Passare alcuni giorni a Mosca e ascoltare gli umori delle persone è altra cosa rispetto a leggere sui giornali le notizie sulle vicende dell’Ukraina. […] le persone, da una condizione di forte legame con gli abitanti dell’Ukraina, si ritrovano a dover decidere tra una posizione filo o anti sovietica, pur non identificandosi con nessuna delle due.
Ho avuto il “privilegio” di passare qualche giorno con i miei colleghi russi, per presentare all’università di Mosca il mio recente libro appena tradotto nella loro lingua. […] Tutti, dal giornalista che mi ha intervistata alla collega direttrice dell’istituto moscovita, ai giovani studenti e ai professori universitari, alla gente di strada, tutti hanno esplicitato un disagio che in linguaggio psichiatrico definiremmo “borderline”. È infatti una situazione sociale che predispone i cittadini a sentimenti inconciliabili, a scelte impossibili.
Per i russi l’Ukraina è stata finora una terra amica. […] I russi oggi non riescono a considerarsi né amici né nemici dei loro fratelli ukraini. Anche gli abitanti della parte non filorussa dell’Ukraina, che prima consideravano i russi come fratelli da cui essere aiutati per crescere, adesso sono confusi: i russi sono ancora amici o sono diventati nemici? […]
Ironia della sorte, il titolo della mia lezione era proprio “il disturbo borderline e l’evoluzione della società”. Mai lezione è stata più calata nel tempo! Sembra che una società che non si occupa della cura delle relazioni, e che è primariamente interessata al potere, sia l’ambiente più adatto per mettere in scena il dramma del sentirsi scissi tra il bene e il male, e del non trovare una soluzione integrata a posizioni opposte: “ti amo ma dovrei odiarti”, o “ti odio ma dovrei amarti”.
Non ci resta che sperare che il mondo non giri sul principio del “quello che è mio è mio, quello che è tuo non è ancora mio”, ma che si assesti sui valori del rispetto della libertà e dell’integrità di ognuno, per raggiungere i quali occorre trascendere se stessi per il bene comune.