Venerdì 1 marzo si è svolto presso la sede di Milano il secondo incontro del ciclo “In contatto con la Gestalt”.
Tema delle serate di quest’anno sono le E-MOZIONI che accadono in un campo sempre in movimento, come quello della relazione; il gruppo di lavoro milanese si è dunque interrogato sulle emozioni della noia, della vergogna, della passione, con uno sguardo finale al luogo delle emozioni.
Nell’incontro del primo marzo Alessia Tedesco ha intervistato Piero Cavaleri sul tema della “vergogna”.
La “vergogna” si profila come un’emozione complessa, già a partire dall’etimologia: “timore” secondo la radice latina, “nascondimento” secondo la radice indoeuropea. Molti gli autori che hanno trattato tale emozione nel tempo, guardandola da diversi punti di vista: poeti, filosofi, psicologi.
Ecco uno stralcio del dialogo:
“Che cosa pensi della vergogna come emozione?” – “Esistono almeno due registri tramite cui poter guardare alla vergogna: il registro esistenziale e il registro psicologico”.
All’interno del filone di pensiero filosofico, Jean Paul Sartre ne parla come di un’emozione “riflessiva”, per cui l’Io, il Per Sé, si vergogna di sé stesso; partendo da qui, poi, il filosofo continua definendola un’emozione “relazionale” dal momento che il Per Sé si vergogna di fronte a qualcun altro che lo giudica. “Ci sembra interessante guardare alla vergogna come a un’emozione che fa parte della relazione: cosa pensi a riguardo?” -“Il soggetto, vergognandosi di fronte a un altro, si pone esso stesso in posizione di oggetto: si oggettifica poiché si vergogna e si vergogna poiché ha derogato all’insieme di regole sociali condivise che sono alla base delle relazioni proprie dell’essere umano evoluto… è come se il soggetto fosse venuto meno ad un accordo tra uomini evoluti. Da un punto di vista evoluzionistico, infatti, noi ci siamo evoluti differenziandoci dal mondo animale, di cui pure facciamo parte, e questa umanità trova il suo fondamento nell’appartenenza ad un campo relazionale. Ogni volta che sentiamo di tradire lo sfondo condiviso di regole scatta la vergogna: come uno strappo alla nostra umanità che lascia intravvedere agli occhi degli altri una sorta di animalità. E’ una cosa con cui dobbiamo fare i conti anche quando lo “strappo” è motivato magari da una battaglia per dei cambiamenti che riteniamo giusti (come i diritti per le donne per esempio)”.
È questa una visione evoluzionistica del tutto innovativa, una sorta di rivoluzione copernicana nel modo di intendere la vergogna come una componente inevitabile della nostra condizione umana che, al di là dei suoi risvolti patologici, ha una sua funzione per la specie.
“La vergogna può essere vista come un’emozione negativa, nascente da un desiderio che non viene accolto dall’altro (cfr., per la letteratura gestaltica, J.M. Robine e R. Lee); qual è la tua opinione?” – “Credo che questo modo di intendere la vergogna appartenga a un altro registro, quello psicologico”. …”I due registri, esistenziale e psicologico, non si escludono bensì si completano a vicenda e rendono questa emozione davvero complessa da osservare”.
“Dove inserisci le altre emozioni, diverse seppur vicine alla vergogna, dell’imbarazzo, del pudore, del senso di colpa?” – “Penso facciano parte del registro psicologico, dunque sono da intendersi come sfumature diverse di diversi stati d’animo; Direi che l’imbarazzo è un comportamento, la manifestazione esteriore con cui esprimo la vergogna. Per quanto riguarda il pudore, sembra che ci siano dei centri nervosi collegati al pudore, e questo sarebbe in linea con una visione evoluzionistica della vergogna.
Clinicamente parlando invece, è importante sostenere il paziente nello stare con la debolezza e la vergogna, senza rifugiarsi nella negazione narcisitica o nel controllo nevrotico, ma giocandosela in maniera creativa – e qui penso in particolare a Otto Rank – come spinta a trovare un adattamento nuovo e più funzionale nel campo”.
Un ringraziamento davvero grande a Piero per essere stato così disponibile a dialogare con noi su un tema davvero poco semplice.