EAGT meeting – Bucarest (Romania)

Nel week end del 15-17 Settembre 2017 si è svolto a Bucarest l’incontro della European Association for Gestalt Therapy (EAGT).
Silvia Tosi è andata in rappresentanza della Società Italiana Psicoterapia Gestalt, essendo Rosanna Biasi, attuale presidente della Società, impegnata in un corso di formazione. Gli incontri delle varie commissioni e dell’Extended Board si sono svolti sotto la presidenza di Beatrix Wimmer.

Venerdi 15 si è svolto l’informal meeting tra i rappresentanti delle NOGT (Associazioni Nazionali), presieduto da Renata Mizerska (NOGTs officer). Per i partecipanti è stata un’occasione di scambio sullo stato delle cose nei diversi paesi. Silvia Tosi ha esposto il lavoro che la SIPG porta avanti per includere e collaborare con le altre due associazioni di Gestalt presenti in Italia. Le ore dedicate al confronto durante il meeting non sono bastate: i partecipanti hanno approfondito alcuni temi in maniera informale durante la cena al Centro Storico di Bucarest.

La mattina di Sabato 16 Settembre ha ospitato il General Board Meeting, presieduto da Beatrix Wimmer (presidente) e Renata Mizerska.
I temi trattati sono stati principalmente: “la comunicazione” (soprattutto rivolta all’esterno), la prossima EAGT conference nel 2019 in Bulgaria,  i progetti della commissione Diritti Umani e i progetti della commissione sulle Competenze.
Durante il pomeriggio, l’Annual General Meeting è stato presieduto da Beatrix Wimmer: sono stati presentati i report del tesoriere e dei coordinatori delle commissioni. In un secondo momento si è proceduto alla votazione delle revisioni del documento sui Training Standards e di una parte del GPO, per terminare con la rielezione di un membro del comitato etico e di uno del Training Standard Commitee.

Tutte le riunioni e gli incontri informali si sono svolti in un clima piacevole e collaborativo. I colleghi rumeni sono stati molto accoglienti e ospitali.

“Human being and the processes of change – implications for Gestalt therapy and related disciplines” – Belgrado

Margherita Spagnuolo Lobb è key note speaker al convegno organizzato a Belgrado dall’Associazione Serba di Psicoterapia della Gestalt
L’associazione serba di psicoterapeuti della Gestalt organizza il suo secondo congresso internazionale a Belgrado, dal 16 al 18 settembre 2017.
Margherita Spagnuolo Lobb ha presentato la relazione magistrale di apertura del secondo giorno, dal titolo:
Gestalt Therapy in Postmodern Society: From the Need of Aggression to the Need of Rootedness

La presentazione ha esposto le esigenze cliniche della società contemporanea e gli sviluppi necessari per la psicoterapia della Gestalt.
Ha inoltre offerto un workshop, molto atteso, dal titolo: From Losses of Ego-functions to the “Dance Steps” Between a Therapist and a Client
Lo strumento clinico dei “passi di danza”, utile per l’osservazione fenomenologica ed estetica della diade terapeuta-paziente, e per la supervisione, è stato sperimentato direttamente dai partecipanti, con grande partecipazione.
Il congresso ha visto 550 terapeuti e allievi provenienti dai paesi della ex-Juogoslavia e da Malta.
Auguriamo a Lidjia Pecotic, anima instancabile e generosa di questo evento, di continuare a contribuire alla crescita della psicoterapia della Gestalt nei Balcani e a Malta.
Margherita Spagnuolo Lobb ha infine ricevuto il ringraziamento della commissione del congresso!

Auguri ai nostri nuovi Psicoterapeuti della Gestalt! – Milano

Venerdì 14 settembre 2017 si sono specializzati presso la sede di Milano i Dottori:

ALFIERI FRANCESCO LUCIANO Titolo Tesi “La comunità terapeutica come campo trasformativo della psicopatologia” – Relatore: Dott. Michele Cannavò;

MAGANI LUCA Titolo Tesi “Il’tra’ e ‘l’intorno’ dell’incontro la fluorescenza del campo in Psicoterapia della Gestalt” – Relatore: Dott. Gianni Francesetti;

PINO LUCA Titolo Tesi “Il processo del nutrirsi tra vulnerabilità  e adattamenti creativi. I disturbi dell’alimentazione nella società contemporanea” – Relatore: Dott.ssa Maria Mione.

