Sessualità e amore nel setting gestaltico

Dalla morte di Edipo all’emergenza nel campo situazionale,
di Margherita Spagnuolo Lobb

In questo interessante articolo, pubblicato sia in italiano che in inglese (nella prestigiosa rivista “International Journal of Psychotherapy” e nella rivista americana “Gestalt Review”), l’autrice affronta il complesso tema della sessualità e dell’amore nel setting psicoterapeutico, proponendone una lettura che permette di attraversare in termini critici alcuni concetti cardine della psicanalisi, quali il transfert e il complesso di edipo.

Già a partire dalla definizione data dall’autrice dei vissuti d’amore in psicoterapia, entriamo in un modo di vedere squisitamente gestaltico. M. Spagnuolo Lobb infatti descrive l’amore in termini estetici, come “una sorta di faro che illumina la bellezza dell’altro, una luce che ne rende visibile, nella relazione, la vitalità armonica…”. Questa chiave di lettura permette agli psicoterapeuti della Gestalt di avere uno sguardo creativo (cogliere la bellezza nel dolore è impresa complessa) ma anche una solida linea guida nello svolgere il ruolo di cura “orientando il faro del proprio amore terapeutico, affinché il paziente possa risvegliare – attraverso il guardarsi in questa luce- il senso della propria bellezza”. Il riemergere in figura di tale bellezza sarà il frutto, come dice l’autrice, di una cocreazione tra terapeuta e paziente in quello spazio fenomenologico, in quel “tra” che la psicoterapia della Gestalt chiama confine di contatto e che quest’approccio considera come uno spazio di relazione reale, e non solo quindi come un contenitore dei “fantasmi”, dei nostri primi apprendimenti relazionali.

L’autrice infatti definisce l’amore vissuto dal terapeuta e dal paziente nel processo di contatto terapeutico come un “accadimento al confine di contatto” che “risponde ad un’autoregolazione della situazione “e quindi permette l’emergere in figura delle intenzionalità di contatto incompiute, sottese dai sentimenti di attrazione tra terapeuta e paziente. Un aspetto molto innovativo proposto dall’autrice riguarda poi il collocare queste intenzionalità incompiute (che si esprimono nel setting terapeutico in forma di sentimenti di amore o di attrazione erotica), in un campo fenomenologico triadico. M. Spagnuolo Lobb parla inizialmente di ciò riferendosi allo sviluppo del bambino, la percezione del quale è rivolta sia verso il confine di contatto tra la madre e il padre sia a quelli tra sé e la madre e tra sé e il padre. L’autrice poi sposta la sua attenzione sull’applicazione del concetto di campo triadico al setting terapeutico, applicazione che favorisce l’emergere di aspetti dello sfondo dell’esperienza che allargano la percezione, e quindi il contatto, tra il paziente e il terapeuta, permettendo l’integrazione dei “vissuti di amore e sessualità…per ricostruire il ground su cui poggia la vita di relazione, il senso di sicurezza nella terra e nell’altro…” Per mostrarci ciò, l’autrice porta un esempio clinico dell’utilizzo della prospettiva triadica in un setting diadico, mostrando come il passaggio ad una logica di questo genere crei la possibilità di mobilitare il confine di contatto in termini di maggior spontaneità e fluidità.

L’autrice sottolinea inoltre come l’ermeneutica del confine di contatto ci permetta di uscire da una visione individualistica dei bisogni, che si attualizza ad esempio nel concetto del complesso di Edipo, che, secondo M. Spagnuolo Lobb, è “paradigma di una ricerca solipsistica di soddisfazione dei propri bisogni”. Il collegarsi al paradigma del confine di contatto costringe ad un radicale cambiamento di prospettiva in termini relazionali: i vissuti del bambino non sono leggibili come qualcosa che nasce solo “dentro la sua pelle” ma sono frutto di tutto il campo situazionale, campo situazionale, come già detto, è sempre un “campo fenomenologico a vertice triadico”.

Ci sembra che in questo articolo M. Spagnuolo Lobb illustri molto efficacemente la preziosità del concetto cardine della psicoterapia della Gestalt, quello di confine di contatto, inteso come un costrutto che riorganizza non solo il pensare al campo relazionale terapeutico (in particolare in quei suoi aspetti a volte di difficile gestione, quali quelli trattati in questo articolo) ma anche l’interpretazione delle dinamiche sociali. La lettura di questo testo perciò arricchisce il bagaglio di ogni terapeuta della Gestalt, grazie al suo mettere in luce così acutamente possibilità e applicazioni di questo approccio che ancora ci permette di nutrirci di nuovi interessanti sapori, ma è consigliabile anche a quanti desiderino linee guida innovative per orientarsi nella complessità del nostro tempo in trasformazione.

