Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2015/1 in breve.

“Davanti alla grandiosità del terapeuta, il paziente o l’allievo non possono far altro che crogiolarsi.”
Gary Yontef

La scelta di pubblicare un secondo volume sulla psicopatologia nasce dal desiderio di trasmettere ai nostri lettori l’ampio patrimonio di studi, ricerche e strumenti didattici sulla clinica gestaltica, orientata da una prospettiva di campo, a cui l’Istituto di Gestalt HCC Italy ha contribuito in maniera significativa ormai da un decennio (il primo libro sugli attacchi di panico a cura di Gianni Francesetti è del 2005!). La frase in epigrafe segna il fil rouge che unisce lo spirito di questi studi e degli articoli di questo numero: la reciprocità e relazionalità dell’incontro terapeutico. Scommettendosi nella mutevolezza e nel rischio del campo fenomenologico condiviso, il terapeuta declina nel qui e ora dell’incontro terapeutico l’umiltà dell’essere-con.

In questo numero troviamo quattro Relazioni, tutti contributi nuovi, che tracciano il confine in evoluzione dei nostri studi. L’articolo di Miriam Taylor “Uno sfondo sicuro: utilizzo dell’approccio sensomotorio nel trauma” chiarisce in modo inequivocabile il tipo di trattamento necessario per il DPTS, sottolineando come esso debba essere diverso dal classico intervento gestaltico basato sulla teoria paradossale del cambiamento di Beisser, e come debba invece prendere in considerazione la strutturazione neurologica degli schemi percettivi traumatici. Il libro dell’autrice su questo argomento, Trauma Therapy and Clinical Practice. (…)

Segue un contributo di Margherita Spagnuolo Lobb e di Valeria Rubino su “Le esperienze dissociative in psicoterapia della Gestalt”: partendo dalle descrizioni del DSM 5, la autrici presentano casi clinici focalizzando la peculiarità di un intervento gestaltico che nasca dall’evoluzione della teoria paradossale del cambiamento.

Antonio Narzisi e Rosy Muccio seguono con un contributo che integra recenti ricerche sull’autismo con la prospettiva gestaltica, “Autismo e psicoterapia della Gestalt: un ponte dialogico possibile”. La sintomatologia autistica può essere ascritta alla mancanza di modulazione sensoriale e alla difficoltà di pianificazione motoria. In un’ottica esperienziale, il terapeuta della Gestalt si chiede come il bambino autistico usi la propria visione, come senta il corpo, come gestisca il proprio equilibrio. Considerando la co-creazione del contatto tra bambino autistico e caregiver, l’intervento deve sostenere l’intenzionalità di entrambi affinché si raggiungano con una adeguata competenza sull’altro.

Giancarlo Pintus in “Processi neurobiologici e competenza al contatto nell’esperienza addictive” affronta l’esperienza di dipendenza presentando i processi neurobiologici che la sostengono, e iscrivendola nel quadro di riferimento delle esperienze traumatiche. Inoltre sottolinea l’importanza di tenere in considerazione in terapia l’attaccamento e il riconoscimento relazionale.

Per la Gestalt in Azione, una seduta gestaltica condotta durante un seminario per studenti universitari viene commentata da uno psicoanalista e da un gestaltista. “L’arte del prendersi cura: il modello della psicoterapia della Gestalt in dialogo. Simulata di una seduta dal vivo” è il titolo di questo lavoro clinico curato da Teresa Borino, che ospita i contributi di Adriano Schimmenti e di Pietro A. Cavaleri, per una seduta condotta da Margherita Spagnuolo Lobb.

Nella sezione Studi e Modelli Applicativi, curata da Aluette Merenda, Serena Iacono Isidoro con “La ‘sindrome del cuore infranto’: un’indagine preliminare sull’isomorfismo psicofisico” sintetizza la sua tesi di specializzazione: si tratta di un primo studio sul rapporto isomorfico tra stress nel contatto con l’ambiente e stress cardiaco, che prende in esame gli stili percettivi di pazienti con sindrome cardiaca acuta indotta dallo stress, chiamata di “tako-tsubo”.