A loro auguriamo di proseguire nella loro professione animati da interesse e contatti nutrienti. 
L’istituto provvederà a fornire supervisione e possibilità di ricerca scientifica.

“Essere-con” nel mondo di oggi.

Dialogo sulla cultura della relazione tra Pietro Andrea Cavaleri e Giancarlo Pintus (Parte I)

I due psicologi dialogano sulla relazione umana nell’attuale contesto sociale e culturale, sviluppando una lettura in chiave fenomenologica dei cambiamenti epocali nelle relazioni di coppia, familiari, nei gruppi e nella polis. Sulla scorta della metafora post-moderna della relazione come di “una zattera senza timone”, i due autori si confrontano sulle opportunità offerte dal superamento del primato della società sull’individuo, ma anche sulle nuove paure e i nuovi quadri psicopatologici correlati a un’individualità sempre più sganciata dallo sfondo del proprio ground di sicurezze. La relazione si configura allora come uno spazio sacro all’interno del quale nasce la mente, evento relazionale e di confine, ed emerge il bisogno di una nuova alfabetizzazione relazionale.

Giancarlo Pintus: Nel tuo ultimo libro, richiami la parafrasi di Zygmunt Bauman (1999; 2002; 2004; 2007; 2008) per parlare della relazione umana, nell’epoca attuale, come di una zattera senza timone “sulla quale nessuno vuole salire e sulla quale ognuno ha paura di navigare”. Le relazioni sembrano in balia di due opposti pericoli: la sottomissione all’altro o il potere sull’altro. Scrivi ancora: “Ai solidi legami di un tempo, che univano al proprio interno una coppia o fra di loro i membri di una famiglia o, più in generale, di una comunità, si sono sostituiti adesso i legami ‘liquidi’ della società globalizzata, dove non sono previsti impegni duraturi e dove ogni cosa non può che ubbidire rigorosamente ai calcoli freddi ed impietosi della convenienza personale. Ma come è stato possibile che i legami umani si siano improvvisamente liquefatti?” (Cavaleri, 2007, 167).

Pietro A. Cavaleri: Nella mia pratica clinica noto che le coppie si separano con estrema facilità. Le coppie, davanti ad una difficoltà, non provano a risolverla bensì la mettono da parte, attivando un iter che porta poi inevitabilmente alla separazione. Questo avviene anche fra amici e in ogni altro contesto relazionale: la gente investe poco nella relazione. Appena si incontrano dei problemi relazionali, immediatamente si interrompe l’esperienza, si cambia canale, una sorta di zapping che investe l’intera costellazione dei nostri rapporti sociali.

Giancarlo Pintus: Sembra un fenomeno particolarmente diffuso nella nostra cultura post-moderna; perché e come è avvenuto che nel mondo occidentale la comunità delle persone si sfaldasse, che la rete delle relazioni attorno a una persona si frammentasse?

Pietro A. Cavaleri: Oggi l’uomo occidentale vive come rischioso il rapportarsi con l’altro, mentre in passato la sofferenza, le congiunture economiche e le guerre mettevano insieme le persone, aumentando il loro senso di aggregazione. In passato lo stato di bisogno creava la necessità di stare insieme e di essere più coesi (Salonia, 2000). Dobbiamo ricorrere a due coordinate fondamentali: una di carattere antropologico-culturale, l’altra di tipo economico (Cavaleri, 2009a).

