Quaderni di Gestalt
2016/2 – volume XXIX
La psicoterapia della Gestalt con gli adolescenti
Indice del numero
EDITORIALE
Lo sguardo estetico sugli adolescenti
di Margherita Spagnuolo Lobb
DIALOGHI
L’esperienza adolescenziale nella società post-moderna. Intervista a Michela Marzano
di Margherita Spagnuolo Lobb
RELAZIONI
Adolescenza oggi: lo sguardo della psicoterapia della Gestalt
di Elisabetta Conte e Elisa Spini
Disagio sottovoce. Fragilità e risorse in una famiglia alle soglie dell’adolescenza
di Michele Lipani
Essere adulti significativi con gli adolescenti: riflessioni gestaltiche sul legame educativo oggi
di Mariangela Patti
GESTALT IN AZIONE
Il benessere relazionale a scuola: un intervento gestaltico
di Mabi Cinquini
STUDI E MODELLI APPLICATIVI
La linea della vita: una tecnica gestaltica
di Giuseppe Sampognaro
STORIA E IDENTITÀ
Introduzione a Planned Psychotherapy (Conferenza di Fritz Perls al White Institute New York nel 1947)
di Bernd Bocian
La psicoterapia pianificata (White Institute New York, 1947)
di Fritz Perls
CONGRESSI
La relazione come ponte tra natura e cultura. Epigenetica, sviluppi antropologici e psicoterapia della Gestalt
Siracusa, 10-11 Giugno 2016
di Giulia Milazzo e Domenico Scarpaci
RECENSIONI
Atwood G. (2016). L’abisso della follia
di Gianni Francesetti
Spagnuolo Lobb M., Levi N., Williams A., eds. (2016). Gestalt Therapy with Children. From Epistemology to Clinical Practice
di Violet Oaklander
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Contenuti
Lo sguardo estetico sugli adolescenti
La scelta di pubblicare un numero dei Quaderni di Gestalt dedicato alla clinica degli adolescenti non ha la pretesa di offrire ai nostri lettori un discorso esaustivo rispetto ad una tematica così vasta e ampiamente studiata. Essa nasce piuttosto dal desiderio di stimolare uno sguardo fenomenologico ed estetico – cioè gestaltico – sulla condizione adolescenziale.
L’adolescenza è un momento di passaggio in cui si sperimenta la possibilità di un cambiamento percettivo sul mondo e di una nuova definizione di sé, in quanto esseri umani, sociali e intimi, ben differenziati.
Se, come scrive Lipani, nelle società pre-industriali l’adolescenza era un momento di passaggio breve e ben delimitato, nella società complessa in cui viviamo essa diventa un periodo sfumato, fino a perdersi in contorni che vanno dalla pubertà ad un’età dai 30 anni in su. Sembra che questo periodo di transizione sia diventato oggi una condizione permanente: l’adolescenza è un valore salvifico della nostra società.
Alcuni aspetti del nostro vivere sociale attuale incidono particolarmente sui confini dell’adolescenza e sul vissuto che tutti abbiamo di essa. Vediamo quali.
L’adolescenza è l’età della trasformazione in cui tutto è possibile. È l’età della speranza, perfino in una società che non promette futuro e stabilità a nessuno. Allora l’adolescenza diventa il bene da proteggere, l’età anti-depressiva in cui si può essere liberi da legami e da regole, in favore di un sogno da realizzare. All’adolescente infatti si possono perdonare fallimenti nelle performance intime e sociali. In adolescenza si può dire al partner o ad un collega: “Mi dispiace, oggi non mi sento di rispettare quanto ti avevo promesso; io mi sento meglio a fare altro”.
Il diritto alla crescita e alla formazione di sé che caratterizza l’adolescenza nutre un nuovo narcisismo, in cui è importante non più mantenere un’immagine sicura e infallibile, ma, al contrario, potere affermare la propria fragilità, la fallibilità: un nuovo valore che nutre l’immagine di sé.
Gli adolescenti della società occidentale vivono un “periodo d’oro” in cui hanno i beni materiali dai genitori e possono non confrontarsi con i compiti della polis. Godono di libertà assoluta con la compiacenza dei genitori, persino quando si lasciano andare a condotte antisociali, nel gruppo dei pari (bullismo) o a scuola (mancando di rispetto ai docenti o non studiando). Genitori, i loro, che tendono a vedere i figli come belli e felici, che confondono ancora il bisogno di libertà sperimentato nella propria adolescenza con il senso di vuoto che invece circonda come una bolla i loro figli; incapaci di vederne la sofferenza, rimangono sorpresi e impotenti quando scoprono che il loro pargolo ha commesso atti crudeli.
