– Pietro A. Cavaleri.
Per migliorare la salute della mente occorre avere cura non solo dell’organismo umano, ma anche dell’ambiente che lo circonda. L’ambiente al quale l’autore si riferisce non è soltanto quello sociale, costituito da altri esseri umani, ma anche un ambiente fatto da realtà e presenze “non-umane”, come gli oggetti, gli spazi, le abitazioni. Sappiamo da tempo come non sia possibile comprendere la mente senza tener conto dei suoi ambienti umani (la famiglia, la comunità, la rete sociale). È giunto il momento di evidenziare come la comprensione e la cura della mente passino anche attraverso una debita considerazione dei suoi “ambienti non-umani”, cioè dei suoi spazi di vita, dei suoi principali “luoghi” di riferimento, come la casa, la città o, più in generale, la natura.
L’uomo e l’ambiente non-umano
Da lungo tempo la cultura occidentale ama utilizzare la metafora della profondità per indicare, soprattutto sul piano qualitativo, qualcosa di molto consistente e pregevole. Non a caso, infatti, è “profonda” una persona che possiede un sapere elevato o un animo molto sensibile. È “profondo” un pensiero originale o complesso. È “profonda” un’amicizia che è stata vagliata dal tempo e dalle difficoltà. È “profondo” un uomo che sa intuire e cogliere in pieno ciò che agli altri sfugge del tutto. Di contro, è “superficiale” tutto ciò che rimanda all’ovvio, al banale, ad una realtà scontata, già vista.
Sicché, per fare un esempio, se la mente con le sue innumerevoli astrazioni e con le sue sofisticate operazioni logiche è “profonda”, il corpo umano con il suo banale coacervo di muscoli e viscere, con la sua scontata fisicità, appare “superficiale”, come del resto l’ambiente che lo circonda, fatto di bruta materia e di inermi estensioni. In modo del tutto implicito, la cultura occidentale contrappone rigidamente la profondità della mente alla superficiale e materiale fisicità del corpo umano. Da un lato è posta la mente e la sua profonda capacità di elaborazione razionale, da un altro lato viene collocato il corpo, con le sue meno nobili funzioni fisiologiche, con le sue strutture meccaniche, con le sue forze istintuali.
Contraddicendo questo radicale dualismo, erroneamente introdotto da un filosofo francese di nome Cartesio, autorevoli studi nell’ambito della neurobiologia hanno dimostrato come la complessa e inafferrabile profondità della mente, quasi paradossalmente, abbia la sua origine e il suo costante alimento nella inesplorata superficie del “confine di contatto”, cioè nella pelle del nostro corpo, nei nostri organi di senso e in ogni altro spazio in cui si concretizza la fondamentale interazione tra l’organismo umano e l’ambiente che di continuo lo circonda (Cavaleri, 2003; Perls, Hefferline, Goodman, 1971).
La mente “pura”, scissa dal corpo, è da considerarsi una astrazione inaccettabile. Il cervello umano e il resto del corpo, invece, costituiscono un organismo inscindibile che, a sua volta, non potrebbe sussistere senza interagire costantemente con l’ambiente circostante. Infatti, è dall’interazione fra cervello, corpo e ambiente che si sviluppano quei processi fisiologici che noi chiamiamo mente.
Sia nei suoi aspetti più elementari, che in quelli più complessi, l’attività della mente implica sempre il coinvolgimento del cervello e del corpo. Le stesse “rappresentazioni” cerebrali (le immagini mentali) non sono mai pure, non possono in qualsiasi caso prescindere dall’esperienza sensoriale. Esse richiedono la presenza del corpo, che fornisce la “materia” indispensabile, fatta essenzialmente di sensazioni, di percezioni, di tensioni muscolari. Le più diverse manifestazioni della razionalità umana sono orientate e sostenute dai sentimenti e dalle emozioni, che a loro volta sono espressione dei meccanismi di regolazione biologica del nostro corpo.
Ciò che in genere viene definita “mente” non può nascere e sussistere senza quella cornice fondante che è il “corpo”. Le nostre azioni più importanti, i nostri pensieri più elevati, le nostre gioie più grandi, i nostri dolori più indelebili hanno come riferimento costante il corpo. Se in passato Cartesio aveva detto: “Penso, dunque sono”, alla luce di queste considerazioni potremmo affermare il contrario: “Sono, dunque penso”. Sono un corpo, sono un flusso di percezioni, di sensazioni, di sentimenti e di emozioni, dunque tutto ciò diventa “materiale” oggetto del mio pensiero e rende possibile il mio stesso pensare.
(…)
Articolo tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXIV, 2011-2, Psicoterapia della Gestalt e Neuroscienze
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da FrancoAngeli, pag. 26.
Consulta indice e contenuti volume in promozione!
Potrebbe interessarti anche: Master breve in Comunicazione e Competenze Relazionali. Per migliorare le abilità comunicative sia nelle relazioni lavorative che in quelle affettive (Siracusa, Palermo, Milano)