Nella stessa sezione, Jan Roubal e Tomas Rihacek presentano “I vissuti del terapeuta con i pazienti depressi”, uno studio sui sentimenti di attunement e di distanziamento dei terapeuti di pazienti affetti da depressione. Lo studio apre ad una comprensione dell’autoregolazione di questa relazione e dei benefici della sintonizzazione affettiva nella cura.

Per la sezione Storia e Identità, Bernd Bocian ha scelto l’articolo di Gary Yontef “L’atteggiamento relazionale nella teoria e nella pratica della terapia della Gestalt”, pubblicato nel 1998, da cui ha avuto origine uno sviluppo del nostro modello in linea con l’anima relazionale del testo di Perls, Hefferline e Goodman, Gestalt Therapy, a cui il nostro Istituto ha partecipato attivamente sin dall’inizio, grazie agli insegnamenti di Isadore From, con contributi consi- derati basilari nella letteratura internazionale1.

Nella sezione Congressi Silvia Tinaglia, Serena Iacono Isidoro e Milena Dell’Aquila ci raccontano il convegno su “Fenomenologia delle relazioni intime e della violenza”, che il 20 febbraio 2015 ha inaugurato il master universitario omonimo istituito dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e organizzato a Palermo dall’Istituto di Gestalt HCC Italy.

Sebastiano Messina ci racconta inoltre il tradizionale convegno che il nostro Istituto organizza a Siracusa in occasione delle recite classiche al Teatro Greco, che quest’anno ha affrontato il tema “Flussi migratori tra clinica e società. Metamorfosi culturale, conflitto e bisogno di radicamento”.

Infine, nel grande fermento letterario che in questi anni attraversa la psicoterapia della Gestalt, sia italiana che estera, Dan Bloom e Gianni Francesetti hanno scelto di recensire due libri: Gestalt Therapy di Wheeler e Axelsson (2014) e Le nuove arti terapie. Percorsi nella relazione d’aiuto di Acocella e Rossi. La prima recensione è a firma di Jean-Marie Robine, la seconda di Michele Cannavò.

Nel consegnarvi questo nuovo numero dei Quaderni di Gestalt, sentiamo l’orgoglio di una fatica produttiva e l’attesa di un dialogo inesausto con i nostri lettori.

Margherita Spagnuolo Lobb

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-1, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

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La femminilità come emergere del sé al confine di contatto

– di Roberta La Rosa

Attraverso il racconto di due casi clinici, l’articolo presenta il lavoro terapeutico con le sofferenze in cui è impossibile avere un rapporto sessuale completo. Partendo dal principio che la sessualità è la trama di fondo del nostro desiderio di contattare l’altro, si è voluto evidenziare come, seguendo l’intenzionalità delle pazienti, la co-creazione tra terapeuta e paziente sia il luogo in cui è possibile sperimentare nuovi schemi relazionali. L’approccio gestaltico ha orientato il lavoro terapeutico con queste sofferenze focalizzando alcuni punti chiave come il radicamento nel corpo, i temi dell’energia e dei confini e il sostegno alla femminilità.

L’idea di scrivere sul tema della sessualità femminile è nata dalla psicoterapia di due donne arrivate nel mio studio con lo stesso sintomo: l’assenza di rapporti sessuali completi con il loro partner. La formazione in psicoterapia della Gestalt mi orienta a guardare la sessualità come desiderio di contattare l’altro, che si dispiega già a partire dal campo relazionale primario. È con questo sfondo che descriverò in breve la storia delle due donne, i temi e alcuni momenti salienti dell’intervento terapeutico.