Un “periodo d’oro” che in realtà maschera un disagio preoccupante nella nostra società, per l’assenza di adulti che siano in grado di offrire un sostegno per definirsi. Dato che questa condizione oggi è utile per non sentire la depressione della mancanza di certezze sul futuro, è comune (ed è un sintomo della nostra società) ritardare il più possibile la definizione di sé come adulti. Gli adolescenti del mondo occidentale vivono in un benessere ovattato in cui non è possibile costruire un senso di sé perché manca lo sguardo fiducioso e amorevole, ma anche ben confinato, dell’adulto che riconosca sia la loro incertezza che la loro voglia di affermarsi nella società e di avere un ruolo nella polis. Allora questi adolescenti si arruolano negli eserciti fondamentalisti, che – da un fascinoso altrove che entra attraverso internet nella loro stanza vuota – offrono loro una motivazione concreta per cui combattere e con cui identificarsi, e li attrae con quel senso di casa che la possibilità di avere un ruolo nel mondo produce.
Oppure, senza uno scopo di vita, regrediscono ad una mera difesa di sé, fino a uccidere l’altro, a eliminarlo (che sia un padre, una madre, un fratello, l’ex fidanzata o un conoscente, poco importa) quando dà fastidio. Episodi di aggressione “primitiva” sono all’ordine del giorno, sia di ragazzi verso adulti, che di ragazzi verso coetanei, o di “uomini innamorati” che non accettano di essere lasciati dalle giovani compagne. Episodi in cui questi “adolescenti” non esitano a usare modi primitivi, come uccidere con l’ascia e fare a pezzi, pur di rimanere vivi davanti ad un’alterità insopportabile (cfr. Molinari, Cavaleri, 2015).
Ma c’è nel mondo un’altra larga fetta di adolescenti che vivono traumi opposti, quelli delle aree sempre più vaste del pianeta ridotte a povertà assoluta, dilaniate da guerre volute dai potenti per interessi economici. Questi ragazzi, spinti dalla disperazione dei genitori, quotidianamente approdano nelle nostre terre, in cerca di aiuto. Ad essi noi, adulti mancati, abbiamo il dovere di rispondere. Questi ragazzi che hanno subito traumi e torture di tutti i tipi non hanno il dono dell’adolescenza, forse non hanno neanche avuto infanzia; affrontano i problemi della sopravvivenza con uno sfondo traumatico, a volte fiduciosi a volte incattiviti.
L’incontro tra gli adolescenti occidentali che non riescono a diventare adulti e questi adolescenti negati e traumatizzati è tutto da scoprire. Su di esso si gioca il futuro della nostra esistenza e sopravvivenza nel contesto globale.
Siamo tutti interpellati e responsabili di questa situazione, come cittadini, come genitori, come “adolescenti”. L’adolescenza finisce quando una persona sente di potere dare un contributo individuato e creativo alla società e alle relazioni intime, quando trova un suo ruolo civile e sociale (con il lavoro) e un senso di stabilità affettiva, quando sente di potere accudire un cucciolo (o un altro essere umano) per sperimentarsi in una relazione trasformativa al di là del proprio ego. Oggi questa condizione non si raggiunge (in genere) prima dei 35/40 anni, età in cui (e non sempre) si ha la serenità di assumere una funzione genitoriale.
Gli autori di questo numero cercano di fornire un contributo che – per quanto minimo rispetto al bisogno emergente – si colloca nella situazione contemporanea, con osservazioni e suggerimenti clinici tipicamente gestaltici. Lo sguardo estetico gestaltico, trasversale ai vari contributi, è l’etica che ci consente di prenderci cura trasformando in risorsa e determinazione verso il mondo la goffaggine degli adolescenti. È la capacità di farci emozionare – come ci si emoziona davanti ad un’opera d’arte – di fronte alla loro grazia incerta, al loro immenso interesse per la vita e per il ruolo che in essa si apprestano a giocare, alle loro infinite possibilità di essere creativi e volitivi.
Apre il numero, nella sezione Dialoghi, un’intervista a Michela Marzano, filosofa e politica, assolutamente partecipe alla problematica esposta sopra in qualità di autrice di libri e opinionista del quotidiano La Repubblica, ospite nel giugno 2016 del convegno annuale organizzato a Siracusa dall’Istituto di Gestalt HCC Italy (recensito nella sezione congressi di questo stesso numero). La carenza del rispecchiamento corporeo tra genitori e figli, la paura di non trovare una definizione di sé, l’essere in fondo un “sintomo” dei genitori, il richiamo dell’altrove che li garantisce dal rischio della presenza e del confronto, l’importanza della presenza all’altro, sono tutti temi che affrontiamo in questo dialogo, dal titolo “L’esperienza adolescenziale nella società post-moderna”, che alla fine sottolinea anche come il vero problema sociale e politico sia, per lo Stato, devolvere fondi alla formazione. Una donna poliedrica, con le idee chiare su ciò che andrebbe fatto nella nostra società per risolvere i problemi attuali degli adolescenti, che incontra bene lo spirito diretto, pratico e creativo della psicoterapia della Gestalt.
