Ho sperato di trovare un dio o una dea…
…Continuiamo a ricordare e narrare Daniel Stern proponendovi una traccia della sua lectio magistralis, tenuta presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo, ove il 13 maggio 2006 gli è stata conferita la laurea ad honoris causa.
Tratto da: Daniel N. Stern: una biografia intersoggettiva di Aluette Merenda e Alessandra Salerno.
In Quaderni di Gestalt, Volume XXVI, 2013/2:
Il pensiero di Daniel Stern e la psicoterapia della Gestalt
Ho sperato di trovare un dio o una dea dell’antichità che possedesse il dono della lettura della mente (non della divinazione) e che potesse offrirla ad un essere umano. Questo dono renderebbe le menti degli altri trasparenti. Devo ancora trovare una tale divinità. I miei colleghi, affidabili in questo campo, mi hanno assicurato che la mia ricerca è vana. Almeno nell’antichità occidentale la mente non era confinata né imprigionata nella testa o nel cuore di un individuo. La mente circolava più liberamente, ricevendo costantemente input dalla natura e dagli dei. Essa non apparteneva a qualcuno come proprietà privata e segreta. Non vi era una grande necessità del dono di rendere le menti altrui trasparenti.
Storicamente, nell’occidente moderno ed orientato scientificamente, noi abbiamo isolato la mente dal corpo, dalla natura e da altre menti. La nostra esperienza del corpo, della natura e delle altre menti deve essere costruita privatamente e forse piuttosto idiosincraticamente entro la nostra mente. Fino ai tempi più recenti, questa concezione è stata dominante ed ampiamente indiscussa tranne che dai filosofi.
Adesso stiamo assistendo ad una rivoluzione. Non siamo tornati proprio alle concezioni dell’antichità, ma siamo piuttosto vicini ad esse. Questa rivoluzione è stata ispirata in larga misura dal lavoro del filosofo della fenomenologia Edmund Husserl.
L’approccio fenomenologico è stato rivitalizzato dai filosofi contemporanei ed è stato incorporato da alcuni scienziati nelle attuali concezioni alternative sulla natura umana che stanno acquistando rilievo rapidamente (Clark, 1999; Damasio, 1999; Freeman, 1999; Gallagher, 1997; Marbach, 1996; Sheets-Johnstone, 1999; Thompson, 2001; Varela, 1996; Zahavi, 1996). Secondo questa nuova concezione, la mente è incorporata e resa possibile dall’attività senso-motoria di un individuo. Essa è intrecciata con e co-creata dall’ambiente fisico immediatamente circostante. Essa è costituita at-traverso le sue interazioni con altre menti. La mente assume e conserva la propria forma e la propria natura a partire da questo traffico continuo. La mente emerge ed esiste soltanto grazie alla continua interazione di processi cerebrali auto-organizzati con l’ambiente e con le altre menti. Senza queste interazioni costanti non vi sarebbe alcuna mente riconoscibile. Una delle conseguenze di questa visione fenomenologica della “cognizione incorporata” è che la mente sia, per sua natura, “intersoggettivamente aperta”, dal momento che è costituita in parte mediante le sue interazioni con altre menti (Husserl, 1960; Zahavi,1996; 2001; Thompson, 2001). Ciò vuol dire che gli esseri umani possiedono un funzionamento mentale primitivo descritto come «l’esperienza passiva (non iniziata volontariamente) e pre-riflessa dell’altro in quanto essere incorporato uguale a se stesso» (Thompson, 2001, p. 12).
Parlando in termini neurobiologici, si può notare come questa esperienza preriflessa dell’apertura intersoggettiva emerge da meccanismi quali i neuroni specchio, gli oscillatori adattivi ed altri processi simili, prossimi ad essere scoperti. Ma, a livello esperienziale, questa apertura intersoggettiva crea le condizioni per l’intersoggettività primaria (sincronia, imitazione, sintonizzazione, ecc.) riscontrata nella prima infanzia e per le manifestazioni dell’intersoggettività secondaria (come la “vera” empatia) riscon-trata successivamente. Credo sia in questo senso che Stein Braten (1999) parli del bambino fatto dalla natura per incontrare gli “altri virtuali”. Siamo pronti per entrare nella matrice intersoggettiva che è una condizione dell’essere umano.
Qualsiasi considerazione del processo di psicoterapia deve tener conto delle premesse precedenti. L’esistenza di una matrice intersoggettiva definisce il contesto psicologico nel quale la relazione terapeutica prende forma. Transfert e controtransfert sono solo casi particolari di un medesimo processo. L’idea di una psicologia unidirezionale è impensabile in questa situazione.
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