Mara: 37 anni, primogenita di tre figli, è impiegata presso un’azienda. L’atmosfera nella famiglia d’origine è descritta come calda ma carica di tensione: racconta di conflitti con il padre, con la madre il rapporto è più sereno ma Mara si sente caricata delle sue ansie e guardata con gli occhi di chi vuole incoraggiarla senza la reale convinzione che lei possa farcela. La madre media i conflitti con il padre, chiedendole di essere comprensiva con lui. Ha un buon rapporto con il fratello, nato quando lei era adolescente e verso il quale si è sentita protettiva. Il rapporto con la sorella è stato caratterizzato dal confronto: per i genitori è quella meno critica, accomodante, da prendere ad esempio. L’energia di Mara è vissuta dai familiari come negativa perché porta le discussioni fino in fondo e vuole avere sempre ragione. Si sente la figlia non riuscita. È cattolica praticante e ha creduto nel valore della verginità, scegliendo di rinunciare a rapporti prematrimoniali. Si è sposata quindici anni fa, dopo un lungo fidanzamento, durante il quale lei e il compagno avevano cominciato ad avere un’intimità; Mara si sentiva coinvolta ed eccitata, e allo stesso tempo spaventata per quelle forti sensazioni in contrasto con i suoi valori religiosi.

Arriva in terapia perché, nonostante il desiderio, ha paura della penetrazione. Si squalifica per questo disagio stupido e incomprensibile ma, al contempo, drammaticamente incomunicabile. Nelle prime settimane di terapia il motivo della sua richiesta di aiuto, subito verbalizzato, rimane sullo sfondo. Solo dopo qualche mese, la questione della sessualità diventa la figura attorno cui ruota la sua sofferenza. Racconta del suo sentirsi in colpa per non riuscire ad avere rapporti con il marito, nonostante lui sia molto comprensivo: questo se da un lato la protegge dall’affrontare più seriamente il problema, dall’altro la fa sentire inetta ed incapace. Sul tema cominciano ad emergere anche le sue curiosità, i suoi non detti: “Avrei tante domande da fare alle donne che sento più grandi…vorrei essere rassicurata, vorrei chiedere cosa succede in quei momenti, se sentirò dolore e se riuscirò a sopportarlo…”.

Come scrive Amendt Lyon (2013), la dinamica figura/sfondo e il legame che la sessualità ha con il tema della vergogna permettono talvolta che le questioni sessuali retrocedano sullo sfondo, consentendo che argomenti meno minacciosi stiano in figura. Ciò in senso diacronico ha la funzione di sostenere la relazione terapeutica, e di costruire un ground di fiducia che consente al paziente di lasciarsi andare a confessioni più intime. Dalle sensazioni che provo stando di fronte a lei, ho il senso di un corpo vissuto come “sempre in allerta”, di un corpo sospeso. Mara riporta che in famiglia c’è spesso il senso di un qualcosa da cui ci si deve proteggere: un’improvvisa crisi economica, gli estranei, il mondo fuori casa pericoloso. È come se ciò si traducesse in iper-attenzione e in un allenamento costante ai segnali che arrivano dall’esterno: il nemico potrebbe arrivare, occorre prepararsi, il respiro si fa esile per aumentare la vigilanza e limitare la possibilità di essere distratti. Quando il corpo così desensibilizzato avverte sensazioni eccitanti o emozioni intense, ci si sente disorientati e impauriti, poiché queste non possono essere riconosciute come proprie.

Alcuni pazienti percepiscono l’ambiente come una forza che è pronta ad assalirli, mancando della capacità di sentirsi parte di un più vasto ambiente circostante. Nel percepire un’eccitazione sessuale, ad esempio, la vivono come il nemico che arriva da fuori: il corpo non può riconoscerla come propria, né contenerla. La poca confidenza che Mara ha con il corpo si traduce in curiosità e paura: «Ho una paura terribile delle mie parti intime, mi sembrano così delicate che ho il timore di potermi fare male anche quando mi lavo».

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVI, 2013/1, L’emergere dell’esperienza somatica nel campo fenomenologico
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 91

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come ridare voce e corpo al bambino violato

Rosanna Militello intervista Marinella Malacrea (Parte II)

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma sessuale all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

(…)

Rosanna Militello: Quanto incide l’ambiente non accudente, non terapeutico durante il trattamento?