Maria Mione

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2010 /1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 116

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Referenza:
Spagnuolo Lobb M. (2008). Sessualità e amore nel setting gestaltico: dalla morte di Edipo all’emergenza nel campo situazionale. Idee in Psicoterapia, 1, 1: 35-47.
Spagnuolo Lobb M. (2009). Sexuality and love in a psychotherapyeutic setting: from the death of Oedipus to the emergence of situational field. International Journal of Psychotherapy, 13: 1, 5-16.

Seminario con Erving Poster

Ogni vita merita un romanzo. La psicoterapia nel fluire della vita. Video Seminario con Erving Poster.

Durante un seminario a Palermo, 7 e 8 giugno 2011, il professore Erving Polster, decano internazionale della psicoterapia della Gestalt, ha presentato, ad una platea attenta e curiosa, il proprio modello teorico-clinico in cui ciò che accade nel qui ed ora dell’incontro tra terapeuta e paziente viene considerato un evento narrativo generatore di cambiamento e crescita. Partendo dall’originale prospettiva della psicoterapia come un luogo e uno spazio che rende possibile il risvegliarsi dell’interesse per “l’altro” e per la vita sia nel paziente che nel terapeuta, l’incontro si è sviluppato lungo il percorso della story telling, della sequenza terapeutica, degli aspetti sociali della psicoterapia e dei gruppi spontanei come luogo di terapia.

Il seminario si è svolto in quattro sessioni, ciascuna di mezza giornata, in cui Polster ha presentato un aspetto teorico che ha poi preso forma nella conduzione di alcune sedute dal vivo. Una di queste sedute è stata in co-conduzione con la professoressa Margherita Spagnuolo Lobb. Ascoltare e vedere al lavoro questo grande maestro della psicoterapia della Gestalt, ha significato incontrare lo sguardo di Erving, una sorta di faro amoroso che risveglia e conduce la persona che ha di fronte verso l’interesse per il gioco della vita.

Durante le lezioni magistrali, il professor Polster ha evidenziato tre strade che nel percorso terapeutico conducono alla possibilità dell’espressione piena del sé:

  • da persona a persona;
  • da momento a momento;
  • da evento a evento.

Polster considera il contatto fra persona e persona come uno dei fattori fondamentali di sviluppo, crescita e maturazione dell’individuo, il punto d’incontro tra noi e l’ambiente. La propensione ad un atteggiamento di fiducia ed autentico interesse nel vedere una persona è il sostegno all’intenzionalità di contatto insita in ogni azione individuale, ciò che rende possibile sperimentare il senso di frammentazione e di conflitto nonché la possibilità di superarli per giungere ad un vissuto di integrazione e pienezza.  (…)

Erving ci ha ricordato che il compito del terapeuta è di riconoscere quando il contatto è pieno, intenzionale, ispirato e direzionato. La concentrazione, il fascino e la curiosità sono tre qualità che favoriscono la relazione tra terapeuta e paziente, lo stare presenti al confine di contatto, aperti alla novità di cui l’altro è portatore. Quando il terapeuta è aperto a queste tre qualità abbiamo un’esperienza nuova della relazione e non la ripetizione di schemi relazionali antichi e non più funzionali. (…)

Durante una seduta Erving, con un’intuizione geniale, è riuscito a portare l’altro in una dimensione indicibile: “Se tu diventi felice, i tuoi genitori diventeranno buoni genitori e tu andrai avanti. Tutti noi dobbiamo andare oltre i nostri genitori, scoprire chi siamo”. Lo svelarsi di un’idea indicibile, ha permesso alla persona di poter realizzare e accedere ad un’idea nuova: “I miei genitori sono buoni genitori”.

Erving, sostiene che l’essere umano è un organismo complesso costituito da “sensi e comprensione”, in cui l’attenzione alla sola dimensione sensoriale costituisce un’amputazione alla complessità del fenomeno che abbiamo di fronte. Ha invitato pertanto a sostenere i pazienti alla narrazione di sé, le astrazioni, le introduzioni, i riassunti sono funzionali alla consapevolezza ed al cambiamento, come lo sono i contenuti che costituiscono il significato e il significante delle pagine del proprio “romanzo di vita”. Erving dice a Margherita: “Io non posso stare con te se non ti comprendo, se non ti conosco, non posso stare con te se non includo questi fenomeni; io sto con te e vedo il tuo sorriso, il tuo sguardo è essere con, ma io non posso stare con te se non capisco ciò che sta accadendo, e questo lo capisco ascoltando i contenuti”.

