IL SÉ

Chiamiamo “sé” il complesso sistema di contatti necessario per l’adattamento in un campo difficile. Si può considerare che il sé si trovi sulla linea di demarcazione dell’organismo, ma la linea di demarcazione stessa non è isolata dall’ambiente; essa è in contatto con l’ambiente; appartiene ad entrambi, all’organismo e all’ambiente. Il contatto consiste nel toccare, nel toccare qualcosa. Non si deve pensare al sé come ad un’istituzione fissa; esso esiste ogni qualvolta e dovunque vi sia nei fatti un’interazione sulla linea di demarcazione. Per parafrasare Aristotele: “Quando il pollice viene pizzicato, il sé esiste nel pollice che duole”.

F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman

ATTACCAMENTI TRAUMATICI. Un approccio fenomenologico.

Si è appena concluso, il 18 marzo a Milano, il workshop internazionale organizzato dall’Istituto di Gestalt HCC Italy e condotto dalla dott.ssa Ruella Frank, psicoterapeuta della Gestalt del New York Institute.
I partecipanti, un gruppo internazionale di 60 persone, sono stati pienamente coinvolti sul piano teorico, ma soprattutto hanno contribuito a creare un’esperienza condivisa sul tema del processo di attaccamento traumatico.
Grazie a Ruella Frank per aver trasmesso con i suoi occhi, la sua voce, i suoi movimenti, tutta la sua passione per il tema del movimento; a Stefania Benini per aver tradotto con grazia, coerenza e competenza; a tutti coloro che hanno partecipato per essere riusciti, all’interno di un gruppo così ampio, a lasciare ognuno una narrazione di sé attraverso il movimento.
OCCHI E ORECCHIE PER ASCOLTARE
«… non ascoltate le parole, ma soltanto quello che vi dice la voce, quel che vi dicono i movimenti,quel che vi dice l’atteggiamento, quel che vi dice l’immagine. (…) Se abbiamo occhi e orecchie, il mondo è aperto»
Fritz Perls

WORKSHOP INTERNAZIONALE CON ECM “ATTACCAMENTI TRAUMATICI: UN APPROCCIO FENOMENOLOGICO”

MILANO, 17 – 18 marzo 2016

Con Ruella Frank
(New York Institute For Gestalt Therapy)

 
Le tradizionali teorie sull’evoluzione del trauma nei primi anni di vita del bambino hanno messo in evidenza il contributo dei genitori in quella che poi diventa una reazione traumatica abituale del bambino. Di conseguenza, il bambino risponde al genitore con modalità rigide e ripetitive. Questa lettura evolutiva del trauma non considera le dinamiche relazionali che sono parte integrante di ogni organizzazione dell’esperienza.
Ruella Frank, docente internazionale, che ha esplorato i modelli di movimento dei neonati e la loro relazione con l’adulto a partire dalla metà degli anni ’70, ha fondato e dirige il Center for Somatic Studies, (facoltà del New York Institute for Gestalt Therapy), offre una diversa prospettiva relazionale e contestuale. Se si osservano i micro-movimenti nell’interazione bambino/genitore, si può notare come il rischio di ri-traumatizzare il bambino nasca dall’impatto potente che i suoi comportamenti hanno sui genitori, nel qui e ora della loro relazione.
Il workshop, attraverso una metodologia esperienziale e teorica, si focalizzerà su quegli schemi interattivi – sia dei genitori che del bambino – che creano un attaccamento traumatico e che possono essere responsabili anche della trasmissione intergenerazionale dei traumi.
Verrà inoltre approfondito l’influsso che questi schemi precoci hanno sullo sviluppo della relazione tra terapeuta e paziente, nel qui e ora.
 