Marinella Malacrea: Pur non sottovalutando un’ottica preventiva, è saggio ammettere non solo che la maggior parte delle evenienze ambientali fattuali non è controllabile ed evitabile, ma che comunque parte di esse contengono anche un potenziale positivo. Occorre quindi “cavalcare la tigre”, cercando nelle varie vicende una prospettiva che le renda occasione, sia pur sofferta, di promozione personale.

A tal proposito, i concetti chiave che abbiamo individuato sono due: quello di “riattivatore traumatico” e quello di “finestra di plasticità”, che possono ben essere considerati come due facce della stessa medaglia. Il primo passo è il riconoscimento dei riattivatori traumatici: è noto che i soggetti traumatizzati nell’infanzia acquisiscono una maggiore vulnerabilità al ripetersi di evenienze analoghe a quelle che li hanno danneggiati. Tendono anche a interpretare in modo allarmato circostanze di per sé non minacciose, attraverso la costruzione permanente della convinzione di avere a che fare con un “mondo malevolo”. Tutto ciò che comporta un’alta tonalità emotiva, anche di segno positivo, e un significativo coinvolgimento relazionale può destabilizzare il soggetto dando luogo al ripristino automatico degli schemi di funzionamento post traumatico. Le piccole vittime tendono dunque a reagire con modalità post traumatiche specialmente alle esperienze che comportano intensità e prossimità dei legami, cioè circostanze in cui il soggetto traumatizzato sente aumentare la propria vulnerabilità. Sul piano operativo, quanto sopra impone l’esigenza di concepire la presa in carico come marcata dalla probabilità di ricadute, che vanno riconosciute e che richiedono la ripresa di cure intensive.

Ma si può fare di più in tutte quelle circostanze che potenzialmente re-innescano le reazioni post traumatiche, ma che possono essere considerate evenienze addirittura desiderabili? Pensiamo agli esiti giudiziari che comportano protezione e migliori prospettive future nella vita del bambino; o a nuove relazioni familiari importanti (affidamento, adozione); o a fasi di sviluppo personale fisiologici e cruciali, come la pubertà e il passaggio all’adolescenza; o alle prime prove di coinvolgimento in relazioni affettive e sessuali con pari. Come detto sopra, ogni occasione con queste caratteristiche di pregnanza può dare riattivazione. Ci viene in soccorso a questo punto l’altro concetto chiave, quello di “finestra di plasticità”.Ciò di cui può essere temuta la forza destabilizzante è anche una possibilità unica di riordino mentale. In questi momenti le strutture cerebrali ritrovano in parte la flessibilità perduta. È quindi il momento propizio: la tempestiva messa in campo di un intervento terapeutico mirato, facendo leva proprio sulla momentanea destabilizzazione e sul momentaneo innalzamento della temperatura emotiva, può essere occasione privilegiata per lavorare sulla scelta di diverse abilità di coping, per l’elaborazione di nuovi significati, per il contenimento emotivo, per il progresso nei processi di lutto, in definitiva per il raggiungimento di un assetto di funzionamento più sano.

Rosanna Militello: Secondo la mia esperienza clinica, all’interno della stanza della terapia, il bisogno di raccontare e raccontarsi del bambino violato, di buttare fuori lo sporco, di conoscere e sentire le emozioni, si chiarifica sempre di più. Attraverso l’utilizzo di modalità creative non invadenti e più vicine al linguaggio infantile diventa più facile contattare il dolore e la vergogna. Quando gli si dà la possibilità di creare, il bambino lascia emergere nuove figure, anche se lo sfondo è caratterizzato da quella confusione di cui l’abuso è assoluto portatore. Cosa ne pensa?