Compito del terapeuta, è possedere competenza e interesse anche verso quelle aree della vita che i pazienti vogliono tagliare fuori perché ritenute noiose e scialbe. (…)

Monica Bronzini

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli.

Per maggiori informazioni sul video seminario “Ogni vita merita un romanzo”con Erving Poster, clicca qui 

dialogica

Istituto di Gestalt HCC Italy per il sociale: mostra Dialogica – atemporali connessioni contemporanee

A Siracusa è iniziata la mostra di opere d’arte Dialogica che vede la partecipazione di 14 artisti da tutto il mondo. L’Istituto di Gestalt HCC Italy ha voluto sostenere l’organizzazione dell’iniziativa per l’alto valore culturale ed artistico, e per sostenere il dialogo sempre presente tra arte e psicoterapia della Gestalt.
La manifestazione vuole essere un omaggio alla vitale attualità delle opere d’arte antica ed insieme un dialogo con i maestri del passato. Opere pittoriche, progetti fotografici e video disegnano un percorso espositivo parallelo a quello della Galleria, con incursioni nel sociale e nella più vicina attualità. Gli artisti di Dialogica sono: Evita Andùiar, Romina Bassu, Giuseppe Bombaci, Davide Bramante, Riccardo Brugnone, Andrea Buglisi, Claudio Cavallaro, Simone Geraci, Francesco Lauretta, Ettore Pinelli, Giacomo Rizzo, Massimiliano Usai, Giovanni Viola, William Marc Zanghi.
La mostra sarà visitabile negli orari di apertura del Museo Galleria regionale di Palazzo Bellomo, Ortigia, Siracusa (mappa google)
In occasione della chiusura di sabato 2 Dicembre 2017, Massimiliano Usai e Roberto Vitale si esibiranno in un live di musica e poesia nel cortile di Palazzo Bellomo.
lavoro sui sogni

L’uso della concentrazione nel lavoro sui sogni

– Mercurio Albino Macaluso

Secondo gli autori di Teoria e pratica della terapia della Gestalt, il sogno è un atto creativo del sé, in cui le situazioni incompiute che tendono alla chiusura si manifestano attraverso il linguaggio pre-verbale delle immagini. Il sogno costituisce una risorsa essenziale per la terapia, in quanto via d’accesso privilegiata alla comprensione delle modalità di contatto della persona e strumento potente per favorire una migliore integrazione dell’esperienza. Oltre ai classici metodi elaborati da Frederick Perls e da Isadore From, vi è un’ulteriore modalità gestaltica di lavoro sui sogni, basata sulla tecnica della concentrazione, che troviamo menzionata nei testi fondanti della psicoterapia della Gestalt. L’articolo propone una rivalutazione di tale modalità, stranamente caduta nell’oblio.

Per la psicoterapia della Gestalt, come per la maggior parte degli approcci psicoterapeutici, il sogno racchiude un notevole potenziale di trasformazione personale e il lavoro fatto a partire dal materiale onirico può essere uno strumento terapeutico potente. L’approccio gestaltico fa ricorso direttamente all’esperienza, invece di mirare all’interpretazione dei contenuti inconsci della psiche. Il lavoro gestaltico sui sogni, pertanto, tende a utilizzare il sogno stesso come mezzo per fare un’esperienza modificatrice. In tal modo il sogno diventa un catalizzatore del processo terapeutico, che ha come fine il funzionamento integrato della personalità.

I metodi gestaltici classici di lavoro sui sogni sono fondamentalmente quello di Frederick Perls e quello di Isadore From. Secondo Perls (1968), ogni elemento del sogno è una proiezione di parti scisse del sognatore. Compito del terapeuta, è favorire la reintegrazione delle parti proiettate del sé del paziente, facendo identificare quest’ultimo con i vari elementi del sogno. In aggiunta al metodo di Perls, From (Rosenfeld, 1978) propose di considerare il sogno come una forma di retroflessione, cioè un ripetere a se stesso qualcosa che il paziente ha evitato di esprimere nell’incontro con il terapeuta. Il ricordare e il raccontare il sogno in terapia, indicano il tentativo di risolvere questa retroflessione. Nella prospettiva di From il sogno, dunque, è visto in chiave relazionale e diventa uno strumento importante per portare alla luce i disturbi del confine di contatto nella relazione tra paziente e terapeuta.

