In un momento storico-culturale come quello che stiamo affrontando, caratterizzato dalla presenza pervasiva del virus Covid-19, che ha sconvolto la nostra quotidianità, l’Istituto di Gestalt HCC Italy ha coinvolto rilevanti psicoterapeuti e didatti della Gestalt provenienti da diverse parti del mondo, per dialogare sull’esperienza della pandemia. In due giornate intense di lavoro, dagli Stati Uniti all’Europa, il webinar, tradotto simultaneamente in tre lingue, italiano, inglese e russo (Stefania Benini dall’inglese all’italiano e Alessandra Merizzi dall’italiano all’inglese), ha permesso di suggerire aspetti innovativi da focalizzare per trasformare questo evento epocale in occasione di crescita, descrivendo come affinare i nostri strumenti di psicoterapeuti, esplorando questo momento traumatico globale. Ci si presentano innanzi nuovi valori umanistici, in un passaggio dal sostegno dello sviluppo del potere personale, a nuovi valori di riconoscimento dell’altro.
Ad aprire i lavori del 15 maggio è la dott.ssa Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta e ricercatore, formatore internazionale, direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, con l’intervento dal titolo “Essere psicoterapeuti ai tempi del coronavirus: intuire lo sfondo esperienziale e danzare con la reciprocità”. La relatrice ha sottolineato la necessità degli psicoterapeuti di ritrovarsi come anima, nel ruolo che possono avere nel mondo. Minacciati da una pandemia potenzialmente distruttrice dell’umanità, il dialogo diviene l’obiettivo primario nella sua funzione di cura della comunità, che consente di rispecchiarci e sentire l’appartenenza.
La dott.ssa Spagnuolo Lobb sostiene che, in quanto psicoterapeuti, sia fondamentale e doveroso dare un contributo credendo nella forza della condivisione, trascendendo muri e paure. Il virus è nell’aria, e ci confronta drasticamente con l’essere biologicamente interconnessi e con l’impossibilità di salvarci da soli. Il confronto con la nostra e altrui fragilità, ci impone di credere che la salvezza potrà arrivare esclusivamente dall’essere tutti presenti con la nostra diversità. La relatrice sottolinea come la psicoterapia della Gestalt può contribuire in modo significativo a questa svolta: oggi non abbiamo bisogno di sviluppare la nostra autonomia, ma di vivere interconnessi ed essere parte di una comunità a cui dare un contributo creativo, ritornando allo spirito dei fondatori, che hanno considerato l’unitarietà del campo organismo/ambiente. Il nucleo di base del ruolo dello psicoterapeuta diviene, quindi, il riconoscimento della “bellezza” dell’altro, dell’intenzionalità di contatto che non è stata sostenuta nelle relazioni significative ma che mantiene la sua resilienza. Oggi ancora di più.
Punto fondamentale dell’intervento è imparare a focalizzare l’esperienza corporea del terapeuta, la conoscenza relazionale estetica, come “esperienza di profonda integrazione con l’ambiente, di presenza piena al confine di contatto”. Tale esperienza dà accesso a due competenze fondamentali del terapeuta: l’empatia incarnata e la risonanza. L’empatia incarnata è stata ampiamente dimostrata a livello neuroscientifico dalla scoperta dei neuroni specchio,mentre la risonanza del terapeuta viene intesa dalla dott.ssa Spagnuolo Lobb come “sensibilità al campo fenomenologico che si co-crea nell’incontro terapeutico”.
La relatrice, dunque, chiama conoscenza relazionale estetica il modo in cui il terapeuta della Gestalt usa i propri sensi, con questi due strumenti, per comprendere la situazione del paziente, l’intelligenza sensoriale del campo fenomenologico condiviso, attraverso la quale il terapeuta riesce a vedere sia la bellezza, l’armonia e la grazia, con cui il paziente ha affrontato le situazioni difficili mantenendo l’intenzionalità di contatto verso le persone significative, sia la reazione dell’altro, il risuonare del campo, vibrando come di fronte ad un’opera d’arte.
Tutto questo si traduce in un atteggiamento umile nei confronti del limite, etico di aiuto nei confronti del paziente, mantenendo un senso estetico ed estatico verso l’esperienza di entrambi. Abbiamo bisogno di affinare capacità diverse per cogliere le sfumature anche attraverso lo schermo, questo piccolo pezzo di mondo che è divenuto il nostro confine di contatto, fornire l’esperienza di un ground sicuro i cui orientarsi in un mondo pandemico, per fidarci e trasmettere il nuovo valore della sicurezza che si trova nella danza tra terapeuta e paziente.
