Adattamento creativo e tumore al seno: Imparare a prendersi cura di sé attraverso la malattia

L’attuale dialogo tra psicoterapia della Gestalt e neuroscienze favorisce un’importante riflessione sui contributi che la psicoterapia della Gestalt può apportare alla psiconcologia, in particolare all’interno del processo di elaborazione di una patologia così dolorosa e disintegrante come il tumore al seno, il quale comporta per la donna una doppia chirurgia, fisica e simbolica. Il seno, infatti, è simbolo di femminilità e fertilità e modificazioni nel suo aspetto possono alterare la percezione che la donna ha di sé, della propria immagine corporea e della propria autostima, con inevitabili ricadute sul piano relazionale.

Le recenti scoperte ottenute dalla ricerca neuro-scientifica si intrecciano con alcuni temi fondamentali del modello gestaltico, offrendo diversi spunti di incontro e consolidando la concezione che vede il cancro come “processo patologico”, che coinvolge l’individuo globalmente, eliminando la dicotomia mente-corpo, e che scaturisce da una alterata relazione con il mondo interno/esterno.

Generalmente la malattia è vista come qualcosa di indipendente dal paziente, qualcosa che attacca l’organismo, interrompendone il funzionamento. Tuttavia, secondo l’attuale visione olistica della persona, la malattia è parte e si riferisce non solo al corpo fisico e alle attività che interferiscono direttamente con esso, ma anche al contesto relazionale e agli atteggiamenti dell’individuo con cui affronta la vita. Quindi, il sintomo fisico emerge come un segnale di avvertimento, che porta un’intenzione e viene caricato con messaggi e significati.

Gli attuali studi e l’interessamento della comunità scientifica alla correlazione tra  l’insorgenza di sindromi neoplastiche e lo stato psicologico ed emotivo dei soggetti che ne sono vittime, ha dato l’input alla nascita di una nuova branca della medicina chiamata Psiconeuoroendocrinoimmunologia (PNEI), la quale studia le relazioni tra i grandi sistemi di regolazione dell’organismo umano: il nervoso, l’endocrino e l’immunitario, e tra questi e la psiche cioè l’identità emozionale e cognitiva che contraddistingue ciascuno di noi.

La patologia tumorale, e non solo, deve essere considerata in questa ottica globale. La psicologia oncologica è un passo fondamentale verso questa tendenza, un esempio importante di come la psicologia possa e debba trovare la sua collocazione accanto alle scienze mediche, per una comprensione unitaria della persona affetta da una patologia. In tal senso, enorme importanza riveste la psicoterapia della Gestalt, la cui principale intuizione riserva grande attenzione al corpo e ai suoi vissuti, segnalando come la superficie del corpo sia in realtà custode di una ricca e complessa profondità (Cavaleri, 2003).

Secondo l’approccio gestaltico, infatti, la perdita del seno determina una profonda ferita all’immagine corporea, e questo sottolinea il fondamentale ruolo che riveste il corpo nella vita di un individuo, origine della funzione costitutiva e genetica dell’intersoggettività (Gallese 2006), concetto fortemente sostenuto anche dalle recenti ricerche neuro-scientifiche. Tutto ciò a sostegno della straordinaria attualità di una delle scoperte più geniali di Perls: “il confine di contatto”. Esso rappresenta il fulcro intorno al quale nasce e si sviluppa tutta la psicoterapia della Gestalt. Nel modello di Perls e Goodman (1951), è “l’organo della consapevolezza”, strettamente collegato al qui ed ora della pelle, degli organi di senso, della risposta motoria, della concreta interazione fra l’organismo e il suo ambiente. Oggi, quello stesso confine, viene riconosciuto dalla scienza ufficiale come la chiave di svolta indispensabile per una piena comprensione della mente umana.