In questo breve lavoro, mi propongo di dimostrare che, oltre a queste modalità tradizionali, vi è un’ulteriore modalità gestaltica di lavoro sui sogni, indicata nei due testi fondanti della psicoterapia della Gestalt, ma poi stranamente caduta nell’oblio. In Ego, Hunger and Aggression (Perls, 1942), è descritta, in maniera succinta, ma chiara, una modalità di lavoro sui sogni che utilizza la tecnica della concentrazione. E anche in Teoria e pratica della terapia della Gestalt (Perls et al., 1951), ritroviamo un cenno fugace, ma significativo, alla possibilità di utilizzare la concentrazione nel lavoro sui sogni.

Dopo un primo periodo, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, in cui Perls e la moglie Laura nei gruppi da loro condotti a New York lavorarono sui sogni attraverso la concentrazione, come risulta dalla testimonianza di Richard Kitzler, che riporto più avanti, nella pratica clinica gestaltica questa modalità di approccio al materiale onirico venne accantonata e finì per essere dimenticata. (…)

L’articolo affronta i seguenti temi:

1. Il sogno e il lavoro sui sogni in Teoria e pratica della terapia della Gestalt

2. Una modalità di lavoro sui sogni attraverso la concentrazione

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV,  2011 – 1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag. 13.

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seduta dal vivo

L’arte del prendersi cura: dialogo su una seduta

– Margherita Spagnuolo Lobb, Adriano Schimmenti e Pietro Andrea Cavaleri. A cura di Teresa Borino

L’articolo riporta la trascrizione di una seduta dal vivo condotta nel 2010 da Margherita Spagnuolo Lobb durante un seminario presso l’Università Kore di Enna. La seduta è incentrata sul sostegno della consapevolezza, all’interno dell’esperienza co-costruita tra terapeuta e paziente. Parole e corporeità si intrecciano al confine di contatto, in una danza relazionale in cui il qui-ed-ora dell’incontro diviene bussola del terapeuta, per sostenere il now-for-next, l’intenzionalità di contatto della paziente. A seguire vengono riportati i commenti del Prof. A. Schimmmenti e del dott. P.A. Cavaleri, che hanno assistito alla seduta. Il risultato è un interessante dialogo e uno stimolante confronto tra due vertici osservativi del processo terapeutico: la psicoanalisi e la psicoterapia della Gestalt.

«E allora, non ascoltate le parole,
ma soltanto quello che vi dice la voce,
quel che vi dicono i movimenti,
quel che vi dice l’atteggiamento, quel che vi dice l’immagine. (…)
Se abbiamo occhi e orecchie, il mondo è aperto»
Perls (1980)

Le parole di Fritz Perls introducono alla prospettiva estetico- fenomenologica che ha animato la seduta dal vivo condotta da Margherita Spagnuolo Lobb in occasione di un seminario didattico presso l’Università Kore di Enna. L’intervento clinico poggia sul ground di una prospettiva olistica ed estetica dell’esperienza in cui ogni passaggio, parola e vissuto, anche il luogo più intimo delle percezioni e sensazioni corporee, sono considerati un fenomeno di campo. Le parole che sostengono e accompagnano l’esperienza affondano le loro radici nei vissuti senso-motori che originano al confine di contatto (cfr. Perls, Hefferline, Goodman, 1997; cfr. Borino, 2013). Ed è proprio ciò che avviene in questo confine ad essere disponibile alla nostra osservazione e all’intervento terapeutico.

Il farsi del contatto che anima la seduta è un’esperienza intercorporea (cfr. Merleau-Ponty, 1979; 1996) di movimenti intenzionali in cui la fisiologia e la corporeità in parte sono già date, e in parte si creano e si modificano in un continuum processuale nel campo fenomenologico “dato” (cfr. Borino, 2013). Il lettore viene coinvolto in un processo di progressivo sostegno alla consapevolezza del corpo-in-relazione, al movimento intenzionale della paziente che sottende il desiderio di raggiungere ed essere raggiunta, il processo della co-creazione del sé al confine di contatto. Quello che accade nel qui ed ora del confine di contatto avviene e si rivela a livello di respirazione, postura, tensione muscolare, cuore che batte, occhi che guardano e orecchie che sentono (cfr. Borino, 2013).