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CONTATTO E RELAZIONE

Robine sottolinea la differenza esistente tra il concetto di contatto e quello di relazione: «Essendo “la realtà primaria più semplice”, il contatto non indica ancora la relazione. La tematica del contatto è al di qua dell’oggetto, al di qua dell’altro. Il contatto non denota ancora l’investimento di un oggetto o di un altro, ma denota uno schema senso-motorio, dei modi di sentire e muoversi, di “andare verso e prendere”» (Robin, Il rivelarsi del sé nel contatto, 2006, p. 41). La relazione rimanda, invece, all’interazione tra due o più persone, e quindi alla reciprocità dell’esperienza di incontro.
Vi è un’altra fondamentale differenza tra contatto e relazione, pure evidenziata da Robine. Il contatto indica l’esperienza dell’incontro nel qui e ora. La relazione, invece, consiste nell’insieme degli incontri che sono avvenuti nel tempo. Il concetto di relazione rinvia alla dimensione del tempo, alla storia del rapporto tra due persone. Contatto e relazione sono riconducibili a due diverse concezioni del tempo, presenti nella cultura greca. Il contatto rinvia a kairòs, la concezione soggettiva del tempo, vale a dire il momento presente in cui qualcosa accade, qualcosa è vissuto. La relazione fa riferimento a chrònos, l’idea oggettiva del tempo, ossia il tempo che scorre attraverso il succedersi degli eventi.

Albino Macaluso (da QdG 2012/2)

Enna, 23 marzo 2016 Seminario “LA PSICODIAGNOSTICA TRA NOSOGRAFIA ED ESTETICA” con Margherita Spagnuolo Lobb

 
 
Il prossimo 23 marzo presso l’Università KORE di Enna si terrà un seminario sul tema della Psicodiagnostica, organizzato dalla Facoltà di Scienze dell’Uomo e della Società. L’Istituto di Gestalt HCC Italy ha il piacere di essere presente con gli interventi del nostro direttore, prof.ssa Margherita Spagnuolo Lobb, e della didatta in formazione, dott.ssa Annalisa Molfese.
 

Per info e iscrizioni vai su: www.unikore.it

MILANO, 11 marzo 2016: BAMBINI ALLA SCOPERTA DEL MONDO: CONTENERE E SOSTENERE L'ENERGIA

Nella prima parte dell’anno gli incontri “In contatto… con la Gestalt” affronteranno il tema Diventare grandi in un mondo post-moderno: gli sviluppi attuali dell’antica relazione tra i “piccoli”, che devono trovare il loro posto nel mondo, e i “grandi”, che hanno il compito di accompagnarli in questo viaggio.
In che modo possono gli adulti costruire un terreno solido perché i piccoli si muovano con fiducia verso la novità?
Quale sostegno famigliare, comunitario e culturale si può trovare nella società per respirare pienamente con i piccoli, anche quando sentiamo il futuro incerto?
A queste e ad altre domande cercheremo di rispondere, dialogando con alcuni didatti dell’Istituto, su questi temi cruciali che chiamano in causa la nostra responsabilità di adulti in una comunità globale.
 
Il seminario è gratuito, a numero chiuso e rivolto a studenti di psicologia e medicina, psicologi e medici neolaureati, in formazione o già inseriti in contesti lavorativi, interessati a conoscere il modello didattico e metodologico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia.
 
 

Per info e prenotazioni clicca qui

 

LA PSICOPATOLOGIA: LA SOFFERENZA DELL’ANIMA

La sofferenza dell’anima, la psicopatologia, è sofferenza del confine di contatto. Può essere sentita come dolore soggettivo oppure no. Quest’ultimo caso accade quando il soggetto non sente pienamente ciò che avviene al confine. Ma lo può sentire l’altro, o un terzo. Da un punto di vista clinico non è il dolore ad essere patologico, ma l’insopportabilità a sostenerlo e ad esserne consapevoli a livello individuale, familiare e sociale. Per ridurre il dolore soggettivo si fa soffrire il tra, il confine. C’è una riduzione del dolore percepito e quindi della consapevolezza. In termini evolutivi, questa capacità di ridurre il dolore insostenibile è stata un’opera creativa che ha protetto l’individuo, la famiglia, la società.
 

