La concentrazione gestaltica nelle terapie via web

di Angela Basile

L’autore, a partire dal crescente dibattito all’estero e anche in Italia sulla fenomenologia e la psicodinamica delle relazioni interpersonali su internet e nel cyberspazio e sulla fattibilità di una psicoterapia on line, si sofferma sull’approccio gestaltico e propone alcune iniziali riflessioni su come, le principali basi epistemologiche della psicoterapia della Gestalt – empatia, corpo, sé, contatto, intenzionalità -, possano essere declinati in un setting virtuale quale quello on line. A tale proposito viene fornita la testimonianza di alcuni terapeuti della Gestalt e pazienti che si avvalgono della Skype therapy.

Il terapeuta ha bisogno della sua concezione per
mantenere un orientamento e per sapere in quale
direzione guardare. E’ l’abitudine acquisita che
costituisce il retroterra di questa come di ogni altra arte. 
Ma anche il problema è lo stesso di ogni altra arte:
come utilizzare questa astrazione (e quindi fissazione) in
modo da non perdere la realtà presente? (…) e come
non imporre all’altro uno standard invece di aiutarlo a
sviluppare le proprie potenzialità?
 (Perls et al., 1951, p. 253)

1. Introduzione

La relazione psicoterapeutica è una delle tante relazioni interpersonali possibili su Internet e già nel 2000 Cantelmi la definiva come “quel trattamento e cura, non farmacologica, dei disturbi della psiche conseguibile all’interno di una relazione terapeutica priva della presenza fisica dei due partner”. Il dibattito nel mondo dell’ “e-therapy” varia da paese a paese, dagli Stati Uniti, dove è una realtà maggiormente consolidata all’Europa e all’Italia dove le linee guida emanate dall’Ordine Nazionale degli Psicologi sono tuttora in via di revisione e forniscono delle indicazioni che orientano la pratica professionale di quanti ne prevedono l’utilizzazione ponendo l’accento sui problemi etici e deontologici, su quelli relativi alla privacy e alla sicurezza dei dati, sulla possibile presenza di terapeuti fraudolenti, ecc.

Mentre c’è già una buona fioritura di studi scientifici sia italiani che stranieri (Suler, 1996-2000; Turkle,1999; Sandler,1997; Wallace, 2000; La Barbera, 2009, Cantelmi, 2001; Merciai, 2000; Bollorino, 1999; Cannella, 2000; Migone, 2003; ecc.) sulla fenomenologia e la psicodinamica delle relazioni interpersonali su internet e nel cyberspazio, il dibattito sulla psicoterapia on line in Italia stenta a decollare per la forte adesione agli schemi dell’ortodossia di matrice soprattutto psicoanalitica e la riluttanza alla revisione di paradigmi teorici che la nuova realtà di internet inevitabilmente richiederebbe. Così accade che molti colleghi la esercitano ma non ne scrivono; a volte ricorrono all’artificio di definirla counselling per il timore di venire tacciati di malpractice o superficialità. Dando per scontata la possibilità di una relazione interpersonale nel cyberspazio la discussione oggi si centra sulla necessità, come afferma Merciai (2000) in accordo con Suler (2000) di fondare una nuova psicologia e una nuova psicodinamica della terapia on line specificandone teorie e tecniche ed evitando il parallelismo tout-court tra reale e virtuale o, come afferma Migone (2003) e altri con lui (Cannella, 2000; Angelozzi, 1999), di considerare la psicoterapia con internet come una delle tante psicoterapie praticate in setting “eterodossi” che si pongono come nuove frontiere rispetto alla “tecnica classica”; essa è da ritenere, pertanto, di pari dignità rispetto alle diverse tecniche terapeutiche (di gruppo, familiare, ecc.), poiché ciò che conta non è la forma esteriore che essa assume ma il significato dell’esperienza nel suo complesso e ciò che evoca nel paziente.