Per l’intera seduta Spagnuolo Lobb lavora tenendo costantemente presente il doppio binario del «livello diacronico dell’esperienza che costituisce lo sfondo dell’esperienza della paziente, e il livello sincronico, costituito dalla figura del disagio attuale e dell’intenzionalità di contatto che cerca di portare a compimento» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 98). Se l’attenzione della terapeuta è costantemente rivolta al here-and-now della relazione, la sua tensione è centrata sul now-for-next. All’interno di un’ottica di campo e di una prospettiva antropologica positiva, in cui l’adattamento creativo a situazioni difficili è la lente per guardare al malessere ma anche alle risorse della paziente, la lettura transferale prospettata dal prof. Schimmenti diventa per noi gestaltisti l’attualizzazione di competenze relazionali co-create nell’incontro.

Il modello estetico e processuale di Spagnuolo Lobb rende l’intervento psicoterapico fiducioso nell’autoregolazione della relazione, in ciò che già funziona, nella tensione verso. Per la psicoterapia della Gestalt, infatti, è proprio l’incontro tra il terapeuta ed il paziente che genera la possibilità di crescita e cambiamento attraverso la ristrutturazione percettiva dell’esperienza e la novità relazionale co-creata nel qui-ed-ora del contatto. Scopo della “cura” non è la comprensione razionale bensì qualcosa che ha a che fare con aspetti processuali ed estetici: il recupero della spontaneità nel contattare l’ambiente.

La seduta: Margherita Spagnuolo Lobb conduce la seduta, Adriano Schimmenti e Pietro A. Cavaleri osservano per poi fare il commento.

T.: Come ti chiami? Pz.: Paola.
T.: Vuoi che inizi io? Pz.: Sì.

T.: Puoi sederti più comoda possibile? Ok, prova a respirare un po’ più pienamente…

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag 73

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estetica incarnata

Estetica incarnata: Risonanza nella percezione, Espressione e Terapia – Università di Heidelberg

Si è svolto all’Università di Heidelberg un convegno sull’Estetica incarnata: Risonanza nella percezione, Espressione e Terapia.
Convegno internazionale e multidisciplinare che ha permesso di affrontare il tema da diversi punti di vista, dalla ricerca universitaria, alla filosofia e sociologia, all’arte, alla psicoterapia. I diversi i contributi teorici hanno avuto come sfondo alcune domande di base:

  • Come declinare il concetto di estetica incarnata nella pratica clinica e nelle arti-terapie?
  • Qual è il ruolo del corpo nel sentire e nel pensiero sull’esperienza della bellezza?
  • Come può essere concettualizzata un’estetica incarnata?

L’ Istituto HCC Italy ha rappresentato l’approccio della Psicoterapia della Gestalt attraverso la presentazione di quattro filoni di ricerca.
Silvia Alaimo ha presentato il suo lavoro nato dalla pluriennale esperienza clinica nel trattamento dei disturbi alimentari attraverso la prospettiva dell’estetica incarnata propria dell’epistemologia gestaltica.
Roberta La Rosa e Silvia Tosi hanno presentato una lecture (di cui è autrice anche Alessia Repossi) sul tema del movimento in psicoterapia della Gestalt:  le relatrici, attraverso un inquadramento teorico e una prospettiva estetica, fenomenologica e relazionale, hanno messo in rilievo le connessioni con la ricerca, le neuroscienze e la discussione di un caso clinico.
Alessia Repossi e Giulia Innocenti Malini hanno esposto il loro lavoro dal titolo Il teatro come ponte per la comunità: una riflessione sull’utilizzo di laboratori teatrali in ambito psichiatrico, un’esperienza di connessione tra l’approccio della psicoterapia della Gestalt e il metodo del Teatro Sociale.
Infine Silvia Tosi ha presentato un poster sulla sua esperienza clinica in psicoterapia della Gestalt con i bambini.
La partecipazione al convegno ha dato la possibilità ai membri dell’Istituto di Gestalt HCC Italy di poter condividere alcune delle fruttuose linee di ricerca presenti nel nostro lavoro e  di poterle confrontarle con altri approcci. Tutto questo è la base su cui fondare la nostra crescita teorica anche, e soprattutto, attraverso connessioni internazionali.

Il trauma dell’abuso e il delicato processo della riparazione

:come ridare voce e corpo al bambino violato

-Rosanna Militello ntervista a Marinella Malacrea (Parte II)
 

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma dell’abuso all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

(…)

Rosanna Militello: Nella psicoterapia della Gestalt l’incontro terapeutico viene visto come una co-creazione, una danza in cui il bambino corre il rischio di potersi esprimere mentre il terapeuta si prende il rischio di accompagnarlo in un viaggio verso terre sconosciute, aprendo spazi nuovi di immaginazione (Spagnuolo Lobb, 2007). Potrebbe descriverci le fasi del processo terapeutico che segue nel lavoro clinico con il bambino vittima di Esperienze Sfavorevoli Infantili?