Marinella Malacrea: Lo scarico motorio, il non pensiero, la televisione o i videogiochi, il dormire, l’ammalarsi, perfino l’applicarsi in certe prestazioni scolastiche “meccaniche” ma impegnative per la mente, costituiscono strategie utilizzate dai bambini per rinforzare l’impulso e la tendenza a segregare ricordi e vissuti traumatici nell’angolo più inaccessibile della mente. Questo impegno nella “fuga” lascia dietro di sé una scia preoccupante di sintomi che si manifestano con disturbi del sonno, del comportamento alimentare, disturbi psicosomatici, del controllo delle funzioni fisiologiche, dell’umore, dell’apprendimento e della capacità di relazionarsi. Questo sforzo di evitamento del ricordo e dei vissuti traumatici opera da rinforzo alla filosofia di fondo improntata alla solitudine, alla disistima di sé (non posso mostrarmi a nessuno, non sono amabile) e degli altri (nessuno mi potrà capire, non posso fidarmi di nessuno), alla necessità di tenere tutto sotto controllo, al disgusto e alla vergogna, alla previsione negativa sul proprio futuro, alla demotivazione.

L’intervento psicologico con le piccole vittime si configura, sin dal primo approccio, come una vera guerra ai meccanismi di negazione, evitamento e dissociazione. A quel punto bastano a volte poche sedute (specie da quando abbiamo introdotto la tecnica EMDR) per sbloccare e far virare funzionamenti che erano sembrati per mesi, a volte davvero tanti, inamovibili. Come si sa, le favole ci insegnano che le magie finiscono a mezzanotte: quindi abbiamo imparato a non spaventarci quando, raggiunto un livello di possibilità elaborativa ideale, ricompaiono, in apparenza più virulenti che mai, i meccanismi di evitamento che ben avevamo imparato a conoscere. L’esperienza positiva fatta non va perduta: sembrano ripercorrersi i soliti sentieri della mente, ma con capacità sempre maggiori di contenimento e possibilità di elaborazione.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011/1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 13.

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La Relazione secondo la PdG

Noi, l’altro e l’ambiente. Gli psicoterapeuti rispondono..
La psicoterapia della Gestalt (PdG) studia il qui e ora della relazione, definito come l’accadere, il rivelarsi dell’esperienza co-creata da organismo-e-ambiente-in-contatto. In PdG la relazione è definita come l’evolversi dei contatti tra un dato “organismo-animale-umano” e una parte del suo ambiente (umano o non umano).
Il termine “contatto” implica l’interesse per l’esperienza generata dalla concretezza dei sensi, e dunque per i valori estetici e processuali della relazione. Il confine di contatto è il luogo in cui si dispiega il sé e la fenomenologia dell’incontro, con le fasi del pre-contatto, contatto, contatto pieno e post-contatto, include sfondi (acquisizioni passate) e figure (determinazioni attuali protese al futuro).
L’aggressività, in quanto forza spontanea destrutturante di sopravvivenza, sostiene l’esperienza di andare verso l’altro, e l’adattamento creativo consente all’individuo di differenziarsi dal contesto sociale, ma anche di esserne pienamente e significativamente parte.

La relazione terapeutica: l’esserci-con del terapeuta e del paziente creano un campo esperienziale in cui l’evolversi spontaneo (non ansioso) del sé al confine di contatto è possibile e l’intenzionalità insita nella richiesta di cura del paziente può attuarsi.

M. Spagnuolo Lobb e P.A. Cavaleri

Definizione tratta da GestaltPedia, l’enciclopedia della Gestalt

Congratulazioni ai nostri psicoterapeuti della Gestalt – Siracusa

Sabato 23 settembre 2017 sono stati proclamati psicoterapeuti della Gestalt presso la sede di Siracusa i dottori:

GIANMARCO LO CURZIO – Titolo della tesi “Stare con. Un modello gestaltico nelle cure palliative” – Relatore: Dott.ssa Valeria Rubino;

KAROLINA ZANETA MASLAK – Titolo della tesi “Gestalt Play Therapy come strumento di lavoro terapeutico in Oncologia Pediatrica” – Relatore: Dott. Giuseppe Sampognaro.