Se è vero che i modelli psicoterapici più orientati alla procedura che alla relazione possono trovare di grande utilità gli interventi automatizzati e quelli psicoanalitici, che sottolineano l’importanza del transfert, del controtransfert e della sua interpretazione, possono essere stimolati dalla dimensione immaginaria mediata dal computer e da certe interazioni puramente testuali, gli approcci psicoterapeutici fenomenologico-esperienziali sono piuttosto critici e ritengono la relazione terapeutica on line estremamente limitata quando non inutilizzabile. Tale scetticismo riguarda anche l’approccio gestaltico che si situa nell’ambito delle terapie umanistiche e che, in quanto tale, dà ampio risalto alla relazione terapeuta-paziente come “fatto” reale e principale veicolo di cura.

Può una psicoterapia che guarda alla relazione come una relazione “incarnata”, che tiene in considerazione il vissuto corporeo di terapeuta e paziente e che lavora sulla presenza con i sensi aperti al confine di contatto nel campo organismo-ambiente[1] avere luogo in un setting così peculiare come quello virtuale?

Questo mio contributo è volto ad individuare delle possibili risposte a tale domanda a partire dalle basi epistemologiche del modello e dalle testimonianze di terapeuti della Gestalt (pochi, in realtà) e di alcuni loro pazienti che hanno utilizzato la Skype-therapy per psicoterapie a distanza e/o supervisioni.

Mi occuperò esclusivamente della psicoterapia tramite supporti audio/video quale quella attraverso la tecnologia Skype che rappresenta un esempio di comunicazione sincrona, in tempo reale e che è quanto di più vicino ci sia all’incontro vis a vis e non prenderò, invece, in considerazione le comunicazioni asincrone ovvero lo scambio di messaggi di testo quali ad esempio le e-mail o le chat nelle quali vengono meno tutti gli aspetti metacomunicativi (postura, tono della voce, mimica facciale) e dove la testualità è una modalità fortemente proiettiva e immaginativa che cambia completamente la struttura psicodinamica della relazione interpersonale.

I terapeuti ai quali faccio riferimento, inoltre, ammettono il ricorso alla psicoterapia on line come complemento alla terapia vis a vis o mantenimento di essa quando paziente o terapeuta sono costretti a trasferirsi in altra sede o quando dovesse servire a recuperare sedute mancate.

  1. Come declinare i principi base della psicoterapia della gestalt nel setting on line

Per la psicoterapia della Gestalt “negli esseri animali non esiste funzione alcuna che si svolga indipendentemente dall’oggetto o dall’ambiente, sia che si tratti di funzioni a carattere vegetativo (…), o di natura percettiva o ancora dell’atto di sentire o ragionare. (…) È sempre al campo organismo-ambiente che ci riferiamo» (Perls et al., 1997, p. 38). Inoltre “organismo e ambiente sono in un rapporto di reciprocità, l’esperienza è unitaria, non può essere rimandata a ciascun termine della relazione, ma deve essere ricondotta alla comune realtà del campo che si crea continuamente attraverso l’interazione reciproca delle sue componenti. […] In quanto gestalt intera che comprende sia la figura che lo sfondo, il campo include le molte possibilità dell’evento fenomenologico” (Conte E., 2005, p. 177).

Anche il Sé è una funzione del campo; esso non è una struttura reificata ma un “prodotto relazionale”, un evento esperienziale che ha luogo nell’attualità fenomenica e che si colloca in “posizione mediana” tra l’organismo e l’ambiente (Spagnuolo Lobb, 2011). La psicoterapia della Gestalt pone al centro dell’intervento di cura tale Sé, che in maniera consapevole ed attiva elabora significati, produce intenzioni, sussiste nel suo continuo aprirsi al mondo, tanto da costituire con esso una medesima realtà. E’ in questa relazione col mondo, in questo “in-tendere verso” di esso, che occorre individuare l’origine della sofferenza mentale e al contempo lo spazio della cura (Spagnuolo Lobb, Cavaleri, 2013; Spagnuolo Lobb, Cavaleri, 2010).