Marinella Malacrea: Come già detto, la psicoterapia nell’abuso all’infanzia è finalizzata in primo luogo ad agire sul sistema di significati del soggetto, cambiando le “lenti” con cui viene letta l’esperienza, diminuendo il cortocircuito tipico dei processi post traumatici e ripristinando la capacità di integrazione, archiviazione e controllo su pensieri, ricordi, comportamenti, stati psicofisici. Fondamentale è l’idea che il trattamento è un processo, che, in modo non lineare, attraversa tuttavia fasi obbligatorie. Imprescindibile diventa la progettazione dell’intervento in ogni sua fase.

Tale progettazione sarà guidata da due considerazioni: la prima attiene alla necessità di governare il processo terapeutico garantendo sicurezza, gradualità, sintonizzazione con la piccola vittima ed evitando per quanto possibile, riattivazioni traumatiche; la seconda discenderà dalla consapevolezza che non ci si può attendere che i modelli operativi post traumatici vengano attaccati spontaneamente dal piccolo paziente. Quindi, spetta a chi cura guidare con mano ferma la rivisitazione dei processi psichici disfunzionali, portando per così dire per mano il bambino.

I presupposti del contratto terapeutico, costituiti da motivazione e stabilizzazione (controllo sufficiente della sofferenza), devono trovare un equilibrio accettabile. Il trattamento è, infatti, a rischio di “implosione” se c’è insufficiente spinta al cambiamento o al contrario di “esplosione” se pesa una eccessiva labilità e criticità personale. Si può affermare che l’attenzione a queste premesse costituisce il focus trasversale all’intero processo terapeutico. Va notata ancora la precocità con cui nel trattamento viene affrontata la necessità di “guardare da vicino” l’esperienza traumatica più grave, recuperando progressivamente, a cerchi concentrici, premesse e conseguenze, nonché esperienze traumatiche secondarie.

L’obiettivo trasversale della cura, che affonda le sue radici in un humus empatico, è collaborare attivamente a produrre “finestre di plasticità”, di cui ho parlato in precedenza. Lavorando con il bambino appare importante accordarsi sul fatto che lui stesso che è il vero protagonista, affronterà la sua sofferenza in un lavoro di “squadra” con il terapeuta.

La metafora della “squadra” si rivela densa di valore e immediatamente esplicativa. Una squadra si fonda su un libero contratto, è formata per mettere insieme le forze per vincere, è sintonizzata sul raggiungimento di un comune obiettivo, ognuno deve fare la sua parte, nella squadra non ci sono segreti. “Essere in squadra” consente fin dal primo incontro di parlarsi chiaro, di esplicitare le informazioni pregresse comunque raccolte e che a volte neppure il bambino conosce nella sua interezza, di definire gli obiettivi, di fare l’elenco dei problemi da risolvere, di chiarire i metodi che verranno adottati e molto altro: in una parola, consente di responsabilizzare il bambino nel suo percorso terapeutico. In quest’ottica di cooperazione un passaggio fondamentale è la fase della restituzione al piccolo paziente, che deve contenere, pur nel dettaglio unico e specifico del singolo individuo, alcuni “messaggi forti e chiari”.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV,  2011 – 1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli, pag. 13

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Autismo e psicoterapia della Gestalt: un ponte dialogico possibile

-Antonio Narzisi e Rosy Muccio

Gli obiettivi principali di questo studio sono: descrivere le caratteristiche cliniche di disturbi dello spettro autistico cercando di costruire un ponte dialogico con la psicoterapia della Gestalt e iniziare a sviluppare una lettura ermeneutica dei disturbi dello spettro autistico secondo la teoria della psicoterapia della Gestalt.

Autismo: caratteristiche generali ed espressività del disturbo sociale

L’individuazione dell’autismo come sindrome clinica precocissima si può far risalire a due pubblicazioni quasi contemporanee. La prima, ad opera di Kanner (1943), descriveva bambini caratterizzati dall’assenza di interessi sociali, tendenza a stare da soli, intolleranza ai cambiamenti, interessi ristretti e stereotipati, disturbi del linguaggio e riduzione delle capacità cognitive; la seconda, del 1944, ad opera di Asperger, descriveva soggetti ugualmente solitari e dagli interessi ristretti ma senza deficit cognitivo e linguistico.