Gianni Francesetti, Michela Gecele, Jan Roubal

IL SÉ COME ATTUALIZZARSI DELLA DINAMICA FIGURA/SFONDO Gli sfondi esperienziali del sé con Margherita Spagnuolo Lobb

 
 
L’edizione dei seminari di supervisione 2016 dal titolo “Nuovi sviluppi della teoria del sé e risvolti clinici. Riflessioni cliniche per psicoterapeuti” sarà occasione di approfondimento e aggiornamento su alcuni concetti fondamentali del modello gestaltico.
Questo primo seminario, a partire dal tema classico della dinamica figura/sfondo, si focalizzerà sulle nuove evidenze cliniche attraverso uno sguardo più attento agli sfondi esperienziali dei pazienti. Il sentimento di incertezza, vissuto sia a livello sociale che intimo, è ormai epidemiologicamente diffuso e genera nuove sofferenze relazionali. Si impone allora al clinico l’esigenza di volgere la propria attenzione allo sfondo esperienziale dei pazienti, dando profondità al qui-e-ora. Il seminario, attraverso la supervisione dei casi clinici portati dai partecipanti – gestaltisti e non -, offrirà nuovi strumenti di intervento clinico gestaltico, tradizionalmente incentrato sulle figure.
 

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CYBERBULLISMO. INTERVISTA A MARGHERITA SPAGNUOLO LOBB

Comportarsi o essere un cyberbullo nasce dal desiderio di «dominare l’altro», causandogli «stati d’animo umilianti» e «Internet in questo caso è un rischio». Ma questo comportamento è soltanto «un surrogato della stima di sé»: il bullo o la bulla, come le proprie vittime, «ha bisogno di aiuto».
Perché un ragazzo dovrebbe diventare un cyber bullo?
«Il motivo è che il dominio sull’altro, il fatto di provocargli stati d’animo spiacevoli e umilianti e assoggettarlo a sé facendo leva sulla paura, è un surrogato della stima di sé. Il bullo o la bulla costruisce un senso di potere personale sulle spalle della debolezza provocata negli altri».
Però nell’immaginario collettivo, il bullo è spavaldo e sicuro di sé.
«Chi si comporta da bullo, contrariamente alle apparenze, non è una persona forte e sicura di sé ma esprime insicurezza, scarsa autostima e immaturità. E, come le proprie vittime, ha bisogno di aiuto, e non di essere condannato senza appello e isolato. Anche perché, in molti casi, la responsabilità del suo comportamento non è completamente sua, ma in buona misura anche dell’ambiente familiare e sociale».
Quale la «cura» per questi ragazzi?
«Fare sentire l’amore incondizionato di chi si prende cura di loro, cosa a cui non sono per nulla abituati, a cui non credono. Ma è l’unica cosa che può redimerli verso un atteggiamento di rispetto delle fragilità proprie e dell’altro».
L’avere avuto storie di abusi, alle spalle in famiglia, può essere una causa?
«Sappiamo che tutti coloro che abusano di qualcuno hanno imparato a sottomettere l’altro dalla loro storia familiare. Quelli che abusano, compresi i bulli, sono stati umiliati, non sono stati aiutati a crescere orgogliosi delle proprie forze. Sono ragazzi che hanno subito umiliazioni e vessazioni dai genitori o dagli educatori. Non hanno potuto sviluppare un potere personale pieno e rispettoso verso l’altro. Devono rubare la stima di sé ai più deboli, perché l’unico modo che hanno per sentirsi potenti e validi è l’abuso di potere su chi sentono debole. E si sentono legittimati a farlo perché anche loro l’hanno subito».
In un bambino o in un ragazzo ci sono dei comportamenti che devono far suonare un campanello d’allarme per i genitori? Si può riuscire a capire se il figlio sia o stia per diventare un bullo?
«Le caratteristiche di un bullo sono la spavalderia e la negazione della propria fragilità. A volte questo può tradursi in comportamenti impulsivi frequenti, che mirano ad affermare la propria volontà. Ma il comportamento potrebbe essere anche diametralmente opposto: il ragazzo potrebbe anche chiudersi in lunghi silenzi, come se vivesse solo covando risentimento e aspettando la possibilità di esercitare il proprio potere perverso».
L’aggressività può essere un altro segnale?
