– Giuseppe Sampognaro.
Simona entra nell’ambulatorio di psicoterapia come se si sentisse un’ospite indesiderata: si scusa per il ritardo (è puntualissima), tiene la testa bassa, si rannicchia in pizzo alla poltrona. È appena arrivata e sembra già pentita di avere fissato l’appuntamento e di essere qui, minuta e indifesa. Mi trasmette il suo disagio, mi sento combattuto tra la voglia di accoglierla con calore e il dovere di rispettare la sua fragilità. Dopo le solite domande rompi-ghiaccio, alle quali risponde in modo laconico («Sì…No…Ne ho qua- rantadue»), le chiedo qual è il problema.
«La mia paura» dice. «Sono perseguitata dalla paura, soprattutto di notte. Veda, io vivo sola. Di giorno stringo i denti, mi distraggo. Ma di notte…».
Mi racconta di sé: del suo matrimonio ventennale naufragato due anni fa (lui aveva diverse storie parallele a cui non aveva alcuna intenzione di rinunciare); del figlio – per lei, l’unica fonte di autocompiacimento – che studia all’estero; del lavoro che la soddisfa poco nonostante il suo impegno appassionato (insegna Lettere presso un liceo); della pochezza di rapporti interpersonali di cui è fatta la sua esistenza. Parla con voce bassa, emozionata, torcendosi le mani e sfuggendo il mio sguardo se non per intermittenti flash.
Le chiedo quando è iniziata la sua paura.
«Un anno fa. Alla fine di una giornata come tante altre, ero andata a letto. Saranno state le due di notte. Ero finalmente riuscita a farmi venir sonno, a forza di leggere e leggere. Subito dopo aver spento la luce e aver chiuso gli occhi, percepisco che qualcosa non va. Un senso di inquietudine crescente, non so… Poi avverto dei dolori al petto, come trafitture. E mi accorgo che respiro con affanno. Accendo la luce, mi tiro su, ma la situazione non cambia. Sono presa dal terrore, mi sento come precipitata in un pozzo, sto per svenire ma non perdo i sensi. Piango, mi dispero, ma sono sola, e non so a chi chiedere aiuto. Cerco di uscire di casa ma le gambe non mi reggono, tremo troppo, e mi ritrovo sul pavimento a singhiozzare. Sono sicura di stare per morire. Non so quanto tempo è passato così. Poi, piano piano, questa cosa tremenda si affievolisce, il cuore smette di sbattermi in petto, il respiro ritorna normale. Ma ho paura che tutto ricominci, e rimango sveglia sino all’alba».
Piange («mi scusi…»), mentre rievoca il primo attacco di panico. Da allora, dice, la vita è un calvario. I controlli medici non evidenziano nessun disturbo organico. Come in un film dell’orrore, dopo aver ascoltato i consigli rassicuranti degli amici e del suo medico di famiglia («Stai serena, è che sei un po’ stressata, è stato un incidente di percorso…»), ecco un’altra violenta crisi coglierla, come la precedente, mentre è sola in casa.
(…)
Tratto da Quaderni di Gestalt, vol. XXII, 2009-2, Psicoterapia della Gestalt e psicoanalisi
Rivista semestrale di psicoterapia della Gestalt edita da Franco Angeli
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