Scopo della terapia è, dunque, sostenere l’intenzionalità di contatto verso l’altro che, per vari motivi, può essere congelata o bloccata e far sì che il paziente ripristini la spontaneità e la vitalità del suo essere in relazione.

Nel caso in cui l’ambiente è rappresentato dal cyberspazio e il concetto del “qui e ora” tanto caro alla Gestalt sembra dilatarsi a dismisura (lo spazio diffuso e delocalizzato della rete) o, al contrario, contrarsi fino all’estremo (la possibilità di disconnettersi dalla relazione con un semplice click del mouse) come si modifica il campo fenomenologico? Quale diventa la percezione del confine di contatto tra paziente e terapeuta? Ma soprattutto è possibile garantire la cura terapeutica nei termini sopra descritti?

Se si parte dal presupposto gestaltico della relazione terapeutica come “fatto” reale, unico e irripetibile, che nasce e ha una sua storia nello spazio che c’è “tra” questo specifico paziente e questo specifico terapeuta, il setting virtuale può, al pari di altri setting classici, rappresentare una delle tante possibili esperienze di cura. L’interrogativo, infatti, non riguarda tanto il luogo e lo spazio della relazione, se esso cioè è quello della seduta terapeutica, dove i due attori prendono fisicamente posto nella medesima stanza “reale” o è quello rappresentato dal cyberspazio e mediato da una web-cam quanto se e come il paziente riesce a sentire pienamente se stesso di fronte al terapeuta e sente, a sua volta, il terapeuta nella sua autenticità e integrità.

Se è possibile ripristinare la spontaneità del contatto anche attraverso una connessione virtuale di rete, ci si chiede, tuttavia, quanto esso possa essere un contatto nutriente e non deprivato e limitato dall’assenza di corpi reali. La de-fisicalizzazione come grande limite della realtà virtuale impone delle rivisitazioni al modello della psicoterapia della Gestalt che guarda all’intercorporeità come matrice del processo terapeutico.

  1. Quale corpo e quale empatia nella psicoterapia della Gestalt on line

Come afferma Margherita Spagnuolo Lobb (2010, p. 19): “L’attenzione al corpo prospettata dal metodo gestaltico segna un passaggio importante per la psicoterapia in genere: dall’ottica di una profondità riferita a sedi esperienziali prettamente psichiche, all’ottica di una profondità intesa come incarnazione delle relazioni. Se per Reich il corpo era la sede della repressione dei conflitti, e per Perls era il mezzo privilegiato di espressione di un’esperienza esistenziale e olistica, per gli autori gestaltici contemporanei (in particolare Kepner, 1993/1997; Frank, 2001/2005) il corpo è l’organo di contatto per eccellenza, che raccoglie sia la memoria dei contatti precedenti che la creazione dei contatti attuali” La psicoterapia della Gestaltsi occupa del corpo in azione, in contatto, cioè di come la persona è presente nel qui ed ora e di come il suo corpo ci dice, attraverso il suo modo di entrare in contatto, dove vorrebbe andare. Il terapeuta coglie nel corpo quel movimento, quel “gesto mancato”, incompiuto o bloccato (un respiro, un tamburellare delle dita, una postura, un comportamento o un’azione…) nel qui ed ora che intenzionalmente lo proietta nel suo futuro, nel next e che gli permetterà di rivelarsi pienamente nella relazione terapeutica esperendo con i sensi aperti l’altro. Ed è sentendosi sostenuto in questo processo intenzionato che il paziente, nel contatto con il terapeuta, può sciogliere la tensione corporea e lasciare emergere alla consapevolezza, all’immediatezza dei sensi, le emozioni spontanee.

Ma quale immagine del corpo entra in gioco nelle terapie on line? Il corpo riflesso nell’immagine della web-cam è un corpo parcellizzato. Di esso, nella maggior parte dei casi, si riesce a scorgere solo il viso e il tronco. Questo implica il rimanere estremamente concentrati sugli aspetti non verbali e paralinguistici espressi dai movimenti facciali dai quali poi inferire l’intero processo corporeo. E’ possibile anche cogliere il respiro e le eventuali variazioni e interruzioni, espressioni dell’ansia e dei blocchi corporei.