Dal punto di vista antropologico, dall’umanesimo ad oggi, in occidente, l’uomo ha rivendicato per sé una centralità che prima non aveva mai avuto. L’uomo esiste da circa 36000 anni, ma da sempre la sua individualità è stata sottoposta alle ragioni, ai bisogni e agli interessi della comunità, ma dal ‘500 in poi l’uomo ha dato inizio ad un processo culturale, avviatosi invero già con la cultura greca, per cui l’individuo è diventato l’epicentro della politica, dell’economia, della morale, della religione dando vita all’epoca moderna. Lentamente, grazie al pensiero rivoluzionario di uomini quali Lutero e Kant, per citarne alcuni, e a movimenti come il liberismo e la rivoluzione francese, l’individuo diventa veramente il centro dell’universo e i rapporti di forza tra individuo e comunità si capovolgono completamente. La massa degli individui non è più subordinata alla comunità, ma al contrario gli individui diventano l’epicentro e il criterio di riferimento della vita sociale. Il rapporto con la comunità e le sue ragioni, il senso del bene comune che rimanda alla comunità, vanno sempre più nello sfondo e l’individuo, in modo autoreferenziale, diventa il punto centrale in base al quale valutare scelte, orientamenti e decisioni. Il sentire legittima ogni azione: “sento” di volermi separare da mia moglie? Il fatto che io “senta” concluso un legame, automaticamente mi dà legittimazione ad avviare una separazione, al di là della responsabilità che mi può legare soprattutto ai figli. Non mi chiedo se dare un seguito a ciò che “sento” può poi provocare delle difficoltà, dei disagi o dei traumi irreversibili agli altri, perché il criterio di riferimento per le mie scelte sono io e soltanto io, non esiste alcuna forma di “responsabilità” verso l’altro.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2010 /1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia

Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 35

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Come ridare voce e corpo al bambino violato

Rosanna Militello intervista Marinella Malacrea (Parte I)

Marinella Malacrea, in questa intervista risponde con ampiezza ed accuratezza a precise domande su un tema delicato, complesso e drammatico, che seppur “vecchio come il mondo”, continua a sconcertare, a stimolare e ad affascinare il lavoro di ricerca e clinico, di chi si occupa di bambini violati. Il lavoro sul trauma sessuale all’infanzia, oggi in continua evoluzione, richiede la necessità di modelli terapeutici efficaci per poter rielaborare e riparare quei blocchi evolutivi e quelle pesanti cicatrici che hanno arrestato in modo dirompente la normale spontaneità che è insita nel cuore di ogni bambino.

Rosanna Militello: Crescere dentro relazioni sane, nutrienti, chiare dovrebbe essere un processo naturale per ogni bambino; è infatti il vivere, dentro l’oikos, l’esperienza del rispetto, del giusto calore, della non invasione dei confini che dà al piccolo dell’uomo lo sfondo da cui partire per diventare un adulto sicuro, forte, capace di abitare il mondo, di andare verso la polìs con fiducia e fierezza. Un diritto che a nessun bambino dovrebbe essere negato.  L’esperienza maturata in questi anni come psicoterapeuta di bambini ed adolescenti abusati e come Consulente Tecnico presso la Procura mi ha permesso di sperimentare, giorno dopo giorno, quanto devastato e confuso sia il mondo interno delle piccole vittime di abuso. L’attacco ai confini fisici, mentali ed emotivi genera molto spesso un forte indebolimento del sé lasciando l’immagine di un corpo pesto e segnato da pesanti cicatrici. Potrebbe parlarci del trauma legato all’abuso sessuale?

Marinella Malacrea: Nel parlare di trauma preferisco utilizzare la nozione di Esperienze Sfavorevoli Infantili (ESI) introdotta da Felitti (Felitti et al., 2001), per indicare quell’insieme di situazioni vissute nell’infanzia che si possono definire come “incidenti di percorso” negativi rispetto all’ideale percorso evolutivo. Esse comprendono tutte le forme di abuso all’infanzia subito in forma diretta, come abuso sessuale, maltrattamento psicologico, fisico, trascuratezza; e le condizioni subite in forma indiretta che rendono l’ambito familiare impredicibile e malsicuro, come per esempio alcolismo o tossicodipendenza dei genitori, malattie psichiatriche e soprattutto violenza assistita, cioè il coinvolgimento del minore, attivo e/o passivo, in atti di violenza compiuti su figure di riferimento per lui affettivamente significative. Ciò che accomuna tutte le forme di Esperienze Sfavorevoli Infantili, e rende anche così poco differenziabili le loro conseguenze in termini di sintomi e comportamenti, è il fatto che possono produrre distorsione traumatica nei processi di attaccamento, base della futura personalità.

