorico di riferimento, veniva osservato e teorizzato all’interno della relazione diadica madre-bambino; veniva sottolineata una relazione non circolare, univoca più che biunivoca; la Mahler descriveva una fase iniziale nel bambino di autismo naturale (cfr. Mahler M. et al., 1978).

Grazie agli studi dell’Infant Research, le cui prime pubblicazioni risalgono al 1983, al concetto di costruzione del sé intersoggettivo di Daniel Stern con la pubblicazione de Il mondo interpersonale del bambino (1987) e alla pubblicazione del Il triangolo primario di Elisabeth Fivaz-Depeursinge e Antoinette Corboz Warnery (1999), l’osservazione si è allargata alla relazione triadica, includendo anche la figura del padre.

L’Infant Research ha dimostrato come:

«fin da primi giorni di vita, il neonato e la madre siano predisposti ad agire consensualmente, piuttosto che a vivere da esseri separati e come la matrice relazionale divenga, in questa prospettiva, il campo costitutivo dell’esperienza e dei significati interpersonali e personali, a meno che una deficienza nella relazione di accudimento intacchi la “dimensione relazionale” della psiche» (Sameroff, Emde, Fivaz-Depeursinge et al., 1999, p. 13).

Osservando la famiglia come insieme, attraverso il gioco triadico di Losanna (LTP) E. Fivaz e A. Corboz Warney, affermano che il terzo non è un oggetto o un evento, ma il terzo è il padre. «L’introduzione di una terza persona, invece che di un oggetto, amplia di colpo le possibilità dell’universo psichico ed emotivo del bambino, rendendolo immensamente più ricco e più complesso» (ibidem, p. 67).

«Non vi è quindi da stupirsi se emerge una competenza triadica precoce se i genitori rispondono appropriatamente, e si creano degli “stati di espansione della consapevolezza” a tre per tutte le parti coinvolte» (ibidem, p. 19).

Attraverso queste nuove linee teorico-cliniche viene quindi messa in discussione la visione dello sviluppo, che presuppone un percorso che porta dalla diade alla triade, dalla capacità di regolare le relazioni diadiche, per “poi” accedere a quelle triadiche.

La dott.ssa A. Simonelli, un ricercatore dell’Università di Padova, formatasi con E. Fivaz, sottolinea l’importanza di «considerare la competenza triadica, non come una generalizzazione della dimensione diadica, ma come una competenza a sé». Questa evoluzione teorico-clinica, a mio avviso rivoluzionaria, è rintracciabile nell’ermeneutica del paradigma della psicoterapia della Gestalt, che sin dagli anni ’50 del secolo scorso, ha come elemento fondante il confine di contatto: «La crescita rappresenta la funzione del confine di contatto nel campo organismo-ambiente» (Perls et al., 1971, pp. 248-249).

In psicoterapia della Gestalt, quando parliamo di relazioni, intendiamo tutto quello che avviene al confine di contatto, dando «uno sguardo sulla relazione che non è né intrapsichico né interpersonale né tanto meno sistemico, ma centrato sull’esperienza del “tra”, ossia su quello spazio esperienziale che resta in posizione mediana tra l’io e il tu, tra l’esperienza interna e l’influsso ambientale… si tratta, per l’epistemologia gestaltica, di eventi di confine, in continua evoluzione, a cui il terapeuta della Gestalt guarda in termini processuali, interessato all’evolversi dell’intenzionalità relazionale» (Spagnuolo Lobb, 2001, pp. 9-10).

È quindi ipotizzabile leggere il triangolo primario, in psicoterapia della Gestalt, guardando allesperienza di ogni singolo componente familiare al confine di contatto, in termini olistici, intenzionali e processuali.

– il sé gemellare

– riflessioni sulla fratria

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Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011-2, Psicoterapia della Gestalt e Neuroscienze
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 26

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adolescenti

Adolescenti ed espressioni depressive

– Michele Lipani e Elisabetta Conte.