La vista è il senso privilegiato nelle comunicazioni on line e il mezzo tecnologico lo amplifica a discapito di tutti gli altri: lo schermo riduce al minimo gli elementi di distrazione escludendo l’ambiente circostante e “costringendo” paziente e terapeuta a guardarsi in faccia. Al contrario, manca del tutto il tatto, espressione della prossimità dei corpi, senso privilegiato dai terapeuti della Gestalt poiché in molte circostanze è quello che garantisce il passaggio dalla consapevolezza all’azione e permette di chiudere le gestalt aperte o di completare le azioni incompiute. Esempio ne sono i cosiddetti “esperimenti” gestaltici dove attraverso il muoversi dei corpi (possibile sotto forma di drammatizzazioni, simulazioni di azione, ecc.) paziente e terapeuta acquisiscono spessore e fisicità, si muovono insieme nello spazio per portare a termine l’intenzionalità di contatto. Così, se un paziente durante una seduta vis a vis può sciogliere una tensione bloccata attraverso, ad esempio, il tenere le mani del terapeuta o abbracciandolo o provando ad opporgli fisicamente resistenza spingendo con le mani e i piedi contro quelli di lui, attraverso lo schermo terapeuta e paziente sono costretti a trovare nuove forme di adattamento creativo al confine di contatto volte a far emergere l’azione.

Un’altra domanda di fondamentale importanza è relativa all’empatia nel setting “virtuale” dove il primato sensoriale è quello visivo e i corpi entrano in relazione con la modalità sopra descritta.

I risultati raggiunti dall’infant research e dalla ricerca neuroscientifica attraverso la scoperta dei neuroni mirrors (Rizzolati, 2006; Staemmler, 2007; Damasio, 1999; Gallese, 2005;) come possibile substrato neuro-biologico dell’empatia[2] ci permettono di esprimerci positivamente proprio perché tali circuiti neuronali vengono attivati dalla vista. Questi studi, inoltre, supportano il concetto di “empatia incarnata” (Staemmler, 2007, Rubino, 2011) del quale parla la psicoterapia della Gestalt quando afferma che l’intersoggettivo, il pre-individuale precede l’individuazione e che la comprensione dell’altro non è eminentemente cognitiva ma incarnata, condivisa e che essa avviene al confine di contatto, luogo sensoriale ed esperienziale in cui accade il “qui ed ora” della relazione.

Gli studi di Freedberg e Gallese (2007) si spingono anche oltre quando lanciano l’ipotesi che una forma di “risonanza empatica” dovuta all’attivazione dei neuroni specchio si può osservare perfino nella fruizione dell’arte astratta quando l’immagine è statica e priva di contenuti direttamente raffiguranti il corpo come nel caso dei tagli sulla tela di Lucio Fontana. In questo caso avviene anche una simulazione motoria del gesto dell’artista a partire dalle tracce visibili dei gesti espressivi dell’artista, come le pennellate, i segni dell’incisione, e più in generale i segni dei movimenti della sua mano, in assenza di qualsiasi esplicita rappresentazione di corpo in movimento. La simulazione del gesto creativo diviene parte integrante dell’esperienza che facciamo delle sue conseguenze, l’immagine artistica[3].

  1. La parola ai protagonisti

Di seguito vengono riportate alcune riflessioni di psicoterapeuti della Gestalt e di pazienti che si sono cimentati nella Skype-Therapy, raccolte attraverso uno scambio verbale abbastanza estemporaneo che riporto fedelmente, consapevole della necessità di ulteriori e più approfondite sistematizzazioni. Setting e corpo sono i due aspetti sui quali si sono pronunciati ma emergono dalle loro parole interessanti connessioni tra i concetti di cyberspazio, confine di contatto e campo fenomenologico organismo-ambiente.