«Un ragazzo che passa molte ore da solo, o che è sempre davanti al computer, o che fa battutine sulle ragazze o sull’affidabilità degli adulti, o ancora che reagisce ai rimproveri sbattendo le porte e dicendo parolacce, sta celando nel suo cuore qualcosa che va compreso».
In famiglia si tende ancora a dare la colpa alle cattive compagnie?
«Potrebbe apparire come un segnale superato e invece il pericolo è ancora attualissimo. Il genitore deve abbandonare l’atteggiamento di vedere tutto ciò che riguarda il figlio come roseo e innocente. La società malata arriva a lui prima e più che a noi, attraverso internet e attraverso cattive compagnie. I ragazzi hanno bisogno di confrontarsi con i pari, è essenziale per la loro crescita, dunque il genitore deve controllare che compagnie frequenta non per soffocarlo ma per garantirgli il più possibile un ambiente sicuro. Oggi i genitori devono controllare le frequentazioni dei figli e la sfida per loro è proprio il farlo con amore e non con ansia soffocante».
Quali sono gli altri aspetti di un potenziale bullo?
«Cerca disperatamente di essere membro di un gruppo e questo perché si lascia influenzare dal gruppo. E per essere qualcuno in quel gruppo, per dimostrare di non avere paura, imita chi li istiga. Hanno bisogno di appartenenza, e a volte non ci sono appartenenze alternative per loro. La società offre ben poco per gli adolescenti.
Altri segnali possono essere ad esempio il provare imbarazzo davanti a gesti d’affetto dei genitori: non reggono l’emozione di essere amati. Altro aspetto è il non rispettare le regole. Il bullismo spesso è figlio di un’educazione carente sul piano del rispetto. Se i genitori non intervengono quando le regole di casa e della famiglia vengono violate il bambino, a lungo andare, può cominciare a pensare che questo comportamento non solo sia tollerabile e accettabile, ma anche vantaggioso. Gli atteggiamenti di bullismo, poi, spesso si accompagnano a scarso rendimento scolastico, fino ad arrivare all’abbandono degli studi».
La diffusione di Internet ha amplificato il loro raggio d’azione?
«Internet ormai è onnipresente, ma continua a essere un rischio. Perché per il bullo andare in Rete è fonte di piacere: qui cerca di affermare il proprio potere. Oggi non si può dare fiducia alla Rete, e quindi non si ci si può fidare dell’uso che un minore ne fa. Non è questione di non dare fiducia al figlio, ma di garantirgli un ambiente pulito e rispettoso dei suoi sentimenti. Su Internet sono soprattutto le chat e i social network a essere un ambiente pericoloso per i ragazzini».
Cosa deve fare un genitore?
«La prima cosa che un genitore deve fare è stare vicino al figlio e osservare i suoi modi di essere, cercando di capirlo empaticamente. Senza scoraggiarsi, perché è solo dalla relazione coraggiosa con i figli, dal non temere di “disturbarli” o di essere soffocanti, che nasce la possibilità che crescano con buone abitudini».
da: Giornale di Sicilia del 10 febbraio 2016, giornalista Pierpaolo Maddalena

L’ESPERIENZA ADDICTIVE

La costante perdita di punti di riferimento tipica della società post-moderna fa del trauma, come viene percepito oggi, non più un evento drammatico e circoscritto, ma una condizione stabile e durevole. Nella società liquida l’eccitazione del bambino non ha più contenimento relazionale e la desensibilizzazione appare una risposta adattiva del confine di contatto ad un trauma permanente. L’uomo contemporaneo esprime un forte bisogno di appartenenza in assenza del necessario radicamento nella relazione.
La spinta verso l’autonomia, deprivata di un adeguato e fondativo radicamento nell’altro, lascia incompleta e aperta l’intenzionalità di contatto che cerca, invano, contenimento relazionale. Nell’esperienza addictive il bisogno di appartenenza intima, in assenza di un altro, può essere soddisfatto manipolando la biochimica del legame e dell’attaccamento.

Giancarlo Pintus

da: “Processi neurobiologici e riconoscimento terapeutico nell’esperienza addictive”. In Quaderni di Gestalt N.2015/1 La psicopatologia nella clinica gestaltica – parte seconda