Rosanna Militello: In psicoterapia della Gestalt il funzionamento organismico è regolato dalla dinamica figura/sfondo. In una situazione di normalità, da uno sfondo tranquillo, ricco e articolato emergono di volta in volta figure nitide, che conducono l’organismo a interagire con l’ambiente per assimilare una novità e dunque crescere. Quando questo processo di approccio all’ambiente è disturbato e l’organismo non può portare a termine l’intenzionalità di contatto, l’esperienza si completa con un apprendimento negativo o traumatico, e lo sfondo comincia a diventare “torbido”, disturbato (Spagnuolo Lobb, 2011). Da uno sfondo disturbato emergono figure poco chiare. In altre parole, il bambino abusato, colpito da un trauma che riguarda il tradimento o la confusione di ruoli percepiti nella relazione con figure di attaccamento, non riesce a regolarsi, a lasciare emergere nella relazione con l’altro significativo figure chiare che possano guidare la sua crescita. Il trauma viene inteso, pertanto, come un disturbo nella sequenza spontanea del contattare l’ambiente, come una condizione che rende impossibile lo spontaneo fluire del processo figura/sfondo; un blocco dell’intenzionalità di contatto, una Gestalt inconclusa che, arrestando il normale sviluppo fisiologico ed evolutivo, crea shock e malessere. Come definisce nel suo modello l’esperienza traumatica di un bambino vittima di Esperienze Sfavorevoli Infantili?

Marinella Malacrea: Si tratta di un’esperienza sopraffacente che fa fallire le normali difese e le ordinarie strategie con cui si affrontano gli eventi esterni. Molto cambia se tale esperienza è acuta e puntuale che, pur destabilizzando il soggetto, non inquina il terreno in cui affonda le radici, oppure cronica e pervasiva delle relazioni che dovrebbero essere la sua base sicura. Per usare una metafora fisica, mentre nel trauma acuto il soggetto reagisce all’esperienza traumatica, che immaginiamo come un corpo estraneo entrato attraverso una ferita, lavorando per l’espulsione attraverso l’equivalente di una florida reazione infiammatoria (il Disturbo Post Traumatico da Stress, PTSD), nel trauma o nello stress cronici si produce l’equivalente di un ascesso, dai sintomi più insidiosi, difficile da raggiungere dalle cure e fonte continua di minaccia per la salute. Si parla in questi casi di “trauma interno all’identità”, che apre la strada a un effetto pervasivo e permanente a carico dei processi di regolazione psicologici e biologici del bambino.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011/1, Concentrazione, emergenza e trauma
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 13.

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La Figura come adattamento creativo

Il termine figura, così come quello di sfondo, fa parte integrante della dinamica percettiva studiata negli anni venti dalla psicologia della Gestalt e poi applicata negli anni cinquanta alla dinamica relazionale tra organismo e ambiente dalla psicoterapia della Gestalt (PdG).
Così come la psicologia della Gestalt introdusse una concezione rivoluzionaria della percezione, che da passiva acquisizione di stimoli slegati divenne processo attivo e creativo operato dal soggetto, la PdG introdusse una prospettiva rivoluzionaria sulla dinamica delle relazioni umane, non più determinata da fattori inconsci, ma considerata come realtà fenomenica esperita nel qui e ora del contatto organismo/ambiente, regolata dalla dinamica figura/sfondo.

Per gli psicologi della Gestalt la figura organizzata, significativa, è l’unità di misura della percezione, che risponde ad una serie di leggi, la più importante delle quali è la legge della pregnanza.

In PdG la formazione di figura è un adattamento creativo, basato sul principio dell’autoregolazione della relazione: la figura, che chiamiamo “Gestalt”, emerge dallo sfondo esperienziale come migliore organizzazione possibile di energie percepite in sé e nell’ambiente e delle intenzionalità di contatto; la figura è la co-creazione del confine di contatto, luogo dell’esperienza condivisa in cui il sé dei soggetti coinvolti prende forma differenziandosi e acquisendo la novità.

La formazione di figura è sostenuta da una forza vitale (aggressione dentale) che consente di destrutturare e ristrutturare la realtà in modo assolutamente creativo e unico.

M. Spagnuolo Lobb e P. A. Cavaleri

Definizione tratta da GestaltPedia, l’enciclopedia della Gestalt!