Gli psicoterapeuti

Margherita Spagnuolo Lobb, psicologa, psicoterapeuta della Gestalt, direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Istituto H.C.C. Italy svolge via Skype sessioni di supervisione, in genere per colleghi esteri. “Non mi sentirei di fare psicoterapia via skype – afferma Spagnuolo Lobb – perché penso che tra un terapeuta (per quanto esperiente e di chiara fama) senza corpo e un terapeuta (forse meno esperiente) presente fisicamente, sceglierei quest’ultimo perché mi permetterebbe di sperimentare maggiormente il senso dell’affidarmi all’altro, così importante in tutti gli approcci e in particolare in quelli fenomenologici ed esperienziali. È diverso quando qualcuno mi chiede di fare una o due sedute, allora c’è una forte motivazione ad esplorare qualcosa con me, a prescindere dalla base di sicurezza che solo un rapporto terapeutico costante può dare. Tieni conto che io stessa, nella mia terapia personale, facevo delle sedute a distanza con il mio terapeuta, Isadore From, quando non potevo raggiungerlo a New York o in Francia. Faccio invece regolarmente supervisioni via Skype ai colleghi che me lo chiedono. In genere succede più frequentemente con colleghi esteri, che hanno meno facilità a incontrarmi, ma succede sempre più spesso anche con colleghi italiani, sia per la mia età che avanza e che mi fa essere più pigra sia perché si evita il traffico! Come sperimento il campo di un incontro via Skype? È interessante perché il campo c’è ed è vibrante. Da ambedue le parti si registra una forte concentrazione sullo schermo e sui movimenti che accadono nel campo visivo. Quindi in un certo senso sperimento una maggiore tensione l’uno verso l’altro: i sensi sono più aperti proprio perché la presenza è meno scontata. Non ci si può addormentare in un incontro via Skype! Mentre in una seduta di presenza qualche attimo di distrazione può succedere. Accade una cosa simile a quella che accade ad un cieco che, non avendo a disposizione il senso della vista, sviluppa molto di più gli altri sensi e così finisce per vedere molte più cose dei vedenti.”

Sergio La Rosa, psicoterapeuta della Gestalt argentino, che normalmente conduce psicoterapie on line in quanto trascorre parte dell’anno in Argentina, parte in Italia e parte a New York, e alterna le sedute di presenza e on line a seconda di dove si trova, sottolinea la necessità di una consolidata pratica clinica prima di cimentarsi con il mezzo tecnologico e di un training accurato di supervisione oltre ad una formazione specifica sulla comunicazione mediata dai mezzi tecnologici. “Ho iniziato le terapie a distanza (inizialmente con il telefono) anni fa e con la supervisione di Joseph Zinker – racconta La Rosa – e ho avuto presente come base della mia formazione iniziale la pratica psicoanalitica nella quale il terapeuta non vede in faccia il paziente, sdraiato sul lettino. Credo che creare uno sfondo inteso come “ground” della relazione terapeutica, per intenderci il “pre-contatto”[4] gestaltico, sia di fondamentale importanza nella terapia on line ancora di più di quanto lo sia nell’incontro reale. Tramite Skype sono possibili le osservazioni corporee soprattutto in termini di microgestualità, in particolare, mi riferisco ai micromovimenti del volto che possono essere rapportati, a loro volta, alle interruzioni di respiro. Sappiamo che interruzioni di discorso richiamano interruzioni di processo (quello che la psicanalisi americana chiama “resistenza direzionata” o “resistenza diretta”) e, in chiave gestaltica, le interruzioni del respiro sono sempre interruzioni della fluida empatia clinica. In chiave fenomenologica sono sinonimo di angoscia e stress corporeo. Così un sorriso che non sorride se si guarda la faccia dalla bocca in su, un timbro della voce che contraddice un racconto in particolare, una certa posizione del capo, lo sguardo sfuggente, ecc. ci dicono molto sull’intero corpo perché la parte è coerente con il tutto. L’interruzione del respiro, poi, collegata con la rigidità del visto e le labbra serrate diventeranno la spia di una rigidità corporea, di un corpo sofferente sul quale il terapeuta può intervenire anche attraverso le varie tecniche respiratorie a sua disposizione. L’attenzione al processo, dunque, più che al contenuto, importante cornice del modello epistemologico gestaltico, diventa prioritaria e possibile anche nella Skype-therapy”.