L’autismo di Kanner e la sindrome di Asperger sono diventati i due quadri clinici estremi di quelli che attualmente sono definiti Disturbi dello Spettro Autistico (DSA, o Autism Spectrum Disorders, ASD) e che sono caratterizzati da due elementi: 1) deficit socio-comunicativo; e 2) presenza di interessi ristretti. Secondo le stime del CDC (Center for Disease Control and Prevention), l’incidenza dei DSA è di circa 1 bambino su 68. Tale incidenza pone i DSA come malattie non rare e di grande rilevanza sociale e sanitaria. Per molti anni l’ipotesi eziologica dell’autismo è stata basata sull’idea che il bambino affetto da autismo fosse neurologicamente sano, e che la causa dell’autismo fosse individuabile solo nel rapporto inadeguato con una madre “frigorifero” (Bettelheim, 1967).

Per molti anni questa ipotesi eziologica, oggi ritenuta scorretta, ha dominato il panorama clinico internazionale. Attualmente i DSA sono considerati come l’espressione di uno specifico processo patologico che, a partire da fattori poligenetici (sicuramente presenti, ma solo in piccola parte identificati), comporta uno sviluppo anormale della architettura cerebrale che è la responsabile della sindrome clinica comportamentale. Il fatto che l’autismo possa essere meglio compreso nella sua natura di disfunzione genetica e neurobiologica ha portato progressivamente a sviluppare metodi terapeutici più congruenti con la specificità dei deficit neurocognitivi e psicopatologici. In particolare la ricerca sul ruolo che l’esperienza svolge nell’espressione dei geni e nella costruzione dell’anatomia cerebrale sta ponendo le basi per trattamenti in grado di modificare le funzioni e le strutture cerebrali e non come semplici e forzose modificazioni comportamentali.

L’intervento precoce è maggiormente efficace poiché si appoggia sulla plasticità cerebrale, connessa al ruolo che l’esperienza svolge nell’espressione genica e nella costruzione dell’anatomia cerebrale. Attualmente gli interventi precoci per l’autismo sono collocabili lungo un continuum che vede ad una estremità gli interventi fondati sulla teoria comportamentale (behavioral approaches) e dall’altra quelli basati sullo sviluppo (developmental approaches).

Secondo questa proposta tutti gli interventi possono essere collocati all’interno di un continuum che va da approcci comportamentali altamente strutturati e guidati da un terapista, ad approcci meno strutturati che seguono gli interessi del bambino basandosi su un programma teso a facilitare il suo progredire sulla scala dello sviluppo (Narzisi et al., 2014; Ospina et al., 2008). Kanner (1943, p. 1) aveva descritto i bambini con autismo come «bambini che vengono al mondo con un disturbo innato nel formare l’usuale contatto affettivo con le persone, proprio come altri bambini vengono al mondo con un handicap fisico o intellettivo».

Questa intuizione di Kanner è oggi ampiamente confermata sia dagli studi clinici, che segnalano come indici precoci di rischio di autismo il difetto dell’attenzione condivisa e della reciprocità sociale (Mundy, Crowson, 1997), sia dagli studi di imaging (Kennedy et al., 2006) che segnalano disfunzioni a livello di un complesso network di aree cerebrali deputate alla regolazione sociale delle azioni umane (amigdala, corteccia orbito-frontale, giro temporale superiore e inferiore, giro fusiforme, corteccia temporo-polare). L’abbattimento dell’età del bambino al momento della diagnosi dai sei anni ai tre/quattro anni ha notevolmente migliorato la prognosi dei DSA (Vismara, Rogers, 2010). La sfida attuale è quella di porre diagnosi di autismo prima dei trentasei mesi di vita in modo da poter intervenire in una fase dello sviluppo in cui il disturbo non si è ancora stabilizzato e quindi di modificare realmente la qualità della reciprocità sociale in questi bambini.

(…)

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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psicologi in piazza

Psicologi in Piazza- 14 Ottobre 2017 a Palermo

“Psicologi in Piazza”: ecco il nome della manifestazione a cui il Centro Clinico e di Ricerca dell’Istituto di Gestalt HCC Italy ha preso parte lo scorso sabato 14 ottobre 2017 a Palermo.