Pur essendo, tuttavia, un evento traumatico dirompente e distruttivo, che inizialmente sconvolge la vita di chi ne è vittima e dell’intero sistema familiare (secondo la teoria del campo, uno dei concetti fondamentali su cui si fonda la psicoterapia della Gestalt), il tumore al seno può rappresentare un punto di svolta per riscoprire un nuovo sé. Questo, però, è possibile soltanto accettando di farsi aiutare e di vivere consapevolmente tutte le fasi della malattia, attraversandole e, grazie alla Psicoterapia della Gestalt, portando nel “qui e ora” i propri reali e attuali bisogni per poterli gestire ed elaborare al fine di trovare un nuovo “adattamento creativo”.

L’accompagnamento terapeutico gestaltico offre al paziente la possibilità di ottenere un’altra visione della sua malattia, di conoscere più approfonditamente la dinamica e il significato che essa ha nella sua vita, inserendo il tumore all’interno della propria storia e trovando un modo nuovo per riconfigurare la propria essenza e la propria esistenza; in questo modo il paziente può diventare parte attiva del processo di recupero, in quanto comprende come le sue emozioni interferiscano direttamente o indirettamente in questo processo.

Fondamentale è il ruolo che rivestono, all’interno del processo terapeutico, la narrazione, motore di una possibile rielaborazione delle esperienze, del trauma, della sofferenza, e induttore di un cambiamento, e la scrittura espressiva, un altro modo “creativo” al quale spesso si ricorre quando l’intraducibilità della sofferenza del paziente gli impedisce di narrarla a voce e di trovare le parole giuste o il coraggio di parlarne. Grazie a questi due strumenti terapeutici è possibile percepire “una progettualità futura”, recuperare la creatività, bloccata dal trauma, e la capacità di agire e di tornare ad avere interesse per la realtà, stabilizzare le proprie risposte emozionali, attivare una vera e propria riorganizzazione di sé e dell’ambiente, all’interno della quale individuare nuovi significati esistenziali, per giungere all’accettazione e al riorientamento del nuovo itinerario di vita, in stretta relazione alla presenza della malattia. Tutto questo dimostra che dalla sofferenza si può rinascere più forti e vitali di prima e che attraverso il dolore è possibile persino intravedere la bellezza.

Dott.ssa Ornella Lo Porto
Psicologa, psicoterapeuta della Gestalt

 
 
Riferimenti bibliografici:
Perls F.S., Hefferline R.F, Goodman P. (1951), Gestalt Therapy, excitement and growth in the hunman personality,  Julian press, N.Y.C., trad. It (1971), Teoria e pratica della Psicoterapia della Gestalt, vitalità ed accrescimento nella personalità umana, Roma, Astrolabio.
Cavaleri P. A. (2003), La profondità della superficie, percorsi introduttivi alla psicoterapia della Gestalt. Franco Angeli, Milano.
Gallese V. (2006), Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività. Una prospettiva neuro-fenomenologica, in Cappuccio M. (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno Mondadori, pp. 293-326.

sè

Le funzioni del sé e la lettura fenomenologica

Michele Lipani e Elisabetta Conte

Il sé, durante l’adolescenza, attraversa una fisiologica riorganizzazione, con importanti modificazioni della funzione es (trasformazioni corporee, percezione e riconoscimento di nuove sensazioni, emergere di nuovi bisogni ancora in via di definizione) e della funzione personalità (nuova definizione di sé e assimilazione dei cambiamenti connessi con il diventare adulti) (Perls et al., 1971).

Si rendono necessari nuovi adattamenti creativi relativi all’esperienza corporea, sfondo sempre presente nel processo di contatto, base sicura su cui poggiano sia il sentimento di esistere e di avere una identità (la pienezza del sentir- si un “io”), che il farsi azione di questa identità attraverso i gesti, le posture, le azioni che portano all’altro (Mione e Conte, 2012).