Silvia Alaimo, psicoterapeuta della Gestalt e allieva didatta dell’Istituto di Gestalt H.C.C. Italy, preferisce utilizzare Skype come integrazione delle sedute vis a vis per situazioni specifiche quali, ad esempio, il trasferimento temporaneo di un suo paziente in altra sede ma invia generalmente ad un collega del posto se si tratta di un luogo di vita definitivo. La Alaimo considera utile la tecnologia Skype perché aiuta a mantenere la relazione terapeutica a distanza ma non sostitutiva di quella vis a vis: “Forse la terapia via Skype potrebbe fungere da pre-contatto per un approccio iniziale con un paziente che poi decide di intraprendere il percorso in studio o facilitare il post-contatto per terapie che si avviano alla chiusura e che consentono tempi più dilatati. Quello che più lamentano i pazienti sono le interruzioni improvvise della connessione o le desincronizzazioni audio-video per cui i tempi brevi di latenza delle immagini possono non sincronizzarsi con quanto riferito a voce; tutto questo richiede un costante aggiustamento della relazione quando viene ripresa. Anche lo sguardo tra gli interlocutori non è mai diretto, non ci si guarda negli occhi poiché la tecnologia Skype, a causa del posizionamento della camera, fa sì che lo sguardo sia puntato verso lo schermo ma non in alto dove incontrerebbe invece lo sguardo dell’altro. Tuttavia questo mancato contatto visivo ‘diretto’ permette al terapeuta di osservare meglio le espressioni del viso del paziente perché non ‘direttamente coinvolto’ nello sguardo diretto. C’è, inoltre, la possibilità di cogliere il non verbale dai movimenti facciali, dagli aspetti paralinguistici (le pause, i silenzi, le modulazioni della voce, ecc.) e dal respiro”.

I pazienti

Interessante è anche il punto di vista dei pazienti che, per la maggior parte dei casi, raccontano di trovarsi a proprio agio in questo diverso setting e non avvertono grandi differenze con quello classico anche se preferiscono di gran lunga quest’ultimo. Ad una di loro, in particolare, manca la dimensione preparatoria alla seduta che coincideva con il vestirsi, l’uscire da casa, il compiere il tragitto a piedi da casa allo studio, ma anche con la sala d’attesa, con il sedersi sulla poltrona dello studio della dottoressa con i suoi libri, i quadri, le luci, tutti elementi che contribuivano a creare una sicurezza e un calore maggiore rispetto all’asetticità e neutralità dello schermo: “Nel mio immaginario la terapia si rifà a qualcosa di esterno dal mio spazio visivo consuetudinario – commenta C. – e percorrere il tragitto casa-studio mi permetteva di crogiolarmi nelle fantasie sul come sarebbe stato questa volta incontrarsi con lei; è una dimensione pre-seduta che viene velocizzata dalla straordinaria rapidità che richiede l’accensione del pc e la connessione a Internet”.

E’ proprio questa facilità nel reperire il terapeuta che così entra in un luogo noto e conosciuto per il paziente a rappresentare, al contrario, per S., il grande vantaggio della terapia on line.

Tutti sottolineano la frustrazione causata dalle interruzioni improvvise, dalla mancata sincronizzazione audio-video, dal suono della voce metallico e dalle altre interferenze legate allo strumento.