È seguito l’intervento di Pietro Andrea Cavaleri, laureato in psicologia e filosofia, psicoterapeuta da sempre concentrato sugli aspetti epistemologici e antropologici del lavoro clinico, dal titolo “L’evoluzione dell’antropologia gestaltica nell’emergenza della pandemia”, in cui ha posto l’attenzione sul virus come il sintomo di una malattia più grande. La pandemia ha creato come figura dominante nell’immaginario collettivo una guerra da combattere e il virus come nemico da distruggere, ma in realtà sembra essersi smascherata una società fragile e insicura, dove non c’è rispetto per la natura né dignità per ogni essere umano e l’unico criterio di riferimento non è la giustizia sociale, ma la massimizzazione dei profitti. Ciò impone la necessità di cambiare strutturalmente il modo di gestire il pianeta, per poter tornare alla “normalità”. La pandemia ci insegna che non possiamo e non dobbiamo tornare al mondo di prima, ma metterci subito al lavoro per costruire un mondo alternativo, fatto di giustizia sociale, solidarietà, ala centro del quale ci sia solo l’essere umano e la natura che lo ospita, e non di certo gli interessi economici. Nell’attraversare anche questa vulnerabilità, possiamo acquisire una forza, un’energia e una vitalità insospettate, fruendo della spinta evolutiva insita nella vulnerabilità stessa. Questo è quello che l’antropologia gestaltica ci insegna: nel limite c’è il farmaco, la soluzione per superarlo. Se rifiutiamo la vulnerabilità, ne rifiutiamo anche l’energia creativa. Come psicoterapeuti della Gestalt, dobbiamo affrontare la complessità e non scappare da essa, e possiamo farlo se siamo insieme, se creiamo dialogo e solidarietà, nella pratica del riconoscimento reciproco.
L’intervento di Bernd Bocian, psicoanalista e terapeuta della Gestalt, “Adattamento creativo, tra sovraeccitazione e rimozione”, ha posto l’attenzione sul tema centrale dell’autosostegno, quel “sistema di sostegno interno” descritto da Laura Perls che ci impedisce di frammentarci quanto tutto diviene insopportabile e minaccioso, il contatto con la presenza di una relazione interna buona, che custodiamo dentro di noi e dove possiamo riposare quando il mondo risulta troppo pericoloso.
Dan J. Bloom, psicoterapeuta, supervisore e formatore clinico a New York City, apre i lavori pomeridiani con “Intenzionalità di contatto: tessere la trama relazionale”, in cui annovera la pandemia tra gli eventi mondiali storici che si pongono fuori dal tempo che segnano un prima e un dopo, influenzando il mondo intero. Diventa, quindi, fondamentale fidarsi della possibilità che i “fili” del nostro tessuto relazionale possano essere mantenuti nonostante lo schermo, poiché sappiamo che la nostra intenzionalità incarnata ci permette di intuire anche ciò che non vediamo, non sentiamo, collegandoci con i pazienti al di là dello schermo. È l’intenzionalità relazionale che può consentire alle due immagini di trasformarsi in una persona piena, restando sintonizzati e coraggiosi.
Nella sua relazione “Speranza, paura, dignità”, Lynne Jacobs, terapeuta della Gestalt e psicoanalista di Los Angeles, ha sostenuto come l’obiettivo di ogni psicoterapia è ritrovare un senso di dignità, sentirsi capaci e competenti nella propria vita emotiva, insieme al sentirsi contenuti nella propria comunità. In questo momento in cui la società tutta si trova sofferente, il terapeuta può sintonizzarsi anche con gli stati emotivi più dirompenti, sostenendo la speranza di ritrovare la dignità, la resilienza e il senso di agency, nella legittimazione della paura di ripiombare nella vergogna e nell’umiliazione.
A chiusura della prima giornata, da oltreoceano, arrivano le parole di Steve Zahm e Eva Gold, fondatori del Gestalt Therapy Training Center – Northwest a Portland (Oregon), con “Una psicoterapia della Gestalt basata sulla psicologia buddista per i nostri tempi difficili”. Gli autori hanno esplorato i punti d’incontro fra psicologia buddhista e psicoterapia della Gestalt, nell’affrontare le basi della sofferenza al di là delle esperienze personali, guardando alla condizione esistenziale dell’essere umano. Per quanto questa pandemia, infatti, ci tocchi tutti in maniera diversa, ci mette comunque di fronte a degli aspetti universali. La nostra interconnessione, interdipendenza, la comune umanità e vulnerabilità, la realtà dell’impermanenza, la dissoluzione della realtà conosciuta, la fragilità della vita, la possibilità della morte, la consapevolezza di non sapere cosa il futuro ci riserva, possono aprirci all’andare oltre i nostri bisogni personali, guardando alle verità di base coltivando una presenza consapevole, la saggezza, la compassione, l’amore e l’equanimità. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno per raggiungere il nostro potenziale umano, per la nostra salute mentale. In una prospettiva fenomenologico-estetica gestaltica, possiamo riconoscere la sofferenza e il dolore dell’esperienza, possiamo – come umani e come terapeuti – differenziare l’inevitabile dolore dalla sofferenza opzionale.
La giornata del 16 maggio si apre con un commosso omaggio a Ezio Bosso, grande musicista, pianista e direttore d’orchestra italiano, scomparso nella notte dopo anni di lotta contro una grave malattia neurodegenerativa, che non ha mai spento la sua passione, ma lo ha anzi spinto a trasformare ogni sconfitta del suo corpo in una rinascita dello spirito.