L’adolescente sembra oggi giungere più fragile di fronte a queste nuove sfide (Conte e Mione, 2013) e avrebbe ancora bisogno di un alto grado di holding, anche se di nuova qualità, da parte delle figure adulte (Levi, 2013). Se priva di sostegno (autosostegno e/o sostegno ambientale), la forte eccitazione tipica di questo tempo della vita si tramuta in ansia e, per non essere sentita, in desensibilizzazione corporea. Dalla funzione es anestetizzata non nasce alcun interesse, non si crea alcuna figura che sostenga l’intenzionalità. Possiamo allora affermare che: «L’esperienza depressiva è una condizione nella quale la dinamica figura/sfondo stenta a mettersi in movimento: lo sfondo è senza energia, non vi sono stimoli, interessi, slanci di intenzionalità (…)» (Francesetti, 2011, p. 83).

Si respira un’aura da «ottundimento dei sensi» (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 39) difficile da condividere, come per Luca, sedici anni, che nel tentativo di raccontare come si sente accenna al suo corpo “zavorrato”, al senso di impossibilità di fare le cose «come in certi sogni in cui vuoi correre, scappare, ma non riesci a sollevare le gambe». Quando non trova parole, cita testi di brani musicali che possono avvicinarsi alle sue sensazioni e risvegliarle. Allora si riconosce nei versi di Open, brano dei The Cure, e trascrive:

… Non ce la faccio più, sono diventato così, Quando la vita perde ogni senso
Continuo a muovere la bocca
Continuo a muovere i piedi

Oh mi sento così stanco…
E come la pioggia cade a dirotto Così io mi sento dentro…

Altre volte gli adolescenti sembrano imbrigliati da sensazioni più cupe e fanno riferimento a percezioni visive in cui prevale il buio, il non vedere; le sensazioni tattili/epidermiche esprimono il freddo e il non sentire; spesso il silenzio diventa insostenibile. Francesca, spiegando che non ha voglia di uscire con gli amici, racconta che quando è con gli altri sente di essere «un’ombra insignificante: … se sono da sola, in silenzio posso riuscire a stare tranquilla, ma non sopporto il silenzio del mio mutismo quando sono con gli altri e non riesco a pensare nulla, a dire nulla. Allora molto meglio seppellirmi a casa». Le sensazioni di tipo cinestesico rimandano invece al senso di galleggiamento nel vuoto, al cadere, al sentire il peso e la stanchezza, oppure un senso di disorientamento spesso soffocato.

La funzione personalità, durante l’adolescenza così vivida e fertile nell’assimilare esperienze creative e affamate di novità, nell’impasse depressiva si connota di vissuti di inadeguatezza e di impotenza, come per Gianluca, quindici anni, che fino alle scuole medie era un alunno brillante, ma con l’ingresso nelle scuole superiori non comprende e non tollera il “tonfo” del suo rendimento scolastico. Nonostante il suo impegno, gli sembra che tutti siano più in gamba di lui e i suoi voti sono irrimediabilmente “da bocciato”: «Forse non sono così intelligente come gli altri credono, forse la scuola non fa per me».

L’adolescente che attraversa una fase depressiva si macera nel conflitto insanabile, tra ciò che vorrebbe essere e ciò che riesce ad essere, tra ciò che vorrebbe fare, i suoi sogni, le sue aspettative, e ciò che poi effettivamente fa. Ancora peggio se deve mettere in discussione le aspettative che gli altri hanno nutrito per lui e sostituirle con nuove aspettative più sue. Da ciò scaturisce il sentire la fatica di diventare se stesso, il senso di inadeguatezza e di inibizione, l’impotenza, la paura di non essere “visto”, di non valere abbastanza.