Per quanto riguarda l’attenzione al corpo e al non verbale F. rimanda alla competenza e all’esperienza clinica del terapeuta quando afferma che occorre maggiore perizia e arguzia percettiva nel cogliere il non verbale di certe espressioni facciali e inflessioni della voce: “Ritengo di fondamentale importanza il sorriso della mia terapeuta che spesso contiene le mie emozioni e, fortunatamente, su Skype ne colgo lo stesso significato”.

Così risponde E.: “Chiaramente nella terapia on line manca una fenomenologia legata all’essere nello stesso spazio, i corpi sono lontani. D’altro canto però il paziente accetta questa condizione sin dall’inizio e questo rafforza l’impegno per esserci in uno spazio affettivo e mentale che esiste al di là del luogo. Inoltre, la mia esperienza è che l’attenzione si concentra sul non verbale espresso attraverso il viso, le spalle, il petto. È possibile comunque focalizzarsi sul respiro e riportare nel qui ed ora i processi corporei che il paziente racconta con il suo Io narrativo. Mi mancano gli esperimenti corporei che il mio terapeuta utilizzava rendendomi consapevole del significato e l’impossibilità di agire il non verbale come si fa, ad esempio, negli abbracci.”

  1. Conclusioni

La psicoterapia della Gestalt, come le altre forme di psicoterapia, deve adattarsi creativamente ai nuovi orizzonti relazionali creati dalla comunicazione mediatica e i nuovi strumenti operativi che la tecnologia ci sta mettendo a disposizione dovranno entrare a far parte del bagaglio formativo, culturale e applicativo di tutti i professionisti della relazione d’aiuto pena “un’autoesclusione, snobistica quanto pregiudiziale e difensiva da metodologie di intervento sul disagio e possibilità terapeutiche che (…) sono già una realtà concreta e accessibile a tutti” (La Barbera, 2001, p.13) .

Questo contributo ha una valenza puramente esplorativa di un territorio privo, allo stato attuale, di sicuri impianti teorici e metodologici. Di certo le scoperte delle neuroscienze sul ruolo del sistema cervello-corpo applicate all’era della riproducibilità tecnologica del reale apriranno nuove prospettive di studio. Così come cresceranno gli studi sperimentali sulle patologie che possono trarre maggiore benefico dal trattamento via web (i pazienti con disturbi d’ansia, soprattutto fobie sociali che faticherebbero a recarsi fisicamente dal terapeuta, i borderline, che si sentono, così, meno invasi e i pazienti traumatizzati sembrano essere i migliori candidati).

Quando ci poniamo in una relazione terapeutica on line non possiamo prescindere dalla duplice valenza che assume il web, oggi, nella società post-moderna. Esso è un potente amplificatore dei vissuti liquidi, del senso di solitudine relazionale e della percezione desensibilizzata del proprio corpo. Allo stesso tempo, però, soprattutto per la generazione dei “nativi digitali”, costituisce uno dei più potenti contenitori dell’eccitazione e dell’energia che li anima che non ha trovato direzionalità e contenimento nei luoghi delle relazioni primarie per l’assenza emotiva dei caregivers. Tale paradosso è insito e costitutivo anche della relazione terapeutica on line che, pur deprivata e carente di stimoli, ci rende comunque capace di vedere la bellezza dell’incontro autentico con l’altro, favorendo una maggiore focalizzazione sui sensi e stimolando la creatività nella comunicazione.

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[1] “L’attività del contattare l’ambiente (o dell’essere contattati) avviene attraverso una demarcazione esperienziale – e per nulla necessariamente fisica – tra ciò che per l’organismo rappresenta se stesso […] e la regione selvaggia, in quanto ancora sconosciuta, che è l’alterità del mondo. A questo confine fluttuante, in cui il sé e l’altro si incontrano e qualcosa avviene, la psicoterapia della Gestalt dà il nome di ‘confine di contatto’” (Perls, Hefferline e Goodman, 1997, p. 18). “Il confine di contatto è definito dall’incontrarsi nella diversità, che si evolve poi nel decidere il movimento verso l’altro, intrapreso a partire dalla solidità della propria diversità (dal ground della consapevolezza di sé)” (Spagnuolo Lobb, 2011, p. 40).