Diverse associazioni di psicologi operanti nel territorio siciliano hanno allestito il proprio spazio espositivo in piazza Verdi, a fianco dello splendido Teatro Massimo, nel cuore della città. L’iniziativa, promossa dall’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana nella Giornata del benessere psicologico, si proponeva di portare la psicologia tra la gente, creare luoghi di confronto diretto e spontaneo tra gli psicologi impegnati a favore di iniziative nel sociale e la gente comune.

Tanti i passanti che si sono avvicinati allo stand del Centro Clinico e di Ricerca: incuriositi dal termine “Gestalt”, interessati alle diverse tipologie di interventi proposti, piacevolmente sorpresi dalle modalità agevolate di accesso ai servizi, o semplicemente attratti dalla possibilità di portare con sé un depliant illustrativo.

Altro risvolto importante dell’iniziativa è stato il confronto reciproco tra gli operatori delle diverse associazioni presenti in piazza: stabilire contatti è il primo passo per la costruzione di efficaci reti professionali.

Per conoscere l’iniziativa del Centro Clinico e di Ricerca clicca qui 

Training autogeno

Il Training Autogeno in psicoterapia della Gestalt. Rilassamento, consapevolezza, vitalità

– Teresa Borino
 

Il corpo e l’anima sono identici “in re” anche se non “in verbo”,
le parole corpo e anima denotano due aspetti della stessa cosa.

F. Perls (1995)

Il presente articolo propone una contestualizzazione dell’apprendimento e dell’utilizzo del Training Autogeno entro la cornice teorico-metodologica della psicoterapia della Gestalt. Dimostra come questa “adozione” può dare benefici non solo sul versante dell’acquisizione di una maggiore consapevolezza corporea, e dunque di un rilassamento psico-fisico, ma anche a sostegno di un percorso di apertura di sé al cambiamento nel contatto organismo/ambiente, ai fini del cambiamento terapeutico. L’uso del Training  Autogeno è anche utile al terapeuta per tenere la propria capacità di sentire il proprio corpo in allenamento.

Il Training Autogeno, che letteralmente significa “allenamento che si genera da sé”, è considerato una delle tecniche di rilassamento più efficaci. La distensione psichica e l’autoregolazione di funzioni normalmente involontarie, regolate dal sistema nervoso autonomo, sono tra gli obiettivi più conosciuti della tecnica.

La pratica del Training Autogeno consiste in un graduale e sistematico apprendimento di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva, particolarmente studiati e concatenati allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza (Crosa, 1993, p. XI).

Il Training Autogeno è uno strumento poliedrico ideato da J.H.Schultz all’interno di una complessa concezione della vita, la bionomia, e di una teoria del metodo, l’autogenia, in cui il rilassamento è conseguenza del recupero del proprio equilibrio e della riarmonizzazione dei circoli vitali. La duttilità e la flessibilità della tecnica ne consentono l’impiego anche all’interno di modelli clinici diversi, ove è possibile recuperare le valenze psicoterapiche prospettate da Schultz nell’ambito della psicoterapia bionomica.

Psicoterapia della Gestalt e Training Autogeno sono accomunati da una visione olistica e integrativa dell’esperienza e si basano su alcuni principi teorici comuni: la focalizzazione sui processi di concentrazione e consapevolezza nel qui ed ora, l’accettazione passiva di quanto emerge spontaneamente, e la capacità di autoregolazione organismica.

L’ipotesi prospettata nel presente articolo è che contestualizzare l’apprendimento e l’utilizzo del Training Autogeno entro la cornice teorico-metodologica del modello della psicoterapia della Gestalt offre strumenti utili agli allievi che apprendono il metodo gestaltico, ai terapeuti che con esso si identificano nella pratica clinica, e ai loro pazienti. La tecnica del Training Autogeno, declinata secondo l’ermeneutica gestaltica, infatti, non solo addestra al rilassamento psico- fisico, ma sostiene anche un percorso di conoscenza e di consapevolezza di sé e dunque di cambiamento.

Vorrei, in ultimo, sottolineare che è consigliabile, a garanzia e tutela per i pazienti, che il terapeuta che voglia inserire nella propria pratica clinica il Training Autogeno, possieda delle nozioni (almeno di base) sulla fisiologia dei vari apparati e sistemi coinvolti.

(…)

L’articolo tratta i seguenti temi:

1. Stress e eccitazione

2. La respirazione e l’ansia

3. Il Training Autogeno nel trattamento dello stress e dell’ansia

4. Livelli di manifestazione dell’ansia e indicazione per il Training Autogeno

5. Il Training Autogeno in psicoterapia della Gestalt

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVI, 2013/1, L’emergere dell’esperienza somatica nel campo fenomenologico
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 109

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