L’articolo propone una chiave di lettura dell’esperienza depressiva che può essere vissuta da molti adolescenti e che spesso si colloca sul crinale tra “fisiologia” e rischio psicopatologico. L’aspetto fenomenologico viene delineato sullo sfondo di significati culturali, evolutivi, e, in sintonia con l’approccio gestaltico, nella prospettiva della teoria del sé. Alla proposta di lettura teorica seguono alcune possibili direzioni di supporto psicoterapeutico.

La significativa rilevanza delle problematiche depressive durante l’età evolutiva è ormai condivisa a livello scientifico (Ammaniti, 1999; Bracconier et al.,1995; Cappelli e Cimino, 2002; Carau, 2008; Marcelli, 1993; Tabanelli, 2008) ed è certamente aumentata l’attenzione clinica al disagio depressivo durante l’adolescenza.
Questo lavoro propone una chiave di lettura del fenomeno depressivo in età adolescenziale, tracciando possibili direzioni di intervento coerenti con la prospettiva della psicoterapia della Gestalt.

Pur rilevandone l’importanza, non ci soffermeremo sull’analisi dello sfondo culturale quale contesto che dà significato alle nuove forme della famiglia, alle sue strutture, dinamiche relazionali, valori e riferimenti educativi, rimandando all’ampia letteratura presente su questo tema (Cavaleri, 2000; Conte e Mione, 2008; Galimberti, 2007; Jeammet, 2011; Pietropolli Charmet, 2000; 2008; Recalcati, 2013; Spagnuolo Lobb, 2010; 2011; 2014). Così come i temi, anche i significati evolutivi non sono avulsi dai modi in cui l’ambiente in generale e la famiglia in particolare attraversano i cambiamenti che l’adolescenza impone (Lipani, 2002).

Tenendo sullo sfondo tale contesto, ci soffermeremo sulla descrizione e sui possibili significati delle manifestazioni depressive adolescenziali, muovendoci da un’ottica fenomenologico-relazionale e dando rilievo al frequente collocarsi di tali manifestazioni come zona di frontiera fluida (Cappelli e Cimino, 2002), tra la fisiologica instabilità dell’umore dell’adolescente e la valenza clinica di un quadro patologico strutturato.

Può essere infatti difficile tracciare confini netti capaci di distinguere tra le fasi alterne dell’umore, i sentimenti di tristezza e disistima di sé spesso presenti e tipici di questa età e la presenza di vissuti che denotano invece un’esperienza depressiva che spinge a rifugiarsi, sfiduciati, in un intimo silenzioso.

Peculiarità nell’esperienza depressiva adolescenziale: gli elementi borderline e narcisistici

La letteratura, riferendosi alla nostra società, ha spesso parlato di un’epoca caratterizzata da elementi narcisistici e borderline; anche l’adolescenza, per definizione, porta con sé aspetti narcisistici e borderline. Tali similitudini presenti sia nel contesto culturale che negli adolescenti, secondo noi, si miscelano avendo l’effetto di amplificare i vissuti e le fragilità.

In altri termini, quegli elementi di fragilità che durante l’adolescenza necessiterebbero di sostegno, trovano invece la stessa vulnerabilità nei genitori, figli a loro volta di questo sfondo culturale. La stessa esperienza depressiva può declinarsi allora o sul piano della vulnerabilità narcisistica, o su quello del disagio borderline (Salonia, 2013; Spagnuolo Lobb, 2011, p. 24 ss.; 2014).

La fatica nell’elaborare gli elementi narcisistici e gli introietti genitoriali può fare emergere temi di autocritica negativa, disistima e fallimento. Molti ragazzi manifestano così la paura dell’insuccesso e un senso di autonomia e autostima molto fragili. È questo il caso in cui l’adolescente non riesce a fare fronte alla discrepanza tra il come è, il come vorrebbe essere, e il come gli altri vorrebbero che fosse.

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Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag. 109

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