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Il setting di gruppo, il dialogo

Dialogo tra: C. Lo Piccolo, G. Lo Castro e M. Spagnuolo Lobb (Parte I)

Gli Autori invitano tre capiscuola di modelli psicoterapici diversi – Calogero Lo Piccolo per la gruppoanalisi, Giovanni Lo Castro per lo psicodramma freudiano e Margherita Spagnuolo Lobb, per la psicoterapia della Gestalt – a rispondere ad alcune domande cruciali per la terapia di gruppo nella clinica contemporanea. I temi affrontati trasversalmente dai tre approcci riguardano la definizione del setting gruppale, la dimensione del sentire corporeo, l’estetica dell’essere gruppo, le riflessioni sul concetto di autoregolazione e sull’an-tropologia sociale che animano l’intervento di gruppo, e infine valutazioni sul futuro della psicoterapia di gruppo in considerazione delle evoluzioni sociali e culturali degli ultimi anni. Un confronto tra epistemologie e prospettive di pensiero che forniscono un’opportunità di riflessione e un’occasione per ampliare gli orizzonti di conoscenza sulla clinica dei gruppi.

  1. La prima domanda riguarda proprio la definizione di setting di gruppo. Nel vostro approccio c’è una lettura dell’esperienza del singolo nel gruppo o dell’esperienza del gruppo come un unico organismo? In che misura si considera l’uno o l’altro aspetto e a quale viene dato più rilievo in termini di modello di cura?

Calogero Lo Piccolo: La definizione più classica che viene data dagli autori, in primo luogo Foulkes, alla funzione terapeutica del gruppo secondo il modello gruppoanalitico è “terapia analitica dell’individuo attraverso il gruppo” (cfr. F. Di Maria, I. Formica, 2009). Tale espressione sta ad indicare che il focus dell’attenzione non è centrato né sul gruppo come insieme unico ed indistinto, né sull’individuo in relazione al gruppo. Il focus è contemporaneamente sulle relazioni attuali, vive e concrete tra i vari componenti del gruppo, e sulle relazionalità interne inconsce che in modo transferale vengono elicitate dall’esperienza attuale del gruppo. Il rimando continuo è quindi tra il qui ed ora dell’esperienza gruppale e il lì ed allora delle esperienze soggettive, attraverso l’attivazione dei processi di risonanza, rispecchiamento, identificazione tra i vari membri del gruppo. La lettura da parte del conduttore dei diversi momenti del processo gruppale è principalmente finalizzata a facilitare la comunicazione autentica tra i partecipanti al gruppo. Il focus terapeutico ultimo, nella mia pratica analitica, resta comunque molto centrato sulla persona.
L’esperienza del gruppo terapeutico è una straordinaria opportunità di apprendimento su se stessi e sulle proprie modalità affettive e relazionali meno visibili, un luogo in cui esplorare potenzialità soggettive inespresse e spesso a se stessi ignote, il tutto reso possibile da un campo esperienziale in cui si creano e attivano legami affettivi profondi tra i vari partecipanti.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXV, 2012/1, La psicoterapia della Gestalt con i gruppi
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 12

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L'ambiente nuovo e l'autoregolazione

Avete mai pensato a cosa accade quando entrate in un ambiente nuovo? Gli psicoterapeuti rispondono..

L’autoregolazione è un fondamentale processo psicologico mediante il quale l’organismo si adatta all’ambiente in modo spontaneo e creativo, rendendo l’agire coerente col sentire. L’importanza dell’autoregolazione è ribadita da numerosi autori ed in particolare da Perls. Nella psicoterapia della Gestalt ogni situazione incompiuta e ogni bisogno insoddisfatto non diventano “figura” in seguito ad una decisione predeterminata, ma in modo del tutto spontaneo. Il “contatto” fra organismo e ambiente, l’esperienza del “campo”, ha luogo e si organizza sempre sulla base della “coscienza spontanea” del bisogno predominante. L’intenzionalità dell’organismo, la selezione delle priorità e la progettazione dell’azione congrua sono tutti momenti necessari per portare al suo sblocco la situazione incompiuta. Il fissarsi dell’attenzione o un eccesso di intenzionalità sono, invece, all’origine di una “autoregolazione nevrotica”.

M. Spagnuolo Lobb e P.A. Cavaleri

Tratto da Gestaltpedia, l’enciclopedia della Gestalt!