Che il vostro percorso professionale, ispirato dall’etica e dall’estetica gestaltica, possa sempre essere ricco di successi. Possiate portare nel mondo con creatività e spontaneità la cura verso voi stessi e l’altro.

Dallo staff dell’Istituto di Gestalt HCC Italy buona vita!

L'Intenzionalità

Chi siamo? Cosa vogliamo? Gli psicoterapeuti rispondono..

Caratteristica della coscienza che tende a qualcosa di specifico. Nell’ambito dell’approccio fenomenologico, il termine intenzionalità si riferisce ad uno degli aspetti più rilevanti della coscienza. La coscienza, infatti, esiste solo nel suo “rapportarsi a” qualcosa, nel suo “in-tendere verso” un oggetto, nel suo trascendersi. È nell’atto del “trascendimento”, che si costituisce la soggettività. È nella “trascendenza” che si trova l’elemento sostanziale della coscienza. La nozione di intenzionalità, come emerge dalla fenomenologia di Husserl, implica da una parte l’impossibilità di una “realtà in sé” e dall’altra l’esclusione di una “coscienza in sé” incapace di percepire il mondo in “se stesso”. Sul piano epistemologico, un tale modo di concepire l’intenzionalità costituisce un fondamentale punto di riferimento sia per la psicologia che per la psicopatologia. Se l’uomo si costituisce essenzialmente nel trascendersi, nell’intenzionarsi, nell’entrare in contatto con quanto lo circonda, ciò implica la necessità che la psicopatologia e la psicoterapia debbano rivolgersi all’analisi di questo continuo “trascendersi”, “intenzionarsi”, “entrare in contatto”.

Occorre soprattutto indagare “come”, con quali “forme” e in quali “modi”, l’uomo si intenziona.

È a questo nucleo centrale della ricerca che si rivolgono le psicoterapie ad orientamento fenomenologico o fenomenologico-esistenziale.

La psicoterapia della Gestalt, in particolare, pone al centro dell’intervento di cura il , che in maniera consapevole e attiva elabora significati, produce intenzioni, sussiste nel suo continuo aprirsi al mondo, tanto da costituire con esso una medesima realtà. È in questa relazione col mondo, in questo “in-tendere verso” di esso, che occorre individuare l’origine della sofferenza mentale e al contempo lo spazio della cura.

M. Spagnuolo Lobb e P. A. Cavaleri

Definizione tratta da GestaltPedia, l’enciclopedia della Gestalt!

EAGT meeting – Bucarest (Romania)

Nel week end del 15-17 Settembre 2017 si è svolto a Bucarest l’incontro della European Association for Gestalt Therapy (EAGT).
Silvia Tosi è andata in rappresentanza della Società Italiana Psicoterapia Gestalt, essendo Rosanna Biasi, attuale presidente della Società, impegnata in un corso di formazione. Gli incontri delle varie commissioni e dell’Extended Board si sono svolti sotto la presidenza di Beatrix Wimmer.

Venerdi 15 si è svolto l’informal meeting tra i rappresentanti delle NOGT (Associazioni Nazionali), presieduto da Renata Mizerska (NOGTs officer). Per i partecipanti è stata un’occasione di scambio sullo stato delle cose nei diversi paesi. Silvia Tosi ha esposto il lavoro che la SIPG porta avanti per includere e collaborare con le altre due associazioni di Gestalt presenti in Italia. Le ore dedicate al confronto durante il meeting non sono bastate: i partecipanti hanno approfondito alcuni temi in maniera informale durante la cena al Centro Storico di Bucarest.

La mattina di Sabato 16 Settembre ha ospitato il General Board Meeting, presieduto da Beatrix Wimmer (presidente) e Renata Mizerska.
I temi trattati sono stati principalmente: “la comunicazione” (soprattutto rivolta all’esterno), la prossima EAGT conference nel 2019 in Bulgaria,  i progetti della commissione Diritti Umani e i progetti della commissione sulle Competenze.
Durante il pomeriggio, l’Annual General Meeting è stato presieduto da Beatrix Wimmer: sono stati presentati i report del tesoriere e dei coordinatori delle commissioni. In un secondo momento si è proceduto alla votazione delle revisioni del documento sui Training Standards e di una parte del GPO, per terminare con la rielezione di un membro del comitato etico e di uno del Training Standard Commitee.