(…)

Tratto dall’articolo “Giovani funamboli:esperienze depressive in adolescenza”
in Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2014-2, La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli

Consulta indice e contenuti 

Scopri i prossimi corsi organizzati dall’Istituto di Gestalt HCC Italy

omosessualità

Omosessualità e riflessioni gestaltiche

– Carmen Vázquez Bandín

In questo articolo l’autrice fa un breve excursus nel mondo dell’omosessualità, proponendo alcune ipotesi a partire dalla teoria del sé della psicoterapia della Gestalt. In primo luogo offre una descrizione dei concetti di inclinazione, identità e comportamento sessuale. Successivamente riassume il pensiero di Freud sull’argomento e analizza l’omosessualità come parte nella costruzione e funzionamento della personalità del sé. Conclude con una breve considerazione sull’interazione tra la società attuale e l’omosessualità.

Se non mi avessero chiesto di scrivere su questo argomento non avrei mai pensato di fare una lettura dell’omosessualità inserita all’interno del quadro di riferimento teorico-clinico della psicoterapia della Gestalt. In primo luogo, perché l’omosessualità copre un ampio spettro di sfumature e possibilità; in secondo luogo, perché è come cercare di descrivere perché ci sono uomini che si innamorano di donne bionde, o perché ci sono donne che sono attratte da uomini alti. Un mondo di scelte individuali e personali che non può sempre essere spiegato dalla teoria della Gestalt!

Ma accettata la sfida focalizzerò i miei pensieri sull’omosessualità come un’identità specifica che comprende il modo di essere e di relazionarsi.
La teoria della psicoterapia della Gestalt non cerca e non crea risposte definitive ma stimola la ricerca di spazi di riflessione sugli argomenti. È così anche per l’omosessualità.
Lo studio della sessualità, per lo psicoterapeuta della Gestalt, ha senso solo quando è relativo alla comprensione dell’individuo nel suo insieme, all’interno di una visione olistica ed integrata dell’esperienza.

Negli esseri animali, non esiste funzione alcuna che si svolga indipendentemente dall’oggetto o dall’ambiente, sia che si tratti di funzioni a carattere vegetativo, come la nutrizione e la sessualità, o di natura percettiva, o di origine motoria, o ancora dell’atto di sentire o di ragionare (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, p. 38).

Ciò significa che la sessualità non è qualcosa di istintivo, considerando la definizione di istinto offerta dalla biologia, come qualcosa di ereditato, rigido e fissato all’interno di una specie. L’identità sessuale è una delle identità che sviluppiamo nel corso della vita, come l’identità professionale, di figlio, di padre, di madre, ecc. E, ancora, la sessualità è qualcosa di inerente al piacere. A mio parere, l’omosessualità, dovrebbe essere, quindi, intesa come un possibile modo di rapportarsi a se stesso, agli altri e alla vita. In un certo senso si può dire che è un modo in cui un individuo può esprimersi, interagire e proporsi come persona.

I concetti di inclinazione, identità e comportamento sessuale

Prima di entrare nel dettaglio dell’argomento, ritengo funzionale porre l’accento sulle differenze di significato di alcuni termini. L’orientamento sessuale è definito «come l’inclinazione o la preferenza per il sesso opposto (eterosessualità), per lo stesso sesso (omosessualità), o per gli entrambi sessi (bisessualità)» (Soler, 2005, p. 7). Se guardiamo alla storia della umanità vediamo che l’orientamento sessuale è stato considerato in vari modi a seconda dei diversi periodi storici e culture. «La concezione dell’omosessualità si è evoluta nel corso della storia. All’inizio è stata considerata come normale e naturale, poi come peccato, delitto, malattia o disturbo mentale. La concezione attuale la ritiene una variante del comportamento sessuale normale» (Campo, 2005, p. 22).

L’identità sessuale è data dalla dimensione biologica e psicologica che permettono all’individuo di riconoscersi come appartenente ad un sesso, maschile o femminile, indipendentemente dall’identità di genere (sentirsi maschio o femmina) o dall’orientamento sessuale (trend o inclinazione sessuale). Questo concetto è strettamente legato all’identità di genere, al punto che spesso vengono utilizzati come sinonimi.