[2] Alcune importanti ricerche avvenute in ambito neurobiologico hanno rivelato la presenza nel cervello di un gruppo particolare di neuroni chiamati “neuroni specchio” la cui caratteristica sarebbe quella di eccitarsi sia quando un soggetto compie una determinata azione sia quando è un altro a compierla innanzi ai suoi occhi (Rizzolati, 2006). Secondo alcuni scienziati questa scoperta potrebbe spiegare il fenomeno dell’empatia rivelandone una presunta base biologica, dal momento che le strutture neuronali coinvolte quando noi proviamo determinate sensazioni ed emozioni sembrano essere le stesse che si attivano quando attribuiamo a qualcun altro quelle “stesse” sensazioni ed emozioni. Gli studi di Gallese (2005) dimostrano, altresì, che alla base dell’empatia ci sarebbe un processo di “simulazione incarnata” vale a dire un meccanismo funzionale di natura essenzialmente motoria, molto antico dal punto di vista evolutivo, caratterizzato da neuroni che agirebbero immediatamente prima di ogni elaborazione più propriamente cognitiva e che permetterebbero di percepire un azione e comprenderne il significato simulandola internamente.

[3] Nel loro esperimento, Umiltà et al. (2012) hanno mostrato ad un gruppo di persone riproduzioni ad alta risoluzione delle tele squarciate di Fontana alternate ad uno “stimolo di controllo”: in questo caso un’immagine modificata, in cui il taglio veniva sostituito da una linea. Quello che mancava era l’aspetto dinamico, ma tutto il resto era sostanzialmente identico alla riproduzione dell’opera d’arte: bianco e nero, contrasto, numero di pixel.
Quello che i ricercatori hanno constatato è che osservando la riproduzione dell’opera d’arte tutti i soggetti, indipendentemente dal grado di mediazione culturale – solo una metà conosceva l’artista – hanno mostrato a livello cerebrale la stessa reazione, che invece non si è verificata di fronte agli stimoli di controllo: la soppressione del ritmo mu, segnale dell’attivazione del sistema motorio corticale. Che indica, al tempo stesso, l’attivazione del meccanismo dei neuroni specchio. I risultati dello studio danno quindi ragione a Gallese e Freedberg che già avevano ipotizzato come le tracce del gesto dell’artista sulla tela – in questo caso i tagli di Fontana, oggetto dell’esperimento – “accendessero” nello spettatore le aree motorie che controllano l’esecuzione dei gesti che producono quelle stesse immagini. E stimolassero l’attivazione del meccanismo dei neuroni specchio, che si rivela quindi centrale nella percezione dell’opera d’arte, anche astratta. Ciò che si percepisce anche in assenza di movimento è l’azione.

[4] L’esperienza di contatto viene descritta secondo quattro fasi, ciascuna con un accento diverso nella dinamica figura/sfondo. L’attivazione del sé viene chiamata pre-contatto, il momento in cui emergono delle eccitazioni che iniziano il processo figura/sfondo…. (Spagnuolo Lobb, 2011).

Articolo tratto da:
“La concentrazione gestaltica nelle terapie via web”
Idee in Psicoterapia, Vol. 9 n. 1-3 “Psicoterapia e media”, Ed. Alpes
Gennaio-Dicembre 2016

L’autore
Angela Basile
Psicologa e psicoterapeuta della Gestalt, didatta presso l’Istituto di Gestalt – H.C.C. Italy.
Lavora da anni nelle scuole con genitori, docenti e alunni per la prevenzione del disagio adolescenziale.
Svolge attività di formazione sulla prevenzione dell’abuso e del maltrattamento all’infanzia, su tematiche attinenti la psicologia giuridica e sulla comunicazione interpersonale in corsi rivolti ad operatori scolastici, socio-sanitari e a referenti di vari enti non profit e del terzo settore.