Tutte le riunioni e gli incontri informali si sono svolti in un clima piacevole e collaborativo. I colleghi rumeni sono stati molto accoglienti e ospitali.

“Human being and the processes of change – implications for Gestalt therapy and related disciplines” – Belgrado

Margherita Spagnuolo Lobb è key note speaker al convegno organizzato a Belgrado dall’Associazione Serba di Psicoterapia della Gestalt
L’associazione serba di psicoterapeuti della Gestalt organizza il suo secondo congresso internazionale a Belgrado, dal 16 al 18 settembre 2017.
Margherita Spagnuolo Lobb ha presentato la relazione magistrale di apertura del secondo giorno, dal titolo:
Gestalt Therapy in Postmodern Society: From the Need of Aggression to the Need of Rootedness

La presentazione ha esposto le esigenze cliniche della società contemporanea e gli sviluppi necessari per la psicoterapia della Gestalt.
Ha inoltre offerto un workshop, molto atteso, dal titolo: From Losses of Ego-functions to the “Dance Steps” Between a Therapist and a Client
Lo strumento clinico dei “passi di danza”, utile per l’osservazione fenomenologica ed estetica della diade terapeuta-paziente, e per la supervisione, è stato sperimentato direttamente dai partecipanti, con grande partecipazione.
Il congresso ha visto 550 terapeuti e allievi provenienti dai paesi della ex-Juogoslavia e da Malta.
Auguriamo a Lidjia Pecotic, anima instancabile e generosa di questo evento, di continuare a contribuire alla crescita della psicoterapia della Gestalt nei Balcani e a Malta.
Margherita Spagnuolo Lobb ha infine ricevuto il ringraziamento della commissione del congresso!

Auguri ai nostri nuovi Psicoterapeuti della Gestalt! – Milano

Venerdì 14 settembre 2017 si sono specializzati presso la sede di Milano i Dottori:

ALFIERI FRANCESCO LUCIANO Titolo Tesi “La comunità terapeutica come campo trasformativo della psicopatologia” – Relatore: Dott. Michele Cannavò;

MAGANI LUCA Titolo Tesi “Il’tra’ e ‘l’intorno’ dell’incontro la fluorescenza del campo in Psicoterapia della Gestalt” – Relatore: Dott. Gianni Francesetti;

PINO LUCA Titolo Tesi “Il processo del nutrirsi tra vulnerabilità  e adattamenti creativi. I disturbi dell’alimentazione nella società contemporanea” – Relatore: Dott.ssa Maria Mione.

A loro auguriamo di proseguire nella loro professione animati da interesse e contatti nutrienti. 
L’istituto provvederà a fornire supervisione e possibilità di ricerca scientifica.

“Essere-con” nel mondo di oggi.

Dialogo sulla cultura della relazione tra Pietro Andrea Cavaleri e Giancarlo Pintus (Parte I)

I due psicologi dialogano sulla relazione umana nell’attuale contesto sociale e culturale, sviluppando una lettura in chiave fenomenologica dei cambiamenti epocali nelle relazioni di coppia, familiari, nei gruppi e nella polis. Sulla scorta della metafora post-moderna della relazione come di “una zattera senza timone”, i due autori si confrontano sulle opportunità offerte dal superamento del primato della società sull’individuo, ma anche sulle nuove paure e i nuovi quadri psicopatologici correlati a un’individualità sempre più sganciata dallo sfondo del proprio ground di sicurezze. La relazione si configura allora come uno spazio sacro all’interno del quale nasce la mente, evento relazionale e di confine, ed emerge il bisogno di una nuova alfabetizzazione relazionale.