Il comportamento sessuale umano è il comportamento che gli esseri umani sviluppano per trovare partner sessuali, ottenere l’approvazione di potenziali compagni, stringere relazioni, e dare voce al desiderio sessuale. Si riferisce ad un ampio spettro di comportamenti che vanno dai più usuali ai meno frequenti, dalle relazioni di coppia agli abusi sessuali.

(…)

L’articolo affronta i seguenti temi:

  • L’origine del concetto di identità sessuale
  • Freud e l’omosessualità
  • La psicoterapia della Gestalt e l’omosessualità
  • Una breve riflessione psicologica

 
 

Quaderni di Gestalt, Vol XXVII, 2014-1, I vissuti sessuali in psicoterapia
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da Franco Angeli

Consulta indice e contenuti

Vieni a conoscere eventi gratuiti, corsi professionalizzanti e grandi eventi 

approccio

Verso un approccio più profondamente incarnato

in psicoterapia della Gestalt

-James I. Kepner

Questo articolo esamina criticamente l’evoluzione del lavoro ad orientamento corporeo in psicoterapia della Gestalt. L’autore evidenzia i punti di forza dell’approccio gestaltico, come il lavoro sul presente ed il punto di vista integrato, ma ne sottolinea anche alcune possibili limitazioni teoriche come un’interpretazione troppo ristretta dell’epistemologia dei fondatori, l’inadeguatezza del considerare solo la consapevolezza ai fini del cambiamento psicofisico, la mancata inclusione di concetti strutturali e di metodologie corporee che comprendano il toccare ed il movimento e altri metodi corporei. Viene inoltre descritto un breve modello per mostrare i molti livelli di complessità di un approccio pienamente incarnato.

La pubblicazione di Body Process. Il lavoro con il corpo in psicoterapia (Kepner, 1987; trad. it., 1997) risale a ventuno anni fa. In quel libro avevo tentato di delineare una psicoterapia più pienamente orientata al corpo secondo l’approccio gestaltico. La psicoterapia della Gestalt, infatti, si è da sempre interessata al processo e all’esperienza corporea, ma la sua metodologia in questo ambito era rimasta fino a quel momento molto limitata.

L’uso fatto da molti terapeuti della Gestalt di alcune tecniche corporee intensive era a mio avviso una sorta di innesto di metodi o approcci talvolta incompatibili con le tecniche gestaltiche, e il risultato era spesso un pastic- cio poco integrato. A quei tempi ero un “Giovane Turco” di trentaquattro anni con la presunzione di correggere gli anziani e gli insegnanti del mondo gestaltico, rei a mio parere di non spingersi abbastanza in là nel lavoro corporeo. Forte della mia formazione in metodi prettamente corporei, e dei miei studi approfonditi su processi come la postura, la struttura corporea e il respiro, sentivo di avere una prospettiva precisa e la convinzione di aver qualcosa da dire.

Tuttavia, considero oggi questo testo semplicemente l’elaborazione di un punto di partenza per lo sviluppo di un approccio gestaltico orientato al lavoro corporeo, e solo ora, dopo molti anni di pratica, sono in grado di comprendere più pienamente il significato di un approccio incarnato. Sono d’altra parte grato per il posto che Body Process ha occupato nella letteratura gestaltica in tutti questi anni, come testo di base di molti programmi di formazione.

Certo, mi piacerebbe pensare che la longevità di questo testo sia dovuta alla mia grande erudizione, temo tuttavia che dipenda più che altro dal mancato sviluppo di un più ricco approccio corporeo in psicoterapia della Gestalt. Che Body Process non sia ancora stato soppiantato è forse una cri- tica implicita della attuale situazione della psicoterapia della Gestalt per quanto riguarda il lavoro sulla realtà incarnata della persona.