La follia e l'arte dello psicoterapeuta

Intervista a Umberto Galimberti (Parte I)

Attraverso gli stimoli, di ispirazione gestaltica, di Margherita Spagnuolo Lobb e le risposte, filosoficamente vicine all’approccio junghiano, di Umberto Galimberti, questa intervista affronta temi importanti della clinica contemporanea. Dal rapporto tra il ruolo e il vissuto dello psicoterapeuta, il dialogo si intreccia con riflessioni sulla società post-moderna e sulle problematiche che vengono presentate allo psicoterapeuta nel tempo della “società cementata” (dipendenze, internet, Facebook, crisi economica). Lo psicoterapeuta, come un artista, deve imparare a conoscere sia le proprie possibilità che gli strumenti di lavoro, e deve avere un tipo particolare di fede. È di fondamentale importanza che sia consapevole della propria follìa, avendola attraversata, per riconoscere quella dell’altro, che sia consapevole dei propri dolori per vedere quelli dell’altro, che possa sentire il proprio corpo per sostenere la sensibilità dell’altro. Ed è altrettanto importante che lo psicoterapeuta si “protegga” dalla contaminazione che un’esposizione eccessiva al dolore può provocare.

Margherita Spagnuolo Lobb: Ti ringrazio per avermi concesso questa intervista, che rappresenta un’occasione importante di apprendimento e di confronto per i lettori della rivista Quaderni di Gestalt. Vorrei collegarmi a quanto hai detto ieri, nella tavola rotonda di apertura di questo convegno, riguardo alla psicoterapia come arte. Per la psicoterapia della Gestalt, i concetti di psicoterapia come arte, di estetica della relazione, di psicopatologia come adattamento creativo del paziente ad una situazione difficile, di co-creazione del confine di contatto tra paziente e terapeuta, sono fondamentali e caratterizzanti. Alcuni di questi concetti sono basilari anche per l’approccio junghiano, a te caro.
Hai precisato che la psicoterapia appartiene al mondo dell’arte, piuttosto che a quello della scienza. Oggi la psicoterapia si interroga su nuovi modi di curare il disagio psichico, modi che – al di là di codificazioni prestabilite – devono adeguarsi al sentire sociale incerto. Molti approcci, e la psicoterapia della Gestalt per prima, sottolineano i codici processuali del dialogo terapeutico, la “musica” che il terapeuta e il paziente co-creano, il modo in cui riescono a concordare i loro linguaggi, più che la comprensione dell’inconscio. Sembra che la cura non è più intesa da nessuno come mera analisi dei vissuti del paziente da parte dell’analista neutrale, ma piuttosto come un modo di entrare in contatto: sia il paziente che il terapeuta “si giocano” la propria sofferenza in una relazione “reale”. A questo punto, non essendo più schermati dalla neutralità, gli psicoterapeuti sono sfidati a fare la cosa giusta al momento giusto: a cogliere il momento chiave che consente di innestare nell’esperienza del paziente un germoglio relazionale sano, aderente alla realtà di ciò che si sente, questo potrebbe essere il nuovo must della psicoterapia, l’arte terapeutica, e anche un messaggio per le relazioni sociali in genere. La creatività, che viaggia su canoni di incertezza e di improvvisazione, potrebbe essere il codice relazionale necessario per la società di oggi. Un buon terapeuta, hai detto, deve avere un buon rapporto con la propria follia. Possiamo dire che deve avere anche un buon rapporto con la propria arte? Quali sono le caratteristiche che fanno di un terapeuta un artista e in che modo è possibile apprenderle?