Giancarlo Pintus: Nel tuo ultimo libro, richiami la parafrasi di Zygmunt Bauman (1999; 2002; 2004; 2007; 2008) per parlare della relazione umana, nell’epoca attuale, come di una zattera senza timone “sulla quale nessuno vuole salire e sulla quale ognuno ha paura di navigare”. Le relazioni sembrano in balia di due opposti pericoli: la sottomissione all’altro o il potere sull’altro. Scrivi ancora: “Ai solidi legami di un tempo, che univano al proprio interno una coppia o fra di loro i membri di una famiglia o, più in generale, di una comunità, si sono sostituiti adesso i legami ‘liquidi’ della società globalizzata, dove non sono previsti impegni duraturi e dove ogni cosa non può che ubbidire rigorosamente ai calcoli freddi ed impietosi della convenienza personale. Ma come è stato possibile che i legami umani si siano improvvisamente liquefatti?” (Cavaleri, 2007, 167).

Pietro A. Cavaleri: Nella mia pratica clinica noto che le coppie si separano con estrema facilità. Le coppie, davanti ad una difficoltà, non provano a risolverla bensì la mettono da parte, attivando un iter che porta poi inevitabilmente alla separazione. Questo avviene anche fra amici e in ogni altro contesto relazionale: la gente investe poco nella relazione. Appena si incontrano dei problemi relazionali, immediatamente si interrompe l’esperienza, si cambia canale, una sorta di zapping che investe l’intera costellazione dei nostri rapporti sociali.

Giancarlo Pintus: Sembra un fenomeno particolarmente diffuso nella nostra cultura post-moderna; perché e come è avvenuto che nel mondo occidentale la comunità delle persone si sfaldasse, che la rete delle relazioni attorno a una persona si frammentasse?

Pietro A. Cavaleri: Oggi l’uomo occidentale vive come rischioso il rapportarsi con l’altro, mentre in passato la sofferenza, le congiunture economiche e le guerre mettevano insieme le persone, aumentando il loro senso di aggregazione. In passato lo stato di bisogno creava la necessità di stare insieme e di essere più coesi (Salonia, 2000). Dobbiamo ricorrere a due coordinate fondamentali: una di carattere antropologico-culturale, l’altra di tipo economico (Cavaleri, 2009a).

Dal punto di vista antropologico, dall’umanesimo ad oggi, in occidente, l’uomo ha rivendicato per sé una centralità che prima non aveva mai avuto. L’uomo esiste da circa 36000 anni, ma da sempre la sua individualità è stata sottoposta alle ragioni, ai bisogni e agli interessi della comunità, ma dal ‘500 in poi l’uomo ha dato inizio ad un processo culturale, avviatosi invero già con la cultura greca, per cui l’individuo è diventato l’epicentro della politica, dell’economia, della morale, della religione dando vita all’epoca moderna. Lentamente, grazie al pensiero rivoluzionario di uomini quali Lutero e Kant, per citarne alcuni, e a movimenti come il liberismo e la rivoluzione francese, l’individuo diventa veramente il centro dell’universo e i rapporti di forza tra individuo e comunità si capovolgono completamente. La massa degli individui non è più subordinata alla comunità, ma al contrario gli individui diventano l’epicentro e il criterio di riferimento della vita sociale. Il rapporto con la comunità e le sue ragioni, il senso del bene comune che rimanda alla comunità, vanno sempre più nello sfondo e l’individuo, in modo autoreferenziale, diventa il punto centrale in base al quale valutare scelte, orientamenti e decisioni. Il sentire legittima ogni azione: “sento” di volermi separare da mia moglie? Il fatto che io “senta” concluso un legame, automaticamente mi dà legittimazione ad avviare una separazione, al di là della responsabilità che mi può legare soprattutto ai figli. Non mi chiedo se dare un seguito a ciò che “sento” può poi provocare delle difficoltà, dei disagi o dei traumi irreversibili agli altri, perché il criterio di riferimento per le mie scelte sono io e soltanto io, non esiste alcuna forma di “responsabilità” verso l’altro.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2010 /1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia

Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 35

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