Nella sezione Relazioni, Elisabetta Conte ed Elisa Spini, con l’articolo “Adolescenza oggi: lo sguardo della psicoterapia della Gestalt”, presentano gli studi gestaltici più significativi sull’adolescenza, e ci aiutano a leggerli nel quadro di riferimento di un modello attento al campo e di un’ottica di cura che poggi su criteri fenomenologici ed estetici. Per lo psicoterapeuta dell’adolescente è così possibile focalizzarsi sul sostegno all’intenzionalità di contatto, alla grazia e vitalità, per trasformare le loro incertezze in determinazione verso una presenza creativa nel mondo.
Nella stessa sezione, Michele Lipani nell’articolo “Disagio sottovoce. Fragilità e risorse in una famiglia alle soglie dell’adolescenza”, con uno stile narrativo coinvolgente, riesce a ricreare in chi legge l’emozione di sentirsi spiazzati davanti ai cambiamenti dei pre-adolescenti. L’autore fornisce una testimonianza clinica dei segnali “sottovoce” che è importante cogliere nella preadolescenza, per prevenire disagi più strutturati in futuro.
Infine, Mariangela Patti, in “Essere adulti significativi con gli adolescenti: riflessioni gestaltiche sul legame educativo oggi”, ci presenta una sintesi di vari orientamenti sui legami familiari in adolescenza e colloca il contributo gestaltico nell’etica estetica, che consente di sostenere la naturale tensione verso il futuro implicita in questa fase evolutiva. L’autrice contestualizza il ruolo di cura nella società contemporanea e sostiene con serenità le possibilità fornite dall’approccio estetico gestaltico.
Per la Gestalt in Azione, Mabi Cinquini con “Il benessere relazionale a scuola: un intervento gestaltico” descrive le problematiche (spesso gravi) che si riscontrano nelle classi e il modo concreto con cui il modello gestaltico sui gruppi può intervenire: come si possono leggere le intenzionalità di contatto in chiave diacronica, dando senso ai movimenti dei ragazzi nelle varie fasi evolutive del gruppo. Analizza poi la classe anche nella qualità della loro presenza nel qui e ora, dimostrando come una buona osservazione fenomenologica dia accesso a vissuti profondi, la cui condivisione porta a ciò che i ragazzi e gli insegnanti tutti vogliono: stare bene a scuola.
Nella sezione Studi e Modelli Applicativi, Giuseppe Sampognaro, con “La linea della vita: una tecnica gestaltica”, presenta uno strumento di grande utilità e immediatezza diagnostica con i pazienti adolescenti. Si tratta di una tecnica creata dall’autore, basata sui principi estetici, fenomenologici e orientati al campo della psicoterapia della Gestalt. Gli esempi clinici che l’autore descrive alla fine dell’articolo consentono di utilizzare questo strumento in vari ambiti.
Nella sezione Storia e Identità, Bernd Bocian ci presenta il testo di una conferenza, “La psicoterapia pianificata”, che Perls tenne nel 1947 al White Institute di New York, l’istituto che avrebbe ospitato negli anni Ottanta la nascita della svolta relazionale della psicoanalisi, presso cui si era formato anche Stephen Mitchell. Le note introduttive di Bocian ci consentono di collocare il pensiero di Perls, appena arrivato negli Stati Uniti, nel movimento sociale e politico del tempo e anche nel fermento che attraversava la psicoanalisi in quegli anni. Sono grata a Bocian e orgogliosa di pubblicare nei Quaderni di Gestalt questa istruttiva e inedita lezione di storia del nostro approccio.
Infine, per i Congressi, Giulia Milazzo e Domenico Scarpaci ci raccontano il tradizionale convegno organizzato il 10-11 Giugno 2016 dall’Istituto di Gestalt HCC Italy in occasione delle recite classiche al Teatro Greco di Siracusa. IIlustri ricercatori, come Michela Marzano (già nominata in questo editoriale), Francesco Bottaccioli, fondatore della Psiconeuroendocrinoimmunologia italiana, e altri docenti dell’Istituto hanno dialogato sul tema complesso e intrigante: “La relazione come ponte tra natura e cultura. Epigenetica, sviluppi antropologici e psicoterapia della Gestalt”.
Nella sezione Recensioni, Gianni Francesetti ci racconta il libro L’abisso della follia, di George Atwood (2016), chiudendo con questo numero la sua collaborazione come section editor, assieme a Dan Bloom, della rubrica. La redazione dei Quaderni di Gestalt lo ringrazia per il contributo fornito in questi anni e dà il benvenuto a Silvia Tosi, che affiancherà Dan Bloom in questo compito. Infine, nella stessa sezione, Violet Oaklander presenta il libro Gestalt Therapy with Children. From Epistemology to Clinical Practice curato da Spagnuolo Lobb M., Levi N., Williams A. (2016), pubblicato in inglese nella Gestalt Therapy Book Series, già tradotto in varie lingue e di prossima pubblicazione anche in italiano.
Con l’augurio che questo numero dei Quaderni di Gestalt possa aiutare concretamente gli psicoterapeuti che desiderano sostenere la bellezza degli adolescenti di cui si prendono cura, vi auguro buona lettura!
Margherita Spagnuolo Lobb
Dicembre 2016