È meglio dire che noi siamo consapevolezza piuttosto che abbiamo consapevolezza. Dalla nostra esperienza di consapevolezza noi possiamo contemplare il resto dell’esistenza e supporre che in tutte le cose vi siano diversi gradi di consapevolezza. Il fiore che si gira verso il sole è consapevole della luce solare. La roccia che cade sperimenta una certa differenza tra il cadere, il colpire il suolo e il giacere immobile. In misura diversa, tutte le cose che sono questo piuttosto che quello, che funzionano in questo modo piuttosto che in quell’altro, esprimono vari gradi di consapevolezza.
La consapevolezza umana è molto vasta e quindi è più ambigua di quella delle altre cose. La roccia può solo cadere quando non ha supporto. Invece, noi, quando siamo senza sostegno, possiamo proiettare, reprimerci, desensibilizzarci, eccetera.
Con l’ipotesi della consapevolezza universale ci apriamo a considerare noi stessi in un modo più vitale piuttosto che concettualizzare astrattamente intorno (aboutism) ad avere una mente, un Io, un Super-Io e così via. Inoltre, grazie a tale ipotesi di consapevolezza universale, ci apriamo a considerare noi stessi intrinsecamente simili al resto dell’esistenza. A partire da questo esserci (is-ness), da questa consapevolezza qui e ora, ci consideriamo così come siamo: viventi, presenti qui, differenti e simili agli altri e al resto dell’esistenza. Essa ci mette in una posizione per entrare in contatto, per oltrepassare i confini, per spaziare attraverso le differenze, per trovare la risoluzione.
Fritz Perls, Resolution
(da Quaderni di Gestalt 2012/2 La prospettiva evolutiva in psicoterapia della Gestalt, p.94)