Umberto Galimberti: Quando io dico arte, dico natura, la natura di una persona. Non tutte le nature sono terapeutiche. Alcune nature sono terapeutiche e questo, in linea generale, a prescindere che uno faccia o non faccia il terapeuta. C’è chi ha una vocazione accudente e chi invece proprio non c’è l’ha. Solo quelli che hanno una pre-configurazione accudente possono fare i terapeuti.
All’interno di questa premessa generale, certamente il terapeuta deve avere una relazione con la propria follia. Cosa intendiamo per follia? Per follia intendiamo quella dimensione non razionale che ci abita e che ci mette in contatto con tutto il mondo pre-razionale, che poi è tutto il mondo. Infatti, per fare un esempio, quel vaso di fiori per te significa una cosa e per me ne significa un’altra; quando comunichiamo razionalmente i loro significati privati vengono eliminati e io posso dirti “dammi quel mazzo di fiori”, prescindendo dal significato che questo mazzo di fiori ha per ciascuno di noi.
La follia la riconosciamo nel soliloquio dell’anima. Quando uno parla con se stesso, dice cose e fa associazioni che sicuramente non direbbe in pubblico, quindi è in contatto con la propria follia. Assumo per “follia” tutto ciò che non è rigorosamente comunicabile in maniera univoca, come prevede la ragione. Nel caso patologico, se ho associato quella porta alla porta dell’inferno, è chiaro che ho una titubanza ad entrare. Tutte le cose sono affiancate da queste associazioni private e queste associazioni private sono la follia. Quando Leopardi dice “dimmi che fai tu luna in ciel.”, è un’affermazione folle dal punto di vista razionale, perché si fanno interrogazioni a qualcosa che non risponde.
La follia, dicevamo, è nel soliloquio dell’anima. Nel rapporto duale gli innamorati dicono cose che sono al limite del delirio, come: “Senza di te, mi casca il mondo”. Questo non è vero dal punto di vista razionale. La razionalità, che garantisce l’univocità del linguaggio (per cui, se ti dico “televisione” tu non pensi a un totem), garantisce la prevedibilità dei comportamenti. Se io prendo quel mazzo di fiori tu non temi che te lo butti in testa, ma pensi che lo voglia donare. Questa è la ragione. Ma le cose sono disponibili con una pluralità infinita di significati, che soggiacciono nel momento razionale. Questa probabilità di significati è la follia. Tutto ciò che noi riusciamo a creare lo creiamo attingendo alla follia, perché la ragione è solo un sistema di regole da cui non nasce niente.

Il contatto con la follia deve però avvenire attraverso regole molto rigorose, perché la follia ti può trascinare in scenari da cui potresti non riprenderti più. Senza contatto con la follia, tu non puoi entrare in relazione con l’altro in termini terapeutici; d’altra parte, con un eccessivo contatto con la tua follia fai il matto. Per cui la creatività, che nasce solo dalla follia, vuole regole ferree: i creativi hanno delle discipline terribili, senza le quali sarebbero dei semplici spontaneisti.

Margherita Spagnuolo Lobb: È così che si apprende l’arte della psicoterapia?

Umberto Galimberti: Sì, attraverso il contatto con la follia. Queste cose le dice già Platone nel Simposio.

(…)

Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIII, 2010 /1, Psicoterapia della Gestalt e fenomenologia
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 11

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Clinical aspects of Gestalt therapy: un training tra clinica e psicopatologia gestaltica a San Pietroburgo

Si è concluso felicemente il Training triennale di clinica e psicopatologia gestaltica, intitolato “Clinical aspects of Gestalt therapy”, organizzato dall’Istituto di Gestalt di San Pietroburgo e diretto dall’Istituto di Gestalt HCC Italy.
Per tre anni i didatti dell’Istituto di Gestalt Hcc Italy si sono avvicendati nell’insegnamento delle materie di loro competenza per formare un gruppo di psicologi, medici, psichiatri e psicoterapeuti russi alla clinica e alla psicopatologia gestaltica.
Il gruppo ha concluso il percorso con il Direttore, Margherita Spagnuolo Lobb, che ha tenuto un seminario su “Estetica e fenomenologia dello sviluppo e della sofferenza del campo relazionale” e ha consegnato i diplomi a chi ha superato le prove finali.
Il gruppo e i direttori dell’Istituto di San Pietroburgo, Lena Petrova e Sergey Kondurov, sono entusiasti del modello teorico e clinico dell’Istituto e hanno intenzione di … non finire qui!
Questi i didatti che hanno partecipato alla formazione del gruppo di San Pietroburgo: Rosanna Biasi, Giuseppe Cannella, Antonio Cascio, Pietro A. Cavaleri, Betti Conte, Barbara Crescimanno, Maria Mione, Giancarlo Pintus, Valeria Rubino, Margherita Spagnuolo Lobb.