È con “L’estetica del linguaggio nella psicoterapia della Gestalt online” che Giuseppe Sampognaro, psicologo presso l’Unità di Neuropsichiatria Infantile dell’ASP di Siracusa, racconta l’importanza delle tecniche creative legate all’uso dell’immagine, della musica e della scrittura nel setting terapeutico. Il relatore si focalizza sulla novità portata dalla terapia online, questo luogo/non luogo, questo spazio concreto e virtuale insieme, fatto dal display, dalla voce nelle cuffie, la tastiera, la connessione internet: un nuovo campo fenomenologico che impone la rivalutazione della parola, del linguaggio. Dopo anni in cui abbiamo sottolineato l’importanza dell’implicito, del non verbale, della prossemica, ad oggi abbiamo bisogno di tornare alla parola come strumento che crea contatto. L’esperienza del colloquio on line, infatti, ci consente di cogliere con più drammaticità come si concretizza l’intenzionalità di contatto attraverso il linguaggio e la scelta delle parole e, come uno scrittore, il terapeuta raccoglie le parole del paziente, lo aiuta a dare un senso alla sua storia, rielaborarla e magari darle un finale diverso. Come scrive Margherita Spagnuolo Lobb, “si tratta di passare dal tormento della ricerca alla parola”, un atto creativo e attivo, realizzato da paziente e terapeuta che strutturano un lessico comune, un racconto che crea la relazione.
Relazione terapeutica che diviene fondamentale in un momento di shock e negazione, come raccontato da Carmen Vàzquez Bandìn, fondatrice e direttrice del Centro de Terapia y Psicologia -CTP di Madrid, in “Per chi non suona la campana: il lutto negato nella pandemia”, rivolgendo un pensiero di cura verso tutti colori i quali hanno perso qualcuno in questo periodo storico. Attualmente, chi vive il lutto non può ancora permettersi di elaborarlo, rendendo essenziale il lavoro di narrazione al terapeuta. La relatrice ha sostenuto la profonda importanza di prendersi cura non solo dei pazienti, ma del personale sanitario e di tutti i professionisti che si trovano a lavorare a stretto contatto con la morte ed il suo dolore.
Il pensiero alle categorie più fragili della nostra società, costrette al lockdown e all’isolamento prolungato, si rivolge anche alle persone con autismo e i loro familiari. Antonio Narzisi, psicologo, psicoterapeuta e ricercatore in Neuroscienze dello Sviluppo, nella sua relazione dal titolo “Autismo e coronavirus: problematiche e opportunità”, ha offerto uno sguardo attento verso le problematiche possibilmente riscontrate dalle famiglie, fornendo suggerimenti e cornici entro le quali esprimersi e, insieme, tutelare, proponendo la pandemia come grande occasione per risensibilizzare maggiormente la società a ripensare ai sistemi per stare-con l’autismo.
La società, così ferita oggi, è stata il nucleo dell’intervento di Miriam Taylor, psicoterapeuta, supervisore e didatta britannico, nella relazione “Trauma collettivo e campo relazionale”. La relatrice si è occupata della pandemia come “Ground Trauma”, una ferita della memoria collettiva, un trauma non elaborato che nel tempo potrà in qualche modo lasciare un’impronta. Tuttavia, per come parliamo di trasmissione transgenerazionale del trauma, dobbiamo anche considerare l’esistenza della resilienza transgenerazionale: il bisogno di sopravvivenza è una cosa per cui siamo programmati e l’assoluto imperativo diviene, oggi, ripristinare il contatto e la relazione. L’obiettivo di ridare dignità all’umanità si intreccia con la posizione etica dello psicoterapeuta, nella responsabilità di prendersi cura di sé prima di potersi prendere cura degli altri.
Dall’inizio del lockdown, infatti, siamo stati costretti al lavoro online e ciò ha creato molta pressione su come continuare il lavoro psicoterapeutico. Ruella Frank, fondatrice e direttrice del Center for Somatic Studies a New York, nell’intervento “Sviluppare il senso della presenza online” ha posto attenzione all’etica della presenza e del prendersi cura di sé, qui e con l’altro, sentendo il proprio corpo, il respiro, l’esperienza cinestetica di movimento e sensazione, ciò che è definito feelings, la sostanza dell’esperienza, come quando siamo coinvolti nella musica, nella poesia, nell’arte.
Il webinar internazionale, che ha visto in diretta online 850 persone da tutto il mondo, si è concluso con una interconnessione globale, un dialogo tra tutti i relatori impegnati nella necessità di mantenere uno sguardo rivolto alla polis, alla cura del benessere della società, dimostrando come oggi la comunità professionale gestaltica può essere un modello per poter fare un salto evolutivo, per uscire dalla logica del nazionale e abbracciare sempre più il globale. Chissà se anche noi, un giorno, riusciremo a raccontare una storia bellissima di questo evento così terribile, fidandoci della nostra memoria cinestetica, che ci permetterà di ritrovare antiche esperienze e di creare nuove narrazioni nel futuro. Ezio Bosso diceva “La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme”; noi diciamo che la vita è come la musica, dobbiamo continuare a danzare, insieme.