(…)

L’articolo tratta di:

1. La cosa più reale…
2. Body Process: sequenza non è “conversione”
3. Pezzi mancanti
4. Ampliare l’epistemologia ristretta della psicoterapia della Gestalt1
5. La consapevolezza non è sufficiente per un cambiamento psicofisico
6. Metodi fisici per la terapia corporea
7. Dove ci troviamo e di che cosa abbiamo bisogno
8. Verso un futuro incarnato

Tratto da Quaderni di Gestalt, volume XXVII, 2013/1, L’esperienza corporea in psicoterapia
Rivista semestrale di Psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli, pag. 67

Consulta indice e contenuti

Potrebbe interessarti anche: Mindfulness e psicoterapia della Gestalt: pratiche di consapevolezza

Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt

– I Quaderni di Gestalt si raccontano: 2015 2 in breve.

Questo numero dei Quaderni di Gestalt ruota intorno ai concetti di sé e di campo, rivisitati in chiave ermeneutica. L’occasione è stata data dagli studi e dalle riflessioni compiute nel nostro Istituto in questi ultimi due anni per aggiornare e sviluppare i principi originari alla luce delle nuove teorie epigenetiche, neuroscientifiche, e dello sviluppo. La peculiarità del nostro approccio viene così messa in luce e declinata secondo i nuovi bisogni sociali e le nuove evidenze cliniche. La sfida epistemologica ed estetica, che impose agli autori del testo fondante di creare una teoria che cogliesse la spontaneità della vita (e non la devitalizzasse in nome di una rigidità teorica) si confronta oggi con le nuove condizioni sociali di desensibilizzazione corporea ed emozionale. Come deve essere oggi una teoria capace di stare con la vita e con la creatività che le è propria? che sia di aiuto reale per lo psicoterapeuta al fine di sostenere la vitalità e non la conoscenza razionale di sé del paziente? che non corra il rischio dell’egotismo, critica da cui partirono i fondatori per superare alcuni limiti della psicoanalisi del tempo?

L’incipit del numero, dunque, con la sezione Dialoghi, è un’intervista a Jean-Marie Robine, che ha recentemente curato un libro in cui un nutrito gruppo di teorici della psicoterapia della Gestalt espongono la loro idea attuale sul sé, concetto chiave per ogni modello psicoterapeutico. Maria Mione pone al collega francese domande su “Il campo e la situazione, il self e l’atto sociale essenziale”, mettendo in evidenza i concetti fondamentali che l’autore ha approfondito nei suoi scritti e le eventuali differenze con il modello del nostro Istituto. Alla fine dell’intervista, Piero Cavaleri, Gianni Francesetti e la sottoscritta espongono i loro commenti sul concetto di campo. “Credo che la prima cosa che un paziente vorrebbe trovare presso il suo terapeuta, è il riconoscimento”. Queste parole di Robine sembrano accomunare gran parte degli psicoterapeuti contemporanei (ripresi da Cavaleri nel libro di cui parleremo più avanti), così come i teorici del cambiamento e dello sviluppo e i neuroscienziati.

Nella sezione Relazioni, troviamo tre contributi sul sé. Il mio, dal titolo “Il sé come contatto. Il contatto come sé. Un contributo all’esperienza dello sfondo secondo la teoria del sé della psicoterapia della Gestalt”, rappresenta un’evoluzione dei miei studi sul sé verso la considerazione dell’esperienza dello sfondo, così importante oggi nella nostra società, in cui manca proprio la sicurezza del ground. Questa riflessione mi ha consentito di integrare nel concetto unitario del self la prospettiva evolutiva (già presentata nei Quaderni di Gestalt n. 2012-2) e un nuovo concetto di psicopatologia basato sull’esperienza dello sfondo.

(…)

Margherita Spagnuolo Lobb 

Quaderni di Gestalt, volume XXVIII, 2015-2, Il sé e il campo in psicoterapia della Gestalt
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt, edita da FrancoAngeli

Consulta indice e contenuti

Protrebbe interessarti anche: Psicoterapia della Gestalt in dialogo: dall’individuo, alla relazione, al campo. Riflessioni